La politica italiana e il marketing sardo

13 Agosto 2015

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Ivo Murgia

Pubblichiamo una riflessione di Ivo Murgia, operatore culturale in lingua sarda, sul rapporto tra la politica italiana e il marketing sardo (Red).

Che uno stato persegua i propri interessi è quanto di più logico si possa immaginare, e aspettare. Così come è perfettamente comprensibile la tutela delle proprie produzioni, delle proprie opere di ingegno, dei propri artisti e via discorrendo. Ha perfettamente senso, per esempio, la giusta battaglia che l’Italia fa per la tutela del Made in Italy, anche spalleggiata dall’Unione Europea, laddove anche per una questione di tracciabilità del prodotto, pretende che si indichi l’origine del prodotto stesso. Ed è anche innegabile che il Made in Italy, soprattutto in alcuni settori, ‘tiri’ parecchio e quindi muova flussi di denaro non indifferenti che il legittimo proprietario, giustamente, reclama. Tra le varie proprietà dello stato italiano rientra anche la Sardegna.

Difatti lo stato italiano dispone della Sardegna a proprio piacimento, semplicemente la usa per i propri interessi, riservandosi di utilizzarla anche come propria discarica, alla bisogna. Come detto, l’Italia fa i suoi interessi, e che questi siano dannosi per i sardi, non rientra nell’ordine dei problemi da affrontare né ora né mai. Data questa premessa, anche le nostre eccellenze sono diventate un affare italiano, dico affare non a caso, perché ancora di soldi si tratta. Tutto quanto la Sardegna abbia prodotto nel corso della sua storia, con la sua civiltà, la sua cultura, le sue opere e i suoi uomini sono ora di proprietà dello stato italiano, una terra aldilà del mare che dispone delle nostre ricchezze secondo le proprie necessità.

Quindi anche il mare sardo è diventato il mare italiano, per dire. Capita di vedere personaggi televisivi italiani a bagno nel nostro mare, vantare le bellezze del mare ‘italiano’, sentire chiamare artisti sardi, che per la nostra terra hanno lavorato e vissuto, artisti ‘italiani’ o leggere in fonti internazionali ‘italian island’ riferito alla Sardegna. Non c’è da stupirsi, fino a che staremo dentro lo stato italiano, questa è la situazione, noi non siamo più noi e siamo proprietà di qualcun altro, che pensa agli affari suoi, non certo ai nostri.

Eppure ci sarebbe da discuterne, sia dell’italianità, sia dell’appartenenza che della convenienza di una situazione simile. Alcune citazioni storiche possono aiutarci a chiarire il quadro. Fu Massimo D’Azeglio, ad avvenuta unità, a dire “Abbiamo fatto l’Italia ora dobbiamo fare gli italiani”, letteralmente inventarseli, dato che in effetti non esistevano. Su come si sia proceduto a fare gli italiani, non mancano certo le voci critiche, che contano della rapina dei beni del sud Italia da parte del nord e anche in Sardegna le altre campane esistono e si fanno largo, in dissonanza rispetto alla narrazione convenzionale e funzionale alla retorica patriottica italiana. Proprio rispetto ai sardi, fu un altro padre della patria, Dante Alighieri a sancire che questi non avevano niente da spartire con gli italiani:

Eliminiamo anche i Sardi (che non sono Italiani, ma sembrano accomunabili agli Italiani) perché essi soli appaiono privi di un volgare loro proprio e imitano la «gramatica» come le scimmie imitano gli uomini (De vulgari eloquentia)

Citazione sintomatica della considerazione della quale i sardi godevano in Italia, nonostante certi sardi oggi si sentano italiani speciali, più italiani degli italiani stessi, qualora gli italiani esistessero davvero aggiungerei. In effetti la lingua sarda aveva poco da spartire col volgare toscano ma per i cicli e ricicli della storia il dialetto toscano divenne a un certo punto la lingua italiana e la lingua sarda un dialetto italiano. Potere della politica. A proposito, il linguista italiano Tullio De Mauro ha sostenuto che al tempo dell’unità d’Italia (1861), circa il 2% della popolazione conosceva l’italiano.

E perché avrebbe dovuto conoscerlo dato che si trattava del volgare toscano?! E questo sfaterebbe anche la leggenda che l’italiano si sia imposto grazie ai suoi autori, Dante, Petrarca e Boccaccio. Parecchi anni dopo la loro morte, circa 500, la forza delle loro opere non aveva fatto granché per cambiare la situazione linguistica della penisola italica. Lo fece invece, la decisione politica di imporre il toscano, anche in ragione della bellezza delle opere di questi autori, con le buone e con le cattive maniere, a discapito di tutte le altre lingue autoctone, non solo quella sarda.

