Libertà e libri

16 Febbraio 2013
Mario Cubeddu
Potrà sembrare esagerato l’accostamento della crisi economica del settore culturale a quella della grande industria in Sardegna. Le dimensioni e il numero di destini coinvolti non sono in effetti paragonabili, di conseguenza dovrebbe cambiare notevolmente anche la capacità di ripresa. In alcuni casi però la situazione è talmente grave che sembra improbabile un’inversione di tendenza. Uno dei settori più colpiti è quello della distribuzione del prodotto culturale. I negozi che vendevano dischi hanno chiuso quasi tutti, pochissime iniziative autonome si affiancano ancora ai banchi riservati ai CD, o ai rinati dischi in vinile, nei supermercati, accanto ai televisori e ai computer. I giovani non comprano più dischi, accedono alla musica direttamente attraverso la rete.
Qualcosa di simile accade con gli e-book, i libri che si pubblicano e si vendono in rete, ancora poco diffusi in Italia, ma destinati ad occupare uno spazio sempre più importante nel settore del libro. Pile di volumi affiancano le file dei clienti davanti alle casse della grande distribuzione commerciale. Su quasi tutti c’è il bollino o la fascetta dello sconto, più o meno consistente. La vita delle piccole librerie diventa sempre più difficile e alcune esperienze storiche sono arrivate alla fine in diverse città sarde, a Oristano, a Sassari, a Cagliari. La libreria è il terminale di accesso alla clientela per una filiera che comincia con lo scrittore e prosegue con la casa editrice.
Queste fasi del processo editoriale sembrano conoscere in Sardegna un momento positivo: non si sono mai avuti tanti autori pubblicati da case editrici nazionali, o anche solo da quelle sarde, lo stesso numero di case editrici, più di venti a quanto pare, non è mai stato così rilevante. Tutto questo a conferma del fatto che la Sardegna è stata sino ad ieri, non conosciamo statistiche recenti, un luogo di buoni lettori, dove la vendita del libro raggiungeva percentuali  paragonabili a quelle delle regioni d’Italia dove si legge di più.  Uno stato di salute della cultura in Sardegna positivo, si sarebbe portati a credere.
Naturalmente l’isola conserva in questo settore ancora tanti elementi di fragilità, collegati con lo scarso numero degli abitanti, i gravi limiti del sistema produttivo e una crisi economica sempre presente, un sistema di governo e modi di esercizio dell’attività politica capaci di spegnere entusiasmi e cancellare iniziative, piuttosto che di sostenerle e farle crescere. C’è fortunatamente un nuovo protagonismo a livello di base, la diffusione dell’associazionismo e la creazione di reti che intendono far sentire la loro voce. Si è organizzato l’artigianato creativo per marcare una presenza di fronte alle scelte di mercato e comunicative spesso discutibili degli assessorati regionali, si è creata l’Associazione Liberos che mette insieme scrittori, piccola editoria, biblioteche comunali, festival letterari.
Il nome Liberos  gioca volutamente sul significato doppio che la parola ha in sardo: libri/liberi.  Nasce per reagire alla crisi delle piccole librerie e del settore editoriale in Sardegna e si propone di unire tutte le forze per reagire ad essa. Un ruolo fondamentale nel far conoscere l’iniziativa lo ha avuto Michela Murgia che si conferma così scrittrice e intellettuale capace, come pochi altri, di spendere nome, energie, tempo, per le cause in cui crede. L’associazione ha ottenuto un primo importante successo vincendo il premio di centomila euro che le consente di darsi una struttura tecnica e amministrativa più solida.
Una delle ambizioni di Liberos è quella di rendersi autonomi da sostegni e contributi degli enti pubblici, comuni, province, regione. E’ un’aspirazione diffusa che allo stesso tempo sta diventando un’ineludibile necessità, visti i modi e i tempi di erogazione dei fondi garantiti e promessi dall’ente pubblico. Anche le iniziative che hanno partecipato a selezioni avvenute dopo regolare bando e concorso devono aspettare mesi, se non anni, per vedere la liquidazione delle somme garantite da delibere ufficiali di giunta. Nel frattempo devono però provvedere ad anticipare con soldi propri o fidi bancari le decine di migliaia di euro che necessariamente costa ogni iniziativa che si rispetti. Si può immaginare con quanta serenità possono programmare le iniziative future le associazioni di volontari che devono contare sulle proprie forze.
Purtroppo in Sardegna non esiste il tessuto economico capace di dare forza ai festival come avviene in campo nazionale e internazionale. Non parliamo delle iniziative che nascono dalle ambizioni di facile visibilità nutrite dai politici, solide economicamente ma che esprimono in genere proposte culturali deboli ed effimere quanto le carriere degli stessi amministratori che le hanno proposte.
La somma di ciò che si spende per tutti i festival letterari sardi rappresenta una minima parte di quanto la Regione sarda  destina a pubblicizzare l’offerta turistica della Sardegna ciò che l’amministrazione si vanta di aver realizzato. Eppure essi hanno dato e danno un contributo importante a diffondere un’immagine culturale e sociale positiva della nostra isola. Michela Murgia ne è un esempio positivo: tradotta in 23 lingue, ha venduto centinaia di migliaia di copie della sua opera. Della Sardegna si parla in questo caso per produzioni buone e di valore, quali sono i prodotti intellettuali. Essi vanno rispettati quanto quelli espressi da altri settori. Si deve dire che purtroppo oggi in Sardegna i risultati che si ottengono nell’industria e nel settore primario non sono migliori di quelli legati alle attività culturali. Lo stato comatoso della politica regionale è tale che solo una svolta radicale, a partire dalle dimissioni della Giunta Cappellacci e conseguenti nuove elezioni, possono dare all’isola la speranza di un’inversione di tendenza.
Per il settore culturale come per tutti gli altri.

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