La spartizione delle statue nuragiche

31 Dicembre 2011

Marcello Madau

Ho voluto vedere con calma l’esposizione delle statue di Mont’e Prama nel Centro Regionale di Li Punti. Non amo le cerimonie ufficiali, anche se a volte sono inevitabili. Le amo ancora di meno quando dietro di esse si preparano misfatti culturali. Ne ho già scritto, esprimendomi contro l’irragionevole divisione del complesso statuario (ecco il link a Guerrieri con l’Arcus). Quando però i giochi sono politicamente ed economicamente fatti, a poco servono, almeno sinora, i ragionamenti scientifici.
Chiunque visiti la bellissima esposizione di Li Punti (che speriamo venga prolungata), è catturato dalle relazioni, o dall’esistenza di una trama magari ancora nascosta ma che si percepisce tra le statue: della stessa tradizione di bottega, cioè nuragica, ma non della stessa mano e forse non della stessa epoca. E da una trama strettissima fra le statue e la serie impressionante dei cosiddetti modellini di nuraghi, di varia foggia. Alcuni dei quali (almeno due con molta probabilità) appaiono piuttosto dei capitelli. Pareri diversi fra gli studiosi; io sono fra chi è convinto che vicino alla necropoli dovesse esserci un tempio, in forme tutte da scoprire, dove stava il grandioso complesso memoriale. Che tempio e necropoli stessero assieme. Che l’uno fu distrutto, rovesciando le statue sulle tombe, forse dai Cartaginesi.
Un’operazione violenta, decisa, alla quale rimandano le fratture antiche di busti e arti, persino i tagli netti dei nasi.
“Vi distruggiamo il santuario della memoria, e la sua distruzione la rovesciamo sulle vostre tombe” fu, se è valida l’ipotesi, il messaggio.

E le statue hanno uno slancio architettonico notevole, evidentemente relative – come è noto – a precise tipologie nuragiche già note da alcuni bronzetti (che forse da esse discendono): guardandone i profili, i rimandi mi pare non vadano solo allo stile cosiddetto di ‘Abini’, ma anche a quello – ritenuto più ‘aulico’ – di Uta. Questa comunanza di raffronti in due gruppi stilistici diversi potrebbe rappresentare un serio indizio della precedenza delle statue sui bronzetti ‘militari’ (non è da escludere, ma preferisco l’ipotesi precedente, che le statue diano forma unitaria a iconografie esistenti).
Così tante (il numero reale arriverebbe almeno a 35) tramandano un racconto che ora ci tocca interpretare, ma che allora doveva presentarsi unitario alla comprensione delle genti che andavano in quel santuario.
Inizialmente la piattezza della parte posteriore mi ha fatto pensare, pur con molti dubbi, all’appoggio a qualche parete. O a poco spazio oltre il corpo. Eppure ci sono decorazioni, e faretre, che vanno attorno al corpo.
Ma la visione mi appare comunque dotata di forte efficacia frontale, come ogni statua celebrativa che si rispetti.
Vanno osservate, e studiate, assieme. “Modellini” di nuraghi compresi.
Statue di eroi e nuraghi. I segni di riferimento identitario, diremo oggi, che la gens di Monti Prama trovava nei suoi atletici eroi e nelle poderose architetture del nuraghe.
I contos eroici non vennero scritti con le parole, come fece Omero, ma con la pietra, fra la seconda metà dell’ottavo ed i primi decenni del settimo secolo a.C. Racconti di tempi passati, origini gentilizie e grandi costruttori: ciò che spiega l’offerta di così tanti nuraghi in pietra. Di relazioni mediterranee impostate a partire dalla propria forza plurisecolare.
La bottega artistica, che dovette essere indubitabilmente nuragica, operò in linguaggio indigeno e internazionale, come indicano con evidenza le capigliature, alcuni particolari della testa ed alcune sintassi decorative nel vestiario e negli accessori che riportano a manufatti vicino orientali.
Credo che ospitasse un maestro di quelle regioni. Le botteghe multietniche erano per le grandi committenze, d’altronde, fatto non insolito. Peraltro il cimitero fenicio della vicina Tharros ospitava sepolture nuragiche di rango.
E’ stato davvero bello aggirarsi nell’esposizione (complimenti a tutto il Centro di Restauro di Beni culturali di Li Punti, e a chi ha progettato allestimento e supporti, felicissimi), impostata in criterio sequenziale dagli esemplari meno ricostruibili a quelli più ricostruiti, con quel tempo che è necessario per far emergere dubbi e pensieri, per controllare, tornando indietro, una consonanza, un collegamento o una differenza. I volumi talora diversi, ciò che fa pensare a diverse mani, in alcune statue. Le bellissime e raffinate decorazioni, alcune che rimandano ad altri supporti decorativi nuragici (come ad esempio i conci di Nurdòle).
Le statue si godono, studiano e capiscono assieme, ti immergono progressivamente nella percezione di una bellissima vicenda che piccoli interessi ‘particulari’ cercano di dividere. Se succederà sarà un errore gravissimo di cui i soggetti esecutori porteranno la responsabilità.
Assieme alle statue e agli altri documenti, è anche l’ impressionante paesaggio memoriale del Sinis che dovremo con le statue riscoprire e proteggere.
Qua le statue devono tornare, ma tutte.
Perciò trovo sensate le parole di chi lo sostiene, nella comunità oristanese ed in quella sarda. Perciò mi piacerebbe che tale comunità trovasse la forza di sottrarsi alla morsa del ‘poche, maledette e subito’, e tagliare alla radice l’orrendo patto della spartizione. Intanto lasciandole a Li Punti, dove la bellissima mostra, con ben altra promozione, dovrebbe essere a pagamento: destinando una parte degli introiti alle spese di gestione, e un’altra alla comunità del territorio di provenienza, col patto che essi servano per gli investimenti e la ricerca su Monti Prama.
E stipulando atti formali che consegnino a Cabras tutto il complesso archeologico, statue, capitelli e ‘modellini’, a realizzazione effettiva di un museo-laboratorio, in grado di ospitare e valorizzare il racconto che essi cercano di inviarci, e che noi stiamo per spezzare senza vergogna.

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