La paura è figlia dell’ignoranza. Il caso Austria (2)

16 Maggio 2016
Austrian right wing Freedom Party (FPOe) top candidate Norbert Hofer (R) and top candidate Alexander Van der Bellen, supported by The Greens, react ahead of a television debate in Vienna, Austria, 15 May, 2016. The presidential run-off vote will take place on 22 May 2016.  ANSA /LISI NIESNER

Austrian right wing Freedom Party (FPOe) top candidate Norbert Hofer (R) and top candidate Alexander Van der Bellen, supported by The Greens, react ahead of a television debate in Vienna, Austria, 15 May, 2016. The presidential run-off vote will take place on 22 May 2016. ANSA /LISI NIESNER

Rita Monaldi e Francesco Sorti

(Prima parte). Nota preliminare: alle presidenziali il verde Van der Bellen vince per un soffio con il 50,3% contro l’ultranazionalista Norbert Hofer. Questo articolo serve anche per capire come si è quasi arrivati alla vittoria del candidato di estrema destra, mancata solo per 31 mila voti).

Fattore da non dimenticare: dal 2007 in Austria si vota già all’età di 16 anni. Osserviamo un po’ quale preparazione è prevista, per questi neo elettori, dal sistema scolastico vigente. Anzitutto il corpo docente. È lecito e normale, perfino nei ginnasi, che un laureato in educazione fisica abbia due o tre cattedre: oltre che della sua disciplina, anche di tedesco, storia, inglese, francese, matematica, informatica, biologia, musica, chimica eccetera. Si può immaginare con quale competenza.

In Germania deve regnare una situazione analoga: in una collana di testi (peraltro alquanto sintetici) di storia della letteratura tedesca per medie e licei ci è capitato di leggere un avviso che tranquillizza i professori ignoranti: “Questo libro è adatto anche a docenti non esperti della materia”. Se in Austria il professore è impreparato e/o pigro (e succede), non si può fare nulla: il preside non ha poteri sulla didattica e neppure i genitori. La cultura del dialogo scuola/famiglia che noi italiani abbiamo sviluppato a partire dai decreti delegati degli anni ’70 è quasi del tutto sconosciuta.

Poi, le materie. Nella prima classe del ginnasio umanistico austriaco (=liceo classico) la storia o non figura proprio tra le discipline o, al massimo, ce n’è una sola ora a settimana (impartita, non dimentichiamolo, da uno degli insegnanti “multifunzione” di cui sopra…). Il libro di testo approvato dal ministero è alto 3 millimetri per un programma che va dalle origini alla fine del medioevo, ossia quanto in Italia si studia in tre anni. Una sequela di nozioncine in pillole da mandare a memoria.

Un confronto ragionato col passato non è possibile: non esistono le nostre interrogazioni (non previste dal programma ministeriale), ma solo due test scritti all’anno. In tutte le materie, i compiti in classe si fanno col cronometro costantemente alla mano (come accade d´altra parte anche nel sistema francese): i tempi concessi sono all’incirca la metà o un terzo di quelli previsti in Italia. Quando l´obiettivo sono le “competenze” e non le “intelligenze”, diventa molto più importante insegnare a fare le cose rapidamente che a penetrarle, ad approfondirle, ad amarle. In una parola: a capirle.

Altro esempio: lo studio sistematico di storia dell’arte e di storia della letteratura da tempo è scomparso dai programmi ministeriali, perfino nei ginnasi. E non stiamo parlando di malfunzionamenti, bensì del frutto legittimo del sistema scolastico vigente. Quel poco di luce spot che si poteva ancora puntare su singole opere o autori, si è spento quando tre anni fa è stato riformato l’esame di maturità. Le cose non vanno molto meglio all’università. Durante una lezione tenuta a studenti universitari di Italianistica sulla Vienna barocca, in cui si ambienta il nostro romanzo Veritas, abbiamo scoperto che nessuno sapeva che l’italiano è stato per secoli la lingua ufficiale di corte nella capitale asburgica.

Non conoscendo la storia dell’”altro”, il suo passato, lo si teme quale (pericoloso) usurpatore. L´equazione “straniero=divoratore di risorse” viene estesa alla cieca a tutti gli ospiti provenienti da altri paesi. “Ausländer”, cioè “straniero”, è oggi per molti un insulto, non importa se indica uno spacciatore di droga o un artista, un clandestino o un funzionario di ambasciata. E questo in un paese dove alcune scuole hanno un tasso di scolari stranieri del 90%.

Nelle scuole non viene fatta prevenzione contro la xenofobia: non viene sentita come un problema. Opinione comune è che in Austria praticamente non esista. Questo ci rammenta un costante motivo di irritazione che hanno i tedeschi verso gli austriaci: i primi accusano i secondi di non provare il famoso Schuldgefühl (“senso di colpa”) per il passato nazista col pretesto che sotto il nazismo l’Austria non esisteva più, in quanto annessa alla Germania nel 1938 col nome di Ostmark. Si può capire i tedeschi: l’Austria rappresentava circa l’8% del Terzo Reich, ma gli austriaci erano il 40% tra gli esecfutori materiali dell’Olocausto voluto da Hitler, del resto anch’egli austriaco.

