Umanamente Istanbul

1 Luglio 2012

Istanbul

Maria Chiara Cugusi

Intercultura, storia, diritti umani: a Istanbul tradizione e modernità si intrecciano. Il viaggio nella città simbolo della Turchia, organizzato dalla Facoltà di Scienze politiche di Cagliari, è un’occasione per riflettere su una cultura unica al mondo, in cui il nuovo corso della politica guarda sempre più verso est, cercando di diffondere il proprio influsso nei territori una volta occupati dall’antico Impero ottomano. Dall’Aya Sofya a Piazza Taksim, la grandezza architettonica si fonde con l’eclettismo turco, scandito dal richiamo dei müezzin, tra moschee e bazar.

Terra di mescolanza fin dall’Impero ottomano (molti sultani avevano mogli straniere), ancora oggi Istanbul è una città fortemente multietnica. “Oltre l’80% della popolazione è immigrata – spiega Arkan, operatore turistico, origini turche e una grande passione per l’Italia -. Arrivano soprattutto dall’Anatolia centrale e orientale, ma anche dalla Bosnia e dall’Albania, per la maggior parte musulmani.
Inoltre “il 90% delle ballerine sono di origine etnica rom”. Terra non solo di immigrazione, ma anche di emigrazione: oltre due milioni i turchi che oggi vivono in Germania, oltre 500mila in Francia. Agli immigrati di lunga data, si aggiungono, oggi, i profughi siriani: oltre diecimila ospitati nei campi allestiti nella zona di confine con la Siria.

La nuova politica turca. Un paese che, negli ultimi anni, ha acquisito sempre più consapevolezza e peso regionale: messa da parte la tradizionale impostazione kemalista che guarda a occidente, la cosiddetta politica “neo-ottomana” si volge piuttosto all’area asiatica e a tutto il Medio Oriente, cercando di aumentare il proprio peso politico nei territori un tempo occupati dall’Impero ottomano.
Il nuovo governo sembra, infatti, voler esportare il proprio modello verso est: nessuna mira egemonica, piuttosto la crescita della propria economia e la transizione verso un islamismo pragmatico, capace di proporre la Turchia come modello per il Medio Oriente, oltre che come interlocutore privilegiato per l’Occidente.
Una politica che può contare sul crescente attivismo regionale di Erdogan, al potere dal 2003. Punti cardine della sua politica, la lotta alla disoccupazione (“26 fabbriche aperte negli ultimi due anni”, ricorda Arkan), la politica demografica in un paese, in cui sono in aumento divorzi e aborti, e l’apertura dal punto di vista religioso, ben lontana dagli stereotipi di un islam chiuso e integralista: “A volte, sono le figlie che vogliono indossare il velo – racconta Arkan -, mentre i genitori sono contrari”.

I luoghi simbolo. La fusione della cristianità e della tradizione islamica, l’apogeo e la decadenza dell’Impero ottomano, la successiva laicizzazione portata avanti da Atatürk, tanto da sostituire, nella scrittura turca, i caratteri arabi con quelli latini.
La storia della Turchia si può rivivere attraverso le principali tappe del viaggio, dall’Aya Sofya alla Moschea blu (l’unica ad avere sei minareti, superata solo dalla moschea della Ka’ba alla Mecca), dal palazzo Topkapi (residenza dei sultani fino al XIX secolo) al più moderno Dolmabahçe in perfetta linea con lo stile europeo, dall’Harem fino alla Moschea di Eyüp – principale luogo di pellegrinaggio dopo la Mecca, Medina e Gerusalemme. Senza dimenticare la parte asiatica della città, zona di immigrazione di ritorno, soprattutto dalla Germania.

Minoranze e diritti umani. La tutela dei diritti della minoranza armena è l’obiettivo della Fondazione dedicata a Hrant Dink, giornalista e scrittore turco d’origine armena assassinato nel 2007 davanti alla sede del suo giornale Agos. Grazie a questo giornale, fondato nel 1966, pubblicato in armeno e turco, la questione armena è oggi maggiormente conosciuta, anche se il governo turco continua a negare il genocidio. L’assassinio di Hrant Dink, accusato di essere fomentatore dell’odio per la sua difesa degli armeni, ha fortemente colpito l’intero popolo turco: dopo la sua morte, per la prima volta sfilò a Istanbul un corteo di oltre 100mila persone, in mano cartelli con scritto “Siamo tutti Dink, siamo tutti armeni”.
La Fondazione è stata creata per volontà della moglie, Rakel. Tra i progetti portati avanti, quello di “storia orale”: “Intervistiamo la popolazione per capire qual è la percezione diffusa sugli armeni – spiega una delle responsabili del progetto -: ci stiamo concentrando sulla zona dell’Anatolia orientale”. In particolare, viene affrontata la questione relativa alle proprietà della minoranza armena, molte delle quali confiscate dal governo turco e mai restituite: “Stiamo cercando di schedarle – continua – grazie anche agli archivi delle fondazioni, e stiamo scoprendo che sono più numerose di quanto si pensasse”.
Tra le priorità della Fondazione, abbattere stereotipi e pregiudizi, spesso amplificati dai media: da qui nasce un secondo progetto relativo proprio all’analisi del linguaggio mediatico: “Cerchiamo di individuare i termini con cui vengono indicate le minoranze, per combattere le discriminazioni che sono aumentate dopo la morte di Hrant Dink”.

1 Commento a “Umanamente Istanbul”

  1. Radhouan Ben Amara scrive:

    L’articolo di Maria Chiara Cugusi è puntuale, chiaro e raffinato! Complimenti!

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