La truffa del referendum sull’insularità

23 Novembre 2017
[Red]

Pubblichiamo il comunicato dei comitati sardi per la democrazia costituzionale in merito al referendum regionale diretto a proporre l’inserimento del “principio di insularità” in Costituzione.

Da diverse settimane alcune organizzazioni politiche sono impegnate nella raccolta di firme per richiedere un referendum regionale diretto a proporre l’inserimento del “principio di insularità” in Costituzione. Si tratta di un referendum “consultivo”, che non produrrebbe alcun effetto giuridico nell’ordinamento. Il “referendum sull’insularità in Costituzione” non ricade in nessuna delle ipotesi di referendum consultivo previste dalla legislazione sarda vigente. Non si propone, infatti, nessuna modifica dello Statuto sardo, né si chiede al corpo elettorale di pronunciarsi su atti normativi e amministrativi regionali in via di formazione, né tantomeno concerne una questione «di particolare interesse sia regionale che locale», visto che si pone invero una questione che è tipicamente di interesse nazionale e sovra-regionale, quale è la revisione della Costituzione.

La posizione della Corte su questa proposta è chiara e netta: non è previsto chiedere a una frazione (regionale) del corpo elettorale nazionale di esprimersi su proposte di modifica costituzionale, poiché in tema di revisione della Costituzione il solo referendum ammissibile è quello previsto dall’art. 138 Cost.

Per queste ragioni è verosimile che l’unico obiettivo politico al quale si sta veramente puntando sia quello demagogico di acquisire una visibilità quali difensori dell’autonomismo sardo: una visibilità che possa in qualche modo contrastare quella delle forze indipendentiste o sovraniste. In realtà l’«insularità» non è una norma o un principio, ma uno stato di fatto, una condizione geografica, che di per sé non esprime nessun particolare valore o disvalore. Non è l’insularità in sé che giustifica la necessità di più risorse e meno tasse, bensì l’effetto certificato della condizione insulare, ossia la situazione effettiva di arretramento economico-sociale.

L’obbligo costituzionale di soccorrere le regioni bisognose esiste già, ciò che manca è l’assenza di processi decisionali integrati tra Stato e Regioni in ordine alle scelte fondamentali di finanza pubblica e al riparto delle risorse tra i diversi enti territoriali della Repubblica: assenza che induce lo Stato a fare sempre la parte del leone nella distribuzione dei benefici e dei sacrifici finanziari. Nella perdurante assenza di efficaci strumenti negoziali istituzionalizzati al servizio delle Regioni, è inevitabile che l’attuazione delle norme costituzionali programmatiche che impongono politiche di uguaglianza sostanziale sarà sempre affidata alle valutazioni unilaterali e “interessate” della politica nazionale. Abbiamo bisogno non già di un nuovo principio costituzionale di tipo solidaristico (quale sarebbe quello dell’insularità), ma di congegni, sedi cooperative formalizzate, poteri di negoziazione e di condivisione delle decisioni, ecc., che diano “gambe” e operatività reale alle già numerose disposizioni costituzionali improntate alla logica dell’eguaglianza sostanziale (tra le persone e i territori).

Per tutte queste ragioni è propagandistico sostenere che il referendum aprirà «la strada a una serie di opportunità sinora negate, soprattutto sul piano della fiscalità di vantaggio». Se così fosse non si capisce perché la fiscalità di vantaggio debba scaturire dal principio costituzionale di insularità, visto che neppure riusciamo a conseguirlo appellandoci agli obblighi costituzionali di solidarietà.

In realtà gli argomenti a sostegno di questo referendum pretendono di essere prevalentemente “tecnico-giuridici”, ma non lo sono affatto, perché anche alla luce di un’analisi giuridica sommaria e superficiale rivelano immediatamente tutta la loro fragilità. Ciò peraltro dimostra che su un tema di questo tipo non è possibile scindere i profili “tecnico-giuridico” da quelli “politici”: se si è d’accordo sui primi, si deve convenire pure sui secondi. Se è tecnicamente impossibile ottenere da un referendum consultivo regionale l’inserimento in Costituzione del “principio di insularità” e poi ottenere da questo tutto quello che miracolosamente si immagina di farvi discendere, allora vuol dire che lo strumento di lotta politica è sbagliato e chi lo spaccia per buono inganna gli elettori.

Ma questo non è un modo di “fare politica”. In Sardegna la platea dei furbetti, opportunisti e di coloro che pensano di “saperla lunga” è già affollata. Ricordiamo cosa accadde in occasione dei referendum sardi sulle province? Pure allora la vittoria era annunciata e ciò indusse la gran parte a schierarsi per il “Sì” o, al limite, ad astenersi. Il resto è storia nota: nel merito era una cosa pasticciata, che ne generò delle altre forse ancora peggiori, dalle quali ancora non riusciamo a venirne fuori.

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