Secondo il settimanale austriaco Profil, l’Austria è il paese da cui arrivano meno visitatori al mondo ad Auschwitz. In un sondaggio condotto tre anni fa dal quotidiano Der Standard, ben il 42% degli austriaci trova che l’era di Hitler abbia prodotto anche cose positive. In Germania il quotidiano Die Welt riporta che già nel 2010 un sondaggio analogo (“senza lo sterminio degli ebrei, Hitler verrebbe considerato oggi un grande statista?”) aveva fornito un 10,5% di sì.

Migliore trattamento – grazie anche alle associazioni caritatevoli – riceve il profugo, guardato per lo più paternalisticamente, ma i molti matrimoni misti che ne sono derivati, ad esempio con africani, non hanno affatto condotto a un cambio di mentalità, al contrario. Il fenomeno ricorda l’Austria quanto mai classista, pur se assistenzialista, di 300 anni fa. Nella Vienna dell´impero asburgico in cui si svolge il nostro romanzo Veritas, si elargiva gratuitamente ai poveri un chilo di carne a settimana. Nei ristoranti il medesimo ricchissimo menù veniva fatto pagare poco alle classi inferiori, e il triplo a quelle superiori, purché le prime però giungessero presto, in modo che i benestanti al loro arrivo non ne dovessero “sopportare” la presenza.

L’ignoranza genera paura, e questa si esprime con l’aggressività. La prova del nove? Il tasso di mobbing nelle scuole austriache è il più alto al mondo: stando ai dati OCSE del 2015, su 27 paesi la repubblica alpina è al primo posto (l´Italia invece è penultima). La cosa è finita sui giornali, ma i governanti hanno fatto finta di niente. Il partito socialdemocratico anzi rincorre nella caccia al voto anti-stranieri la FPÖ fondata dal defunto Jörg Haider e ora guidata dal populista-xenofobo H.C. Strache.

La campagna elettorale del 2010 per la rielezione del sindaco socialdemocratico comprendeva mega manifesti col sindaco al centro, rivolto di tre quarti verso chi guarda: il primo cittadino aveva da una parte, quasi dietro le spalle, due sorridenti immigrati di pelle scura, un operaio in salopette blu e una donna delle pulizie, e si rivolgeva sorridente a una giovane famiglia di biondi benvestiti con marmocchio. Come dire: solo noi socialdemocratici possiamo far convivere le due parti della società: quella che lavora e pulisce per l’altra parte, quella dei biondi.

Tutti gli altri partiti appaiono quindi o troppo a sinistra (Verdi), o troppo a destra (cristiano-democratici, liberali). Come si vede, anche qui è decisivo il fattore storico ed educazionale. L´Austria dimentica che negli anni ´60 aperse un vero e proprio sportello per le assunzioni in Turchia; anche per questo tradizionalmente in Austria i turchi sono il più forte gruppo etnico straniero (mentre ad esempio in Italia quasi non se ne trovano).

Vennero imbarcati operai a centinaia: al contrario di austriaci e slavi, il maschio turco non beve e fa gli straordinari senza tante storie, dato che in famiglia detta legge. L´immigrazione (anche islamica) è stata dunque voluta e organizzata dagli austriaci stessi. È pura ignoranza del passato, adesso, credere di essere stati “invasi” e di avere diritto a restare separati dagli “invasori”.

Riassumendo: dov’è dunque il bandolo della matassa? Non nella pur fondamentale prassi socioeconomica, nella gestione tecnicistica “dall’alto”, nella “distribuzione” più o meno a pioggia del welfare, bensì nell’abbinamento del welfare stesso ad una adeguata “dottrina civile”. Welfare e scuola, anziché interagire in modo virtuoso, hanno finito per innescare un circolo vizioso. E la questione austriaca è esemplare per tutti i paesi della UE che stanno riscoprendo pruriti razzisti ed estremistici.

Urge un recupero di coscienza storica e di identità culturale, di capacità di fare i conti con il proprio passato e di educare al pensiero. Di qui l’importanza capitale delle materie umanistiche nel sistema scolastico e culturale di ogni Paese. Quando la scuola avrà assolto al suo compito di educare al pensiero, le nuove generazioni saranno state istruite anche al rispetto reciproco: l’autentico welfare e non il club del “si mangia, si beve e si balla” all’insegna del “meno siamo, meglio stiamo”.

Urge pertanto una riforma radicale, in controtendenza: l’abbandono della corsa dissennata all’acquisizione delle famigerate “competenze” e l’ingresso in forze della storia (incluse storia dell’arte e della letteratura) nelle scuole, per intraprendere una rieducazione in full immersion al ragionamento e alla considerazione dell’”altro”. E non solo per rieducare gli europei, ma anche i paesi dove non si mangia, non si beve e non si balla, e dai quali si riversano in Europa, giorno dopo giorno, incalcolabili masse umane.

Articolo pubblicato su Micromega online e ripreso da il manifesto di Bologna.

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