Sibilla Aleramo e la voce delle donne

15 Giugno 2007

Paola De Gioannis

Il movimento delle donne che aveva mosso i primi passi già nel Settecento francese, realizza le sue maggiori conquiste sul piano dei diritti e delle condizioni materiali di vita, subito dopo la prima guerra mondiale. Ma negli anni immediatamente successivi, pur senza scomparire, conosce un lungo periodo di crisi. E’ allora che in Europa si levano alte e isolate le voci innovatrici e sensibili di Virginia Woolf e Simone de Beauvoir.
In Italia, Una donna di Sibilla Aleramo, pubblicato nel 1906, si pone come romanzo cardine dell’emancipazione femminile agli inizi del secolo. Per questo l’Aleramo, dopo aver dato numerosi e più raffinati lavori in prosa e in versi, continuò, negli anni maturi, a rievocare con affetto particolare proprio quella sua prima opera. Essa rappresentò infatti, per la sua epoca, un coraggioso documento per taluni aspetti unico e conobbe un po’ dovunque un largo numero di traduzioni e ristampe. Il libro fece scandalo ed epoca ed ebbe persino un antidoto letterario in Una moglie della piemontese Maria di Borio che contrapponeva la resistenza, all’abbandono della pur violenta casa coniugale, la preghiera e l’attesa paziente, all’adulterio.
Una donna, tuttavia, non è soltanto la storia di una presa di coscienza femminile che si attua attraverso un travagliato rifiuto della maternità e del matrimonio, ma anche un’intelligente indagine della questione socialista e della condizione operaia nel centro-sud della penisola. A Cagliari, dove soggiornò più volte, nel novembre del 1952 in occasione della ristampa del libro, la Aleramo dichiarava esplicitamente “La nostra è una dolorosa lotta di liberazione compiuta e da compiere in sintonia con il movimento politico generale di emancipazione degli sfruttati di tutto il mondo”.
Nel 1910, l’inchiesta promossa dal ministero dell’Interno per rilevare il grado di maturità delle italiane in previsione della concessione del voto, raggruppava le “opere di donna” nel numero di 587, il 5 per cento soltanto di quelle maschili. Le quattro scrittrici italiane allora più note, Matilde Serao, Ada Negri, Neera e Grazia Deledda erano significativamente tutte autodidatte.
Secondo la Aleramo, inoltre, la differenza di genere nella forma e nel contenuto stenta ad apparire. In La donna e il femminismo (1897-1910), scrive, “le poetesse e le romanziere esprimono ancora una psicologia essenzialmente maschile, ci danno cioè dell’esistenza un’interpretazione perfettamente analoga a quella che ci danno gli uomini”. Il suo primo libro, al contrario, così come tutta la produzione successiva, è l’espressione di una nconfondibile psicologia femminile e un’acuta, sensibile analisi di un tormentato processo di creatività.
A rileggere quel romanzo letto tanti anni addietro e del quale è rimasto un ricordo, quasi un sentimento, un po’ vago ma affettuoso e costante, si avverte in verità qualche momento di fastidio. Disturba infatti l’accento ancora ottocentesco della prosa, la ricercatezza un po’ dolciastra della parola, l’insistito lacrimare di impronta scopertamente pascoliana.
Ma nel portare avanti la lettura, ci si accorge, quasi con meraviglia, di venirne via via intellettualmente ed emotivamente conquistati, proprio come accadde la prima volta quando lo percepimmo come uno strumento importante per la battaglia dell’emancipazione della donna. La lettura infatti, piuttosto che riportare indietro e collocare con distacco la vicenda in un passato ormai morto, riconduce con prepotenza al tempo presente e, quasi un’inchiesta sociologica, ritroviamo tutta l’inferiorità, il dolore assoluto e profondo in cui vivono ancora, in molte parti del mondo, le donne. E sorprende, a una rilettura così lontana dall’anno di pubblicazione che, nonostante la conquista di leggi e diritti, milioni di donne vivano ancora una loro silenziosa tragedia e non soltanto in quei paesi nei quali è vergognosamente praticata la lapidazione o la stessa pena di morte, ma in molte parti del mondo cosiddetto civile.
La violenza sulla donna è oggi tragicamente in aumento. Noi donne rispondiamo con doloroso stupore ma sembriamo ormai incapaci di un nuova stagione di impegno, vigilanza e analisi di una società complessa nella quale il valore della persona appare troppo spesso mortificato. Viene veicolata quotidianamente, con insensibile indifferenza, anche dalla tv dello Stato, una cultura della forza e dell’aggressività dalla quale è sempre più difficile difendersi. Descrizioni particolareggiate delle armi e del loro funzionamento, soprusi, prevaricazioni dissacrano senza alcuno scandalo, la dignità della morte e lasciano pensare che ogni uomo abbia il diritto di togliere la vita all’altro uomo.
Dov’è la voce dei potenti e dei benpensanti? Costrette a sopportare ipocrisia e tradimento, violenza e immoralità, ben mascherati dietro un apparente perbenismo, queste donne sperano col silenzio, di difendere quello che appare loro come il bene dei propri figli, impedite nella paura, di riconoscere a se stesse che il bene reale consiste, all’opposto, nel tenerli lontani da un modello umano così crudelmente negativo. E sorprende, infine, come fu per Sibilla, che la legge non sempre sappia interpretare con tempestività la verità di questi rapporti così pesantemente opprimenti e diseguali.
Il romanzo dell’Aleramo è ancora dentro la storia. Il tempo presente porta con sé nuove differenze, evidenti emarginazioni, orribili schiavitù. Nella civiltà degli oggetti e della comunicazione, la donna è percepita troppo spesso come immagine-oggetto che attraverso l’esposizione del proprio corpo può, per un verso, favorire sempre maggiori profitti, e per altro verso concedere a se stessa un’illusoria, effimera popolarità con la quale nulla hanno a che fare il talento, la creatività, la reale autonomia. La donna-oggetto spesso privata della sua stessa dignità, ha oggi registrato clamorosi passi indietro. Dov’è la voce delle donne?

