La rivoluzione copernicana maschile

1 Giugno 2013
Cristina Ibba
Nel 2012 circa trecento donne sono state ammazzate dai mariti, fidanzati, amanti (quasi una al giorno). Gli assassini sono al 98% italiani, e sono italiani anche il 90% degli autori dei circa 350.000 stupri compiuti ogni anno nel nostro paese (circa 100 al giorno).
Troppo spesso i giornali trattano la questione come semplici fatti di cronaca e parlano delle donne solo come povere vittime bisognose di tutela perché più deboli. Così come l’assassino viene sempre descritto come un malato, un folle, un geloso cronico, una persona incapace di stare in coppia.
Nelle cronache quotidiane infatti nessuno si è azzardato finora a sottolineare che siamo di fronte ad una irrimandabile “questione maschile”, una questione che non può essere affidata semplicemente ad aule giudiziarie o a divisioni psichiatriche, ma che interroga la società nel suo complesso e gli uomini in particolare.
Stiamo parlando di violenze commesse da persone di ogni strato sociale, acculturate e con titoli di studio. Del resto altrimenti non si capirebbe perché questo problema riguarda molti paesi europei dalla Spagna all’Italia, dalla Svizzera alla Svezia e non solo paesi poveri o periferie degradate  delle nostre metropoli. Né d’altra parte si capirebbe perché la maggior parte degli omicidi domestici avviene nel nord Italia e in particolare in Lombardia, ovvero in regioni ricche ed “avanzate”.
Dunque non è una violenza dovuta all’emarginazione o all’ignoranza di esseri diversi ed alieni che ancora nel XXI secolo a Milano, a Roma, a Torino, come a Madrid, a Barcellona, Helsinki e Stoccolma guardano alla donna come essere inferiore.
In passato le relazioni tra uomini e donne erano costruite su ruoli, obblighi sociali, progetti famigliari, calcoli economici, relazioni di potere e talvolta di coercizione.
Non che tutto questo si possa dire completamente scomparso, ma certamente oggi i legami tra donne e uomini, compresi quelli familiari, si fondano in misura molto più rilevante su dimensioni emotive, sulla capacità di comunicazione e comprensione reciproca, su rapporti di intimità, sulla fiducia e sul rispetto, sulla disponibilità al dialogo e sull’adattamento reciproco.
In altre parole il rapporto di coppia non è dato una volta per tutte, ma è frutto di una contrattazione, di un’intesa e di una fiducia  che vanno costantemente riaffermate.
Alla costruzione di questa condizione ha dato un contributo fondamentale il movimento femminista degli anni ’60 e ’70 e l’avvento del senso di libertà, di autonomia e di differenza che le donne hanno saputo imporre a tutta la società.
Oggi questa violenza sulle donne sembra nascere dall’incapacità da parte degli uomini di accettare e accogliere un’autonomia e una libertà già entrate nella vita di molte donne.
La violenza colpisce le donne che non accettano più di essere supporto permanente dei bisogni dell’uomo; le donne che aprono conflitti, che cercano di rifarsi una vita da sole o con qualcun altro, che decidono di portare avanti autonomamente una gravidanza.
E’ necessario quindi che questo problema diventi il centro di un’iniziativa politica e culturale.
Dico politica perché credo che la violenza sulle donne sia espressione di un sistema di valori, di un modello di relazioni, di un’ idea della sessualità che deve essere posta al centro di una pratica collettiva di trasformazione.
Se la politica non è solo gestione delle istituzioni, ma conflitto nella società, è necessario aprire nelle nostre scuole, nelle nostre città, nei luoghi collettivi di partecipazione un grande conflitto per una diversa civiltà delle relazioni tra donne e uomini.
Penso quindi che  sia necessario spostare l’ottica dalle donne uccise a coloro che le uccidono. Interrogarli. Chiedere loro come è possibile. Chiedere una presa di parola maschile. La violenza contro le donne non è un fatto residuale. E’ un elemento che investe in profondità teoria e pratiche politiche, che interroga il rapporto donna-uomo nella sua complessità.
Senza un percorso di liberazione maschile non si può costruire un rovesciamento complessivo e radicale che le donne chiedono a se stesse  a partire dal sovvertimento dei ruoli di potere maschile.
Quindi il tema della violenza sulle donne riguarda tutte e tutti. Riguarda la politica, riguarda le istituzioni. Le leggi non sono mai neutre, anzi storicamente sono sempre state uno degli strumenti privilegiati di perpetuazione del potere patriarcale in Oriente come in Occidente. E’ solo dal 1996 che la violenza sessuale viene considerata un reato contro la persona e non contro la morale, diciassette anni fa, non un secolo fa.
E’ un nodo intricato di passioni vecchie, che richiede un lavoro di scavo nel profondo, in quell’intreccio di storia, di saperi, di desideri scritti sul corpo e di quella modernità che ci investe, ma non spazza via tout-court il passato . E’ dentro questa cornice che vanno pensate le soluzioni, le strategie, le politiche da proporre.
Le risposte repressive che vengono dalle istituzioni in Italia, sia a livello locale che a livello nazionale, non solo sono inutili perché spostano il problema dalle relazioni intime e dalla famiglia alla strada, ma sono fuorvianti perché pensano di modificare di poco il sistema, non di cambiarlo radicalmente.
E‘ la casa e non la strada il luogo più pericoloso per le donne, perché la famiglia produce e riproduce i rapporti di forza patriarcali. Ovvero è proprio nella famiglia che si consolidano i tradizionali ruoli femminili e maschili e le “normalità” della violenza riguardano le nostre relazioni quotidiane.
Occorrono politiche sociali e culturali. Occorre prevenire, educare, mettere in moto gli antidoti culturali che servano.
Se è vero che ai maschi spetta di fare una rivoluzione copernicana e di destrutturare la loro idea di dominio sulle donne, tocca alle donne qui e ora prendere in mano la situazione, senza vittimismo e senza moralismo.

1 Commento a “La rivoluzione copernicana maschile”

  1. irene marrone scrive:

    tutto condivisibile e ringrazio Il Manifesto sardo per praticare una costante attenzione sul problema. unico appunto sulle prime righe, i femminicidi (femmicidi) in Italia l’anno scorso sono stati 124, prendo il dato dal sito Casa delle donne di Bologna per non subire violenza, che da quasi 10 anni è l’unico osservatorio nazionale, non istituzionale, sul problema. ancora grazie e buon lavoro

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