E non potrebbe essere che così, ci sono opere altrettanto straordinarie in altre lingue europee, che riuscirono a imporsi come lingua letteraria al di fuori del proprio confine, ma non per questo riuscirono e riescono a imporsi politicamente facendo cambiare la lingua ad altre nazioni o ad altri stati. I sardi infatti non abbandonarono, parzialmente per fortuna, la loro lingua perché improvvisamente presero a leggere Dante spasmodicamente, ma perché il toscano fu imposto con la forza in Sardegna a discapito della lingua locale, relegata a un ruolo marginale e poco prestigioso.

Caso emblematico in questo senso quello dell’occitano, lingua di cultura in Europa per secoli, marginalizzato per una scelta politica e ora ridotto a una lingua minorizzata tra i diversi stati della sua origine, senza che nessuno la abbia mai adottata ufficialmente; per quanto esistano oggigiorno alcune forme di tutela e casi di coufficialità (Val D’Aran, Catalogna). La lingua italiana, ex vernacolo toscano, quindi si è imposta non tanto per la sua grandezza letteraria, al limite la si è scelta per quello, ma per una decisione politica, coercitiva e a discapito di un’altra lingua, nel più classico dei mors tua, vita mea. Almeno nel caso della penisola italica ma si potrebbe anche rilevare una tendenza generale sul primato della scelta politica.

Se alla questione storica e culturale aggiungiamo quella geografica, l’appartenenza della Sardegna all’Italia appare ancora più problematica, essendo noi un’isola posta tra Europa e Africa e per definizione circondata dal mare. Espressioni come ‘la Sardegna e il resto della penisola’, regolarmente in uso nei media locali e continentali, suonano in questa accezione quanto mai ridicole: geograficamente parlando, un’isola non può far parte di una penisola.

L’ultimo punto è però il più ostico in assoluto, ed è quello della convenienza, e qui torniamo al discorso del Made in Italy. Fa una certa impressione vedere i prodotti della nostra tradizione culinaria col marchio Made in Italy stampato in bella vista, sapendo che quell’Italy c’entra davvero poco con le produzioni sarde. Che il pane carasau, is culurgionis, is malloreddus, le sebadas o il cannonau siano prodotti italiani desta una certa inquietudine, difficile da sedare. Eppure come detto l’Italia fa i suoi interessi, quindi anche impadronirsi delle nostre ricchezze gastronomiche rientra nel piano.

A suo diritto, dato che politicamente noi apparteniamo all’Italia. Ma l’inquietudine maggiore la desta il comportamento di certo marketing sardo, diciamo la verità. Si nota con disappunto un costante appiattimento pedissequo sul marchio Made in Italy, cercando di sfruttarne la fama internazionale e svilendo l’originalità delle nostre produzioni. Hanno un bel dire gli esperti di marketing che raccomandano la specificità locale e l’originalità del prodotto come unica carta da giocare contro l’omologazione crescente e la concorrenza spietata delle multinazionali dell’alimentazione.

Qui in terra sarda, la loro voce pare non arrivare mai. Addirittura si arriva a definire i prodotti sardi come tipici italiani, prodotti tipici italiani dalla Sardegna. E la nostra specificità? Quella che dovremmo spendere sul mercato? Bruciata dalla nostra stessa cecità. Io sono tutt’altro che un esperto di marketing ma mi sarei aspettato di vedere un lavoro in questa direzione, negli spazi concessi, insistendo sulla sardità delle nostre produzioni invece che un accodarsi al Made in Italy, sulla scia del successo altrui per succhiarne le briciole. Una cosa poco dignitosa davvero, un’astuzia, o presunta tale, che ci si potrebbe ritorcere contro nel lungo periodo. Ancora una volta si sceglie di essere la periferia di qualcun altro piuttosto che il centro di se stessi. Con tutto quello che ne consegue, in termini economici ma anche di autostima.

Servirebbero più mezzi forse, più politica ma sicuramente anche molta più coscienza di noi stessi e delle nostre potenzialità e capacità. La qual cosa, in certi casi, pare veramente di là da venire. Perfino nel marketing più spicciolo, quello da bancarella per intenderci, è tutto uno sventolare di bandiere italiane, invece che sarde, proprio dove si dovrebbero vendere i prodotti sardi direttamente dal produttore! Il giusto contrappasso ci viene da alcune testate italiane che parlando delle bombe che ora cadono nello Yemen, ci tengono a specificare che si tratta di ordigni Made in Sardegna, questa volta esplicitando chiaramente la loro provenienza. Sono bombe in effetti prodotte in Sardegna da una ditta italiana imparentata con un’altra tedesca. Curiosamente in questo caso le bombe non rientrano nel Made in Italy ma unicamente in quello sardo. Sulle bombe Made in Italy che ogni anno cadono in Sardegna e nelle teste dei sardi invece manco una parola. Corrudus e apaliaus insomma, ma anche questo comportamento è sintomatico della considerazione italiana verso i sardi, ai tempi di Dante come ai giorni nostri.

