Israele, il diritto allo studio come strumento di discriminazione

1 Ottobre 2015
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Irene Masala

Il personale di 47 scuole cristiane palestinesi in Israele ha indetto uno sciopero, iniziato i primi di settembre e durato un paio di settimane, per denunciare il livello di discriminazione subito dall’istruzione palestinese dentro i confini dello Stato di Israele. Le scuole cristiane sono uno dei pochi spazi indipendenti per la vita politica, culturale ed economica dei palestinesi e i tagli ai finanziamenti statali sono stati interpretati come una mossa politica di Israele per ledere il loro diritto allo studio.

“Stiamo difendendo i diritti dei bambini arabi, cristiani, musulmani e drusi che frequentano le nostre scuole. Stiamo soffrendo una discriminazione razziale. Le nostre scuole cristiane da ben 2 anni stanno negoziando con il Ministero per ottenere i propri diritti fondamentali per gli studenti arabo palestinesi in Israele. Le diverse manifestazioni fatte sono servite a confermare questa situazione e la presenza di tutte queste persone dimostra che è una causa giusta”, così Don Faysal Hijazeen, direttore delle scuole del Patriarcato Latino in Israele e Palestina, motiva la decisione di protrarre lo sciopero.

I costi operativi coperti dallo stato sono passati infatti dal 70% al 29%, costringendo gli istituti ad aumentare la retta scolastica per circa 33mila studenti. A ciò si aggiunge, per i palestinesi residenti in Cisgiordania, una continua e giornaliera difficoltà di movimento, oltre ai numerosi arresti di studenti ritenuti politicamente coinvolti, ai raid diretti contro le strutture universitarie, alla negazione di visti per l’uscita dai territori occupati o di semplici permessi di viaggio (dal 2000, 185 scuole sono state bombardare e decine di studenti e professori feriti, uccisi o arrestati con la formula della detenzione amministrativa).

Al contrario, le scuole semi private degli ebrei ortodossi, che rientrano nella stessa categoria delle scuole cristiane dei palestinesi, hanno usufruito di un aumento di fondi statali  vicino al 100%. Senza contare la situazione di più di 90.000 beduini palestinesi che vivono nei villaggi “non riconosciuti” da Israele, sotto il costante rischio di sgombero, e che non rientrano nei servizi sociali di base forniti dallo Stato israeliano, di cui l’istruzione è parte fondante. Infine altra situazione più preoccupante è quella di Gerusalemme Est, in cui tutto il settore formativo è guidato da politiche di separazione e di finanziamenti diseguali il cui unico obiettivo è mantenere e rendere se possibile ancora più profondo il divario economico e culturale tra la parte ebraica della popolazione e quella palestinese. Anche l’aspetto infrastrutturale è allarmante, con condizioni tanto inadatte all’apprendimento che a volte le lezioni vengono svolte in appartamenti in affitto o in laboratori scientifici. Il quartiere di Al Tur è l’emblema di questa realtà.

Solo la metà dei bambini palestinesi di Gerusalemme sono inclusi nel sistema scolastico pubblico secondo uno studio risalente agli anni 2010-2011. La conseguenze è che i bambini figli di famiglie arabo israeliane hanno estreme difficoltà di accesso alle università israeliane e, di consulenza, scarse possibilità di ottenere una professione con una retribuzione dignitosa. Inoltre la maggior parte dei testi scolastici addottati ammettono solo una versione politicizzata di materie come la storia, spesso in completa antitesi con la versione palestinese, che nella maggior parte dei casi viene usata da Israele come arma per distruggere quella memoria storica che ancora resiste dopo più di 60 anni di conflitto. Anche per queste ragioni attivisti palestinesi e internazionali hanno dato vita a movimenti per il boicottaggio accademico e culturale di Israele fino a quando non verrà rispettato il diritto dei palestinesi all’uguaglianza, alla dignità e alla sovranità nazionale.

Le statistiche poi precipitano vertiginosamente se si prende in considerazione anche la Striscia di Gaza: secondo un articolo scritto da Amira Hass e pubblicato sul quotidiano israeliano Haarezt, tra il 2000 e il 2012 sono stati consentiti viaggi studio nelle Università della Cisgiordania soltanto a tre studenti in possesso di borse di studio sovvenzionate dagli Stati Uniti. Nel 2013, secondo Amnesty, Israele avrebbe anche proibito per un certo periodo di tempo, che gli studenti di Gaza ricevessero libri, quaderni e materiale di cartoleria. Nello stesso anno, sempre il quotidiano Haareztz, ha pubblicato un elenco di 14 ostaccoli che un cittadino palestinese di Israele deve superare per aver accesso all’istruzione universitaria. L’attacco al sistema scolastico e universitario, oltre a violare i diritti umani universalmente riconosciuti, mina alla base anche e sopratutto la possibilità di costruire nel prossimo futuro una nuova e stabile società palestinese.

[Foto Irene Masala, villaggio di Bi’lin tra filo spinato e muro]

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