Leggi elettorali

1 Dicembre 2007

COLLAGE DI LOCANDINE ELETTORALI
Andrea Pubusa

Finalmente si sono convinti tutti o quasi: il referendum Segni-Guzzetta, estremizzando il sistema maggioritario, avrebbe comportato, paradossalmente, l’ulteriore frammentazione del sistema partitico italiano. A cosa può condurre, infatti, una legge elettorale nella quale anche una manciata di voti può dare la vittoria ad uno schieramento anziché a quello opposto? Sarebbe poi rimasta la nomina dall’alto dei rappresentanti e un maggioritario, soluzioni entrambe non in armonia con la Costituzione.
Sembra dunque finita la sbornia di sistemi elettorali eversivi della lettera e dello spirito della Costituzione, e così come alla Camera dei deputati si torna alla Carta fondamentale del ’48 nel ritoccare la forma di governo per dare maggiore stabilità ai governi, così si torna al sistema proporzionale nella legge elettorale. Intriga il sistema elettorale tedesco, cui guarda da sempre con interesse la sinistra e l’Udc e a cui si è avvicinato recentemente anche il Pd per bocca di Veltroni ed ora anche il cavaliere. Si delinea così una grande e positiva convergenza che può consentire di superare la “porcata” di Calderoni.
La proposta che piace al segretario del Pd e di cui molto si parla introduce un sistema a prevalenza proporzionale basato su collegi uninominali (dove vince chi prende più voti), raggruppati in circoscrizioni relativamente piccole, all’interno delle quali si applica il principio proporzionale. In sintesi, vengono eletti i candidati che nel loro collegio ottengono la maggioranza relativa e i restanti seggi vengono assegnati in base alla distribuzione dei voti ai partiti nell’intera circoscrizione, attribuendoli a quei candidati che, pur perdendo nel loro collegio, hanno ottenuto le percentuali più alte per quel partito nei vari collegi (i “migliori perdenti”). Se adottato, questo sistema comporterebbe un netto miglioramento rispetto allo status quo. Anzitutto coi collegi uninominali consentirebbe uno stretto legame fra elettori e rappresentanti, permettendo ai primi di valutare la qualità degli eletti. Con lo sbarramento si otterrebbe un’effettiva riduzione della frammentazione, garantendo però un moderato pluralismo. Solo cinque o sei formazioni politiche sono in grado di ottenere il 5-6 per cento in almeno un collegio necessario per accedere alla restante distribuzione dei seggi. Tornano le preferenze, gli elettori scelgono i loro rappresentanti, superando l’attuale antidemocratica nomina dei rappresentanti dall’alto. Ma si assicura la governabilità? Certo c’è la possibilità di modificare le coalizioni governative senza ritornare alle urne e questo può rappresentare in alcune circostanze uno strumento utile a risolvere l’impasse politico. Ma non c’è il pericolo di tornare all’esperienza politica italiana degli anni Ottanta con ben dodici governi, di cui uno durato solo undici giorni? Non c’è il rischio di un’accentuata litigiosità e instabilità delle coalizioni di governo? Quale rimedio al maggioritario, che pur temperato dalla quota proporzionale, ci ha assicurato maggiore stabilità? La risposta può essere trovata nella fiducia costruttiva, come in Germania. Questa disciplina, però, dev’essere introdotta non nella legge elettorale, ma nella Costituzione. Sennonché il testo di revisione esitato dalla Commissione affari costituzionali della Camera non la prevede. È bene non perdere l’occasione. Il sistema elettorale tedesco ci libera dalla frammentazione, ma non dall’instabilità. Per assicurare la durata delle coalizioni di governo occorre una contestuale disciplina della fiducia costruttiva. E’ necessario che il legislatore costituzionale non lo dimentichi.
P.S. Il nuovo sistema “alla tedesca” giova alla sinistra? Tendenzialmente no, perché fa del centro l’asse delle coalizioni col taglio delle ali di destra e di sinistra. Questa sarà dunque condannata presumibilmente ad un’eterna opposizione. Come per il Pci nella prima repubblica. Con una differenza di non poco conto però: il partito comunista aveva il 30 per cento dei voti e col Psi raggiungevano e superavano il 40 per cento. La sinistra d’allora aveva un’innervatura sociale capillare e robusta. I partitini di oggi ne sono una caricatura. E ancor più lo saranno domani col sistema proporzionale, nel quale le piccole forze perderanno forza contrattuale (oggi alta ai fini della stabilità del governo). Beninteso, la federazione o il cartello elettorale consentirà, almeno inizialmente, di superare lo sbarramento del 5 per cento. Ma, rimanendo divisi e con un ottica minoritaria, saremo ricacciati nelle tante battaglie di contrasto alle politiche nazionali, senza un disegno unitario e con un labile e occasionale radicamento sociale. Cosa diversa sarebbe una sinistra unita: sarebbe la terza forza del Paese col 15 per cento e forse più dei voti, con più deputati rispetto ai 150 che già oggi abbiamo. Con un disegno politico capace di rispondere non alle esigenze di piccole avanguardie intellettuali, ma alle esigenze delle grandi masse popolari, potrebbe anche competere quanto a forza con uno smorto e incerto PD. Ma chi la fa questa sinistra?

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