3 Commenti a “Sibilla Aleramo e la voce delle donne”

  1. rita scrive:

    la sensibilità con cui è trattato questo argomento ci fa capire che non tutto è perduto e la speranza che la dignità della donna sarà un bene per tutte non è vana.brava paola e grazie

  2. Silvia scrive:

    Pensare, pensare! Come avevo potuto tanto a lungo farne a meno? Incomincio a pensare se alle donne non vada attribuita una parte non lieve del male sociale.
    Come può un uomo che abbia avuto una buona madre divenire crudele verso i deboli, sleale verso una donna a cui da il suo amore, tiranno verso i suoi figli? Ma la buona madre non deve esere come la mia, una semplice creatura di sacrificio: deve essere una donna, una persona umana.
    Una Donna, Sibilla Aleramo

    Complimenti per l’ articolo.

  3. Francesca scrive:

    Grazie per questa riflessione così tristemente vera e attuale. Ancora oggi essere donna significa portare il peso di una categoria oggetto di discriminazione. identità umana ancora negata in molte realtà.
    La voce delle donne, è vero si fa fatica a sentirla….D’altro canto nel chiasso del mondo moderno, forse ,non è così facile farla emergere, forse non bastano le energie per urlare. La donna, oggi, deve sempre di più dividersi tra i tanti ruoli che le vengono assegnati (compagna, moglie, madre, lavoratrice, amica, amante) deve essere rassicurante e gentile ma anche sensuale e caparbia…e per riuscire a soddisfare tutte queste aspettative tal volta può perdere la forza di lottare. Questo l’errore più grande. bisogna, invece, continuare ad impegnarsi per poter garantire a ciascuna di noi di essere semplicemente se stessa, una persona umana libera, con le proprie aspirazioni e fragilità. I diritti acquisiti vanno tutelati e riaffermati ogni giorno. Non stanchiamoci di farci sentire

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