La Sardegna tra forconi e politiche irresponsabili

16 Dicembre 2013
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Marco Ligas

È probabile che la rivolta dei forconi nasca come ribellione spontanea. In Sardegna sembra prevalente questa caratteristica. Ma il movimento non è omogeneo essendo molteplici e di natura diversa i gruppi sociali che esprimono il malcontento e la protesta.
Sicuramente al suo interno ci sono lavoratori colpiti dalla crisi, cittadini esasperati che hanno perso il lavoro e non riescono, con i loro redditi sempre più falcidiati dal costo della vita, ad arrivare alla fine del mese.
È perciò comprensibile che contrastino anche con rabbia le politiche delle attuali classi dirigenti.
Ma non bisogna sottovalutare altri aspetti: è innegabile che dietro le posizioni anticasta e anticorruzione siano presenti atteggiamenti di intolleranza e di razzismo riconducibili agli obiettivi di chi non apprezza e non intende tutelare la democrazia. Se no, come interpretare la presenza di gruppi che dichiarano apertamente la loro appartenenza a formazioni neo squadriste e che poco hanno a che vedere con gli effetti della crisi?
E che dire di quei lavoratori autonomi che, pur presenti da protagonisti nella rivolta dei forconi, svolgono le loro attività professionali considerando il fisco un onere facoltativo, un accessorio ingombrante di cui è bene sbarazzarsi?
L’esplosione della protesta richiama comunque le responsabilità di chi, nel corso di questi anni, ha governato il paese in modo irresponsabile sostenendo per un verso le politiche voraci e distruttive del capitalismo finanziario e per un altro verso dilapidando il denaro pubblico attraverso la corruzione e l’autoconservazione della casta con prebende del tutto ingiustificate.
Davanti a processi di questa natura e di tale ampiezza risulta persino derisorio l’invito alla moderazione che viene rivolto al movimento dei forconi da chi si trova nelle posizioni di potere. Evitate la violenza, viene detto ai manifestanti, non accettate le provocazioni degli estremisti perché non producono alcun risultato. Già, come se il loro modo di governare non fosse la causa principale del malessere sociale.
In Sardegna le responsabilità della crisi sono più evidenti che mai e l’approssimarsi delle elezioni regionali le accentuano. C’è da parte del governatore regionale e della sua giunta un atteggiamento persino sprezzante nei confronti del popolo sardo. Qualunque cosa succeda nell’isola, compreso il disastro del 18 novembre, le scelte e i progetti che vengono presentati per uscire dalla crisi sono costantemente orientati alla riconferma dei loro incarichi nei posti di comando. Sono disposti a svendere la Sardegna consegnando interi territori agli acquirenti di turno, questa volta agli emirati del Qatar, oppure ad alcune società giapponesi. Ai primi verrebbe ceduto l’ospedale San Raffaele di Olbia e concessa la possibilità di costruire mezzo milione di metri cubi per nuove volumetrie immobiliari. Ai secondi, i giapponesi, sarà consentita la realizzazione di quattro centrali solari e termodinamiche diffuse in altrettante aree dell’isola.
Come è noto la Sardegna ha un estremo bisogno di nuove costruzioni residenziali, soprattutto in prossimità delle coste, e di nuove centrali che producano energia!
La sfrontatezza di Cappellacci è tale che presenta questi progetti come scelte finalizzate allo sviluppo e alla creazione di nuovi posti di lavoro. Ripete queste parole con disinvoltura e indifferenza come se dovesse adempiere ad un obbligo formale. Non ha importanza se ha davanti a sé l’amministratore delegato della Qatar Foundation o un cassintegrato dell’Alcoa.
Chissà, forse si comporta così perché è consapevole dell’inconsistenza dei suoi avversari(?) politici, troppo impegnati nella ricerca dei candidati alle prossime elezioni regionali o nella definizione delle coalizioni.
Si può fare qualcosa per uscire da questo pantano? Luciano Gallino, in una intervista recente, ha dichiarato che sarebbe necessario che ciascuno di noi parlasse di questi problemi nei posti che frequenta, che lo facesse con determinazione. Forse non è tutto ma già sarebbe un primo passo utile.

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