L’angolo dei vivi e dei morti in via degli Orti

15 Aprile 2012

Joan Oliva

Sotto il filtro di un’osservazione politica accentuata, nell’imminenza delle elezioni comunali di Alghero emergono i danni delle incaute politiche ambientali del centro-destra che ha governato la città catalana negli ultimi anni. Da ultimo l’aggravarsi dell’inquinamento delle acque del Calik e di parte della costa algherese per un’irresponsabile collocazione del depuratore urbano. Ospitiamo un intervento di Joan Oliva che ben esprime la situazione in corso.

Nei miei studi di urbanistica ho imparato questa bella metafora: la città è come una nave che per essere ben governabile non deve essere troppo carica e non deve essere troppo vuota. Alghero è una città che mal si governa proprio perché si trova nella non auspicabile condizione di una nave che sottopone il comandante e il suo equipaggio a prove assai differenti e estreme, passando da periodi in cui viaggia vuota, ondeggiando paurosamente fra i marosi invernali, “troppo leggera”, a periodi in cui affonda spinta oltre il limite di galleggiamento da un eccessivo carico. E imbarca acqua, richiedendo gli sforzi disperati dei più umili mozzi per svuotare le sentine che pericolosamente si riempiono all’inverosimile.
Acqua che si mischia alla morchia. E liquidi maleodoranti debbono essere pompati e riversati in mare in tutta fretta. Il viaggio per i passeggeri da crociera si trasforma in una esperienza assurda, a volte allucinante, un incubo, da dimenticare. Alghero è una città che sempre più si presenta in effetti con questi tratti, come città costruita per gli assenti, persone che non ci vivono per gran parte dell’anno ma che posseggono o affittano un appartamento o prendono comunque alloggio in una struttura ricettiva (dal campeggio, all’albergo di lusso) per viverci un breve periodo nella “bella stagione” (persone condannate ad una esperienza di disagi per inefficienze e sovraffollamento). E’ una città, che comprime, schiaccia e scaccia altrove i suoi abitanti fissi (alcuni costretti a cercar casa ad Olmedo), e viene sempre più costruita per quella popolazione che nei testi specialistici si definisce appunto “fluttuante” e che in teoria (secondo alcuni sarebbe addirittura un sogno) potrebbe crescere all’infinito. Una città costruita per gli assenti, che diventano la maggioranza dei suoi utenti, ha in effetti analogia con i cimiteri, dove riposano “i più”. La “necropoli contemporanea” che stiamo costruendo è una città che inesorabilmente non è vivibile, una città con servizi insufficienti, infrastrutture mal gestite, edilizia di scarsa qualità, socialmente ed economicamente asfittica.
La popolazione fluttuante, assente undici mesi all’anno, dovendo passare qui un breve intervallo di tempo della sua vita, è in fondo disposta ad adattarsi ( le anguste cuccette di una nave di linea possono bastare, quando il viaggio è breve), ed essendo divenuta nel tempo “maggioranza”, di fatto costringe la popolazione residente ad adattarsi. Un architetto italiano oggi molto famoso, anni fa, dopo aver progettato e realizzato gli ampliamenti di alcuni cimiteri storici, in una intervista al Manifesto aveva confessato: “Mi sono accorto subito che l’utente aveva le esigenze ridotte letteralmente all’osso, gli unici insoddisfatti si trovavano nella categoria dei parenti”. Ecco, una città costruita per gli assenti costringe anche i presenti, coloro che ci vivono tutto l’anno, entro ambiti angusti e soffocanti (in tutti i sensi, sia fisici che culturali). Il luogo diventa un loculo. E i locali, come tutti i parenti abbandonati qui dai “passati a miglior vita” (che per undici mesi all’anno tornano alle loro case), si dovrebbero lamentare: inconsolabili.  Nella nostra città di fatto si maltrattano i vivi ma è anche vero che non si rispettano neanche i morti. Eccone un esempio emblematico, quello che si potrebbe chiamare: “l’angolo dei vivi e dei morti in via degli Orti”. Mi riferisco alla fermata capolinea dell’autobus navetta che collega vari quartieri della città con gli uffici e ambulatori dell’ASL.
Si tratta di una linea messa evidentemente a disposizione per le tante persone, molte delle quali anziani, che debbono recarsi lì per usufruire dei servizi sanitari. La fermata non dispone di una pensilina che possa riparare le persone dal vento e dalla pioggia in inverno e dal sole cocente in estate.
Nè tanto meno di una panchina per una più comoda attesa. Si trova accanto a due cassonetti dell’indifferenziata, una campana per il vetro, che gronda liquidi di ogni genere, e un contenitore dell’umido. Potete immaginare gli odori nauseabondi che ne fuoriescono e che diventano insopportabili con il caldo. In alcune giornate si aggiungono anche le buste della plastica e spesso rifiuti impropriamente depositati.  Nascosti dietro questi contenitori di rifiuti, sono lì affissi i manifesti che ricordano i nostri cari defunti, incollati malamente, in basso, quasi a terra, sullo zoccolo in muratura della recinzione di un istituto scolastico.  Volti di un’umanità a noi tutti familiare che ci ha lasciato da poco, in questo luogo divenuto ancor più triste. Accanto, su una ampia parete destinata alle vanità, giganteggiano sfrontatamente gli ingannevoli manifesti pubblicitari commerciali e di propaganda politica a pagamento.
Segno dei tempi in una città scaduta ai più bassi livelli.  Un’offesa alla decenza, una mancanza di rispetto per i vivi e per i morti, sotto gli occhi di tutti e proprio sotto la casa dell’ex sindaco Marco Tedde. Che evidentemente in questi ultimi sette anni, ossia da quando è stata istituita quella fermata, ha avuto altro a cui pensare e altro da fare. Non ha avuto modo di notare quell’ “angolo dei vivi e dei morti” in una città che lui stava costruendo per gli assenti, insieme ai paganti.

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