Sarà ingenuità, furbizia, la mancanza di visione o la crisi, ma sembrerebbero proprio comportamenti tipici da auto colonizzati. So che a molti questa parola disturba, ferisce e offende. Mi è capitato spesso di assistere a un’alzata di toni quando viene fuori questo termine. Molti allora si sentono in dovere di chiarire che loro non sono affatto colonizzati, salvo non rendersene conto e mettere in atto tutti i comportamenti tipici da manuale. Io non so trovare un altro termine ma se qualcuno me ne proponesse uno appena appena più soft, ma ugualmente incisivo, sono anche disposto a sperimentarlo e ad aggiornare il mio lessico. Una proposta lessicale la faccio pure io a questo punto ed è questa: l’orgoglio de bidda dei sardi. Sempre pronti a sbranarsi l’un l’altro quando si tratta di difendere sa bidda e su bixinau e ognuno per i fatti suoi o tutti in fila dietro la bandierina italiana quando si tratta di difendere la Sardegna intera e i suoi interessi.

Le varie amministrazioni altrui dei nostri beni, succedutesi nel corso dei secoli della nostra storia, le abbiamo già viste all’opera e i risultati sono sotto gli occhi di tutti, e allora quando ci decideremo a crescere, a riprendere in mano la nostra terra e la nostra ricchezza e finalmente anche le redini del nostro destino? O vorremmo essere gestiti per sempre da qualcun altro come eterni bambini?!

3 Commenti a “La politica italiana e il marketing sardo”

  1. pintus PEPPINU scrive:

    Buongiorno mi a commosso guasi alle lacrime , caspita sono anni e anni che mi sono reso conto del fato che discrivi, essondo emigrato con i genitori nelli anni 60 o acquisito una cultura non italiana , ma o mantenuto la nostra magari studiato per forza la cultura del paese dove sono emigrato. In effeti il mio italiano non sara academico , ma devi sapere che e una lingua che non o mai studiato a scuola ma su la strada al contato di italiani emigrati , pero sa limba mia cussa chi mama e babbu mana dadu dai sa naschida gia l’isco iscriere e faedare mi parede bene , pro esprimere su chi su coro e s’anima mi detada, su coro e s’anima legendedi mi narada ma proite non l’asa iscritu tue custa veridade chi sentisi dai annoso ? il guaio e che lo predico ogni volta che vado in Sardegna e mi rendo conto che i miei fratelli e sorelle Sarde sono talmente inquinate nel pensiero che non si rendono conto il drama nel quale vivono, anzi preferiscono compiacersi nelle lamentelle a non finire per denunciare il loro mal’essere e il mancato speranza per i suoi figli , ma non osano o non hanno piu la forza di riprendersi e di farsi un’esame di coscienza chiara. Il tuo scrito , “scusami del tu” ma alla mia eta mi prendo il permesso , e una cosa che dovrebbe essere la lettura quotidiana di tutti i SARDI afin che si rendono conto in quale trapola sono cascati e continuano a rimanerci senza vedere che cé una via piu gloriosa per loro e i figli
    Gratzie de coro con s’isperu de tincontrare una die

  2. am.sechi scrive:

    ite cheres chi ti nertza, su sistema est cussu, sos sardos de Sardigna non s’impignat prus de tantu pro cambiare sas cosas, isetant chi carchi bonu amigu lis feta àere unu postigheddu in carchi logu e si corca cuntentu, pro àere su chi tocata unu populu bi cheret impignu e sa motivatzione de totus, si mancat s’unidade, mancat totu, in pagos non servit a nudda, pro otennere cunsideru tocat de essere in medas, e chie los at bidos prus sos sardos unidos pro sa difesa de sa sardidade?prima e totu depiant pensare a difenfere sa limba sarda ca est sa prima cosa chi marcat s’identidade, imbetze sa limba sarda no est in logu, in in sigunda limba ant postu s’inglesu, sa penisola at semper tiradu profitu dae sa Sardigna e dae sos sardos, impontzende,nos su chi in Roma detzidint e faghent chi nos piaghet o nono; in terra sarda nde imbiant e imponent su chi cherent e si puru riconnoschent carchi bonu mercadu in sardigna su profitu l’as sempre sa busciacca de sos continentales, ite nd’at sa terra sarda?e ite faghent sos sardo pro otennere? limba, continuidade territoriale, trasportos esternos e internos, iscolas, oia si cumintzamus a narrer totu coltzos nois!

  3. Ivo Murgi scrive:

    Gràtzias po custus fueddus galanus amigus mius! A si biri in terra sarda sanus e allirgus!

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