L’importante è partecipare?

16 Marzo 2008

ZAPATERO
Manuela Scroccu

La vittoria di Zapatero in Spagna, nonostante la vigilia del voto sia stata funestata dall’assassinio dell’ex assessore del Psoe Carrasco per mano dei terroristi dell’Eta, ha ridato ossigeno e speranza a chi ancora guarda alla sinistra e al socialismo come ad uno spazio vitale in cui ripensare la società. A furia di sentirli, questi addetti alla nostalgia che hanno accompagnato tra i flauti il cadavere di utopia, c’era il rischio che ci convincessimo tutti quanti che l’incompatibilità tra programma di sinistra e vittoria alle elezioni fosse non un auspicio dei conservatori ma un assioma matematico inconfutabile. Per fortuna, se solo si mette il naso fuori dal bel paese, ci si confronta con realtà molto più vive e consapevoli di voler giocare un ruolo importante in un mondo di cui noi rappresentiamo, sempre più, nient’altro che la periferia.
Purtroppo, ben altro è il clima che si respira in Italia. Siamo un paese in attesa, seduto sulla panchina come il protagonista dell’ultimo film di Nanni Moretti. Anche noi intrappolati in un caos calmo.
Rossana Rossanda, in una interessante e lucida riflessione sulle elezioni pubblicata sul Manifesto dei giorni scorsi, ha giustamente rilevato il sentimento profondo che sembra anelare nelle viscere della società italiana: la voglia di consegnare tutto il potere nelle mani di un leader che si assuma la responsabilità del posto di comando, possibilmente un personaggio con un’immagine attraente e capace di decidere per tutti. Un vero e proprio princeps, democratico in quanto in carica per cinque anni (per adesso), ma messo nelle condizioni di gestire il governo del paese in maniera fortemente autoritaristica. La partecipazione attiva dei cittadini comporta impegno e assunzione di responsabilità mentre sempre più il popolo sembrerebbe volersi affidare al capo.
Non a caso appare molto significativa la risposta della giovane Marianna Madia, capolista del PD in Lazio, che ha candidamente dichiarato di volersi “affidare completamente” al proprio leader indiscusso e carismatico, Walter Veltroni. La frase ha suscitato molte polemiche ma, in realtà, l’aspirante e futura parlamentare non ha fatto altro che dare l’esatta immagine di un progetto (che non è certamente solo del partito democratico) ben preciso: convincere il cittadino elettore, ormai mero consumatore della politica (certamente non più militante in senso tradizionale) che la democrazia è delegare, periodicamente, “senza se e senza ma”, il potere a qualcuno che decide cosa fare per te.
In questa logica acquistano un nuovo senso i meccanismi di compilazione, e uso questo termine non a caso, delle liste elettorali, che hanno oscillato tra dinamiche da casting del Grande Fratello televisivo, con la figura laocoontica dell’“operaioimprenditoregiovanedonnaprecario”, e la riproposizione delle solite spartizioni di segreteria.
E’ significativo che l’opinione pubblica, anche quella più attenta e non lobotomizzata da un decennio buono di politica ridotta a mero salotto televisivo, abbia assistito sostanzialmente indifferente e quasi rassegnata al vecchio e logorato gioco delle candidature.
Questa sarebbe la nuova democrazia moderna e semplificata, nuova parola d’ordine dei modernisti riformisti, in cui i due contendenti si confrontano, e si confondono, in lunghe sfide d’immagine.
Una società così complessa e piena di conflitti come la nostra si esorcizza, quindi, con la nuova formula magica della “semplificazione”.
A chi non ci sta, e siamo in molti, a chi invita, pur tra mille difficoltà e contraddizioni, ad un percorso sicuramente più complesso, a chi decide di guardare in faccia le contraddizioni del nostro tempo cercando nuovi linguaggi e nuove forme di democrazia, non si nega la formale possibilità di esistere ma gli si ritaglia un ruolo che, inevitabilmente, rischia di essere di mera rappresentanza. In questa logica da competizione fortemente personalistica, i vincenti consentono a chi non si adegua soltanto l’onore del decubertiano “l’importante è partecipare”.
Così il meccanismo delle elezioni, che pure resta nominalmente il fulcro della democrazia, rischia di essere svuotato di tutto il suo significato e di tutta la sua importanza. Questo processo è già in atto: il rischio di portarlo alle estreme conseguenze, dopo le elezioni, attraverso accordi trasversali che garantiscano lo smantellamento della nostra Costituzione in senso presidenzialista, per esempio, è molto alto. Qualcuno la chiamerebbe ancora democrazia, ma da qui alla morte civile del paese, il passo sarebbe veramente molto breve.

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