L’indipendenza dei mezzi di comunicazione

1 Marzo 2015
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Roberto Mirasola

La cosa che mi ha colpito di più in questi giorni è stata la lettura dei giornali Italiani, tutti compiaciuti nel ridimensionare Tsipras e tutti entusiasti nell’evidenziare le distanze tra gli accordi raggiunti con la Trojka e quanto dichiarato in campagna elettorale. Come dire finalmente Varoufakis e Tsipras possono rientrare dal mondo dei sogni e conoscere dunque la dura realtà dei fatti.  Già ma di quale realtà parliamo?

Qui la vera sconfitta è la democrazia, sistema di governo di cui andiamo orgogliosi tanto da volerne esportare i prodigi magari anche fomentando guerre. In una democrazia il sovrano è il popolo che attraverso il voto da un mandato preciso ai suoi rappresentanti e a me non pare proprio che la volontà popolare sia stata ascoltata, anzi.
Inizia Mario Draghi che il 4 febbraio decide di non accettare i titoli di stato Greci, una banca centrale che agisce come organo esecutivo, intimidatorio e punitivo di un potere senz’altro privo di mandato elettivo. Sembra la decisione di “colpirne uno per educare gli altri” a mangiare la solita minestra. E già perché bisogna colpire duro per ridimensionare anche Podemos in Spagna e chi volesse seguirne le sue orme cosi come sembra stia accadendo in Portogallo.
L’ingerenza della BCE nel campo politico del resto non è una novità. Abbiamo forse dimenticato la lettera della BCE del 5 agosto 2011 inviata al Governo Italiano, dove si davano le direttive economiche per fronteggiare la crisi? Di fatto l’Italia fu commissariata e successivamente l’ingerenza della Merkel e della BCE ebbero un ruolo rilevante nella scelta del primo ministro Italiano Mario Monti. Fu modificata la nostra Costituzione e inserito nella stessa il Fiscal Compact: il Vincolo di Bilancio. Furono cambiati ben quattro articoli: l’81, il 97, il 117 e il 119.
Finalmente il dogma dell’austerità fa il suo ingresso in Costituzione con tutte le conseguenze che questo comporta, e tutto questo senza che l’opinione pubblica fosse adeguatamente informata.
Tutte le politiche di austerity si sono dimostrate fallimentari e i paesi che le hanno subite hanno serie difficoltà a far ripartire le loro economie. Bisogna allora chiedersi a chi giova.
Nel marzo 2013 il ministro dell’economia belga annuncia di voler ricorrere di fronte alla Commissione Europea perché mentre le aziende belghe rischiano la bancarotta quelle tedesche possono offrire prodotti a prezzi stracciati grazie al vuoto legislativo sui salari minimi. Nell’ aprile del 2013 la Commissione Europea esorta i paesi Europei a stabilire soglie minime di retribuzione adeguate e critica i paesi che non le hanno previste, tra questi la Germania. Quanti di noi sono a conoscenza degli effetti della cosiddetta Agenda 2010 che ha previsto l’introduzione in Germania dei minijob e che di fatto ha portato ad un divario tra ricchi e poveri? Certo le statistiche relative ai tassi di occupazione parlano di un basso livello di inoccupati e di disoccupati ma il crollo dei redditi da lavoro sono stati devastanti tanto che secondo dati Eurostat 2012 si rileva che il 16% dei cittadini tedeschi è a rischio povertà. Oggi in Germania ci sono almeno 900 centri di distribuzione viveri rispetto ai 35 del 1995 e il numero dei tedeschi che ha bisogno di un pasto caldo al giorno è raddoppiato negli ultimi cinque anni arrivando a quota 1,5 milioni. Insomma un paese ricco con gente povera. La Germania è competitiva perché in assenza di tassi di cambio ha limitato la crescita dei salari reali. L’aumento della produttività avrebbe dovuto comportare un incremento salariale che invece è avvenuto in misura molto minore rispetto ai paesi periferici. Ecco spiegato il boom delle esportazioni tedesche avvenuto sfruttando i salari all’interno dell’Unione monetaria, senza l’Euro sarebbe stato impossibile. Ma come è potuto accadere tutto ciò? Uno studio condotto da Nomisma parla di subalternità culturale della Commissione ma anche dei paesi periferici verso il cosiddetto modello tedesco.
Syriza rappresenta una forte critica a questo modello solo che i rapporti di forza sono oggi a suo sfavore. Il governo Renzi dimostra ogni giorno di più di eseguire le direttive Europee, facendo la politica dei due forni: forte in patria debole all’estero, il Job Acts ne è una dimostrazione.
Non possiamo stare a guardare ma dobbiamo lavorare per la nascita di una vera forza di sinistra oggi assente capace di opporsi alle politiche di austerità che stanno martoriando i popoli. I tempi erano già maturi nel 2013 all’indomani delle politiche quando l’elezione di Enrico Letta portò alla distruzione dell’alleanza Italia Bene Comune alla quale tanti di noi avevano creduto. Non è più il tempo per i tentennamenti. La sinistra PD deve decidere cosa fare da grande, prima che sia troppo tardi. Stesso dicasi per SEL e a livello locale per le forze sovraniste. L’attacco al titolo V della nostra Costituzione, con relativo ridimensionamento delle regioni rientra nel piano di neo centralismo Europeo che riporta tutte le decisioni a Berlino, Francoforte e Bruxelles. E’ evidente che è necessaria una difesa strenua, cosa che la Regione oggi non sta facendo.
E’ il momento di combattere non di arretrare, consapevoli che uniti si può vincere.

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