Lo studio legale

16 Novembre 2009

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Marco Ligas

Nei paesi democratici il Parlamento è (dovrebbe essere) l’organo dove si discute dei problemi dei cittadini, dove vengono promulgate leggi finalizzate al benessere economico e sociale della popolazione e alla sua crescita culturale, alla tutela dei beni comuni. Un Parlamento che lavora con questa ispirazione esercita le sue funzioni ponendo al primo posto le esigenze della comunità.
Sappiamo come ciò non sempre sia facile perché in tutte le società sono presenti gruppi di potere che cercano di esercitare un predominio sulle fasce più deboli della popolazione, ridimensionando i loro diritti fondamentali. Un Parlamento che si rispetti può contenere queste tendenze e ridurre le differenze che esistono tra gli strati sociali; non realizzerà una società di eguali ma può praticare una politica distributiva più equilibrata. L’aspetto più importante di un’istituzione che opera in questo modo è comunque la sua attitudine ad affrontare i problemi generali della collettività.
L’esperienza che viviamo attualmente in Italia è lontana da questa prospettiva; si coglie una situazione di crisi diffusa, sia volgendo lo sguardo alle condizioni sociali di tanti lavoratori e di tante famiglie, sia analizzando lo stato delle istituzioni, soprattