Lettera aperta a Paolo Maninchedda che lascia Pigliaru

1 Giugno 2017
Claudia Zuncheddu

Ho letto la tua lettera a Pigliaru dove annunci le tue dimissioni dall’incarico in Giunta. Mi ha colpito quel rapporto epistolare “Caro Francesco, non ho niente da rimproverarti… sono stanco…” e “Caro Paolo, ripensaci…”. Lettere affettuose e di reciproca riconoscenza tra chi ha governato condividendo, sino ad oggi, ogni atto politico. Ciò può sorprendere l’opinione pubblica, ma chi ti conosce sa che è semplicemente scattata l’ora, è la mezzanotte di Cenerentola. Nessun addio all’amato Francesco, ma solo la solita fuga fisiologica, giusto in tempo per ricostruirsi la verginità da esibire ai sardi per le future elezioni.

Così è stato il tuo amore per Soru alla XIII legislatura, conclusosi con un divorzio, stessa fine l’amore per Cappellacci alla XIV legislatura ed ora è la volta di Pigliaru, l’unico in realtà che sarà sepolto dalle macerie delle scelte sbagliate e dalla solitudine per il fuggi fuggi dei più stretti sostenitori delle sue politiche neoliberiste e di devastazione per la Sardegna. Mi riferisco ai variopinti sovranisti, a spregiudicati pseudo-comunisti, ad ex centristi, tutti alla ricerca di nuova identità politica o meglio di un salvagente mentre la barca si inabissa.

Caro Paolo, mi dispiace ma devo dirti che la tua scelta era quindi prevista.

Così ho dichiarato in una recente intervista: “Il Partito dei sardi ha pesanti responsabilità per il suo operato politico. Ancora una volta sulle sigle direi che l’abito non fa il monaco. E’ un camouflage della vecchia politica. La storia degli uomini non va mai dimenticata, essa aiuta a capire anche il loro operato presente. Il leader del Partito dei sardi conosce bene il gioco dell’alternanza di governo e sa cogliere diligentemente il momento giusto per saltare sul carro del vincitore: destra? Sinistra? Tutto fa brodo. Per il suo operato di governo e per le scelte, anche in campo energetico, il Partito dei sardi sicuramente non è a fianco del Popolo sardo. Esso con l’ambiguo sovranismo ha contribuito a far retrocedere l’indipendentismo. Resta incomprensibile il passaggio di chi si è prima qualificato indipendentista e poi sovranista. Metamorfosi opportunistica?”.

Non basta un intervento chirurgico rapido allo scadere di una certa ora della legislatura per ricrearsi una verginità agli occhi di un popolo sempre più piegato dalle politiche antipopolari della Giunta di cui facevi parte e condivise anche dal tuo partito in Consiglio.

Parli di stanchezza… in Giunta… E’ solo una tua falsa percezione. Le forze e il sostegno dei compagni di ventura non ti sono mancati in tutte quelle occasioni che ti hanno visto contrapporti ai diritti, ai bisogni e alle rivendicazioni delle nostre collettività. Ti lamenti della tua solitudine… Ma noi sardi ti abbiamo visto sempre in buona compagnia, quella con cui hai firmato, senza mai opporti, una pagina triste della nostra storia. I voti espressi in Giunta e in Consiglio dal tuo partito sono una chiara assunzione di responsabilità e di condivisione di queste politiche nefande.

La solitudine, caro Paolo, evoca il dramma e l’abbandono da parte di voi che governate, dei nostri poveri pastori. La disperazione nel dover assistere passivamente alla moria per fame dei loro animali solo perché privi delle risorse indispensabili per garantire il foraggio.  Ma che il settore agro pastorale non sia mai stato tra le vostre priorità lo certifica il vostro accanimento a favore di certi inceneritori, del ritorno folle al carbone in Sardegna, con il vostro contrapporvi legalmente alle giuste rivendicazione delle collettività di Narbolia, con la svendita delle terre SBS di Arborea a Bonifiche Ferraresi, con il rilancio di obsoleti, inutili e devastanti gasdotti presto fuorilegge.

Una forza sovranista-indipendentista come ha potuto sostenere politiche di distruzione della scuola e della sanità pubblica? Come può aver ignorato la violazione del diritto dei sardi ad avere una Legge elettorale equa e non discriminate ed escludente? Perché a tutt’oggi la società sarda è priva di uno strumento di democrazia così importante? La legge elettorale esistente, di cui ben conosci anche la paternità, nonché la mia strenua opposizione nel precedente Consiglio, lede la libertà dei sardi, esclude le donne e le minoranze politiche, privilegia il bipolarismo italiano e la sua metamorfosi verso l’oligarchia renziana. Come motivare l’indifferenza dei sovranisti-indipendentisti?

Caro Paolo, questi sono i primi nodi da sciogliere. Con queste ambiguità, ahimè, la classe politica sarda continuerà ad essere la mano lunga degli interessi dello Stato italiano in Sardegna. Quello che vuole privare dei diritti il Popolo sardo, quello che in nome dell’interesse nazionale (italiano) intende trasformare la Sardegna in piattaforma energetica per interessi a noi estranei e in piattaforma militare (così come è) al servizio delle guerre e degli affari delle multinazionali. Paolo di che sovranismo e indipendentismo parlate? Innalzare il livello di scontro con lo Stato italiano, implica una diversa collocazione politica e delle posizioni realmente antagoniste e non di condivisione mai rinnegata, come è stato sino ad oggi.

Certo è che tutti noi indipendentisti, identitari e sardisti, siamo per l’Agenzia delle Entrate sarde, ma appare tardivo, a distanza di tre anni non aver chiuso neanche questa partita. Intanto Equitalia fa man bassa della nostra economia, nel miglior stile savoiardo ottocentesco. Conservare con “cambi di casacca e salti di quaglia” il ruolo di “uomo di governo” è solo una pia illusione. Sei un politico, di spicco e di razza, che sa come destreggiarsi per la conservazione del potere e non per cambiare il sistema rivoltandolo come un calzino per tutelare davvero gli interessi del nostro popolo, della sua salute e quella del suo ambiente, del suo diritto ad esistere ed essere felice. Come tutta la classe politica sarda, oggi come ieri, ti sei illuso di governare la Sardegna mentre di fatto hai contribuito solo ad amministrare la sua dipendenza per nome e per conto dello Stato italiano e delle multinazionali della globalizzazione.

Caro Paolo, per mia onestà culturale e politica queste brevi considerazioni sono dovute. Auspico che in tutto il mondo indipendentista, sovranista e sardista, di cui siete parte, si apra una stagione di confronto sincero e di crescita reale che porti finalmente all’unità che il popolo sardo da sempre ci chiede. Solo così sarà possibile intraprendere un processo di emancipazione e di indipendenza per i sardi. Ti prego di considerare le mie critiche politiche in senso costruttivo.

1 Commento a “Lettera aperta a Paolo Maninchedda che lascia Pigliaru”

  1. Andrea Sanna scrive:

    LA RISPOSTA QUI
    https://www.sardegnaeliberta.it/si-puo-fare-politica-e-non-odiare/

    “Incredibile dire a chi rinuncia sempre al potere per le proprie idee che invece sia attaccato al potere. La verginità, che mi si accusa di volermi ricostruire, per me non è un valore. Il mondo è stato fatto grande dalle madri e dai padri, da gente che si ama, non da chi si compiace solo di sé. La giustizia, la libertà, la fraternità, la felicità: questi sono i miei valori.
    Io sono tra i sette che non ha votato la legge elettorale regionale e il mio partito ha depositato da tempo una proposta di legge proprio sulla preferenza di genere.
    Ho sempre detto la verità agli elettori (a proposito, alle ultime elezioni anche la Zuncheddu sosteneva Pigliaru, ma nelle liste di un partito cosiddetto italiano, SEL). Capisco che cosa disturba: disturba che abbia dimostrato che l’indipendentismo sa governare e non solo manifestare. Come si conquista il ceto medio se non dimostrando di saper governare? E come si dà lo scossone di cui la Sardegna ha bisogno se non si convincono i docenti delle scuole, i pensionati, i professionisti, le imprese? O si pensa di convincere questo mondo con il linguaggio, l’estetica e i settarismi delle avanguardie dure e pure dei primi del Novecento?
    Quanto all’appello all’unità: noi ci siamo, ma vogliamo unire, convincere e non insultare tutti i sardi, soprattutto quelli che votano i partiti nazionali italiani. Noi non li odiamo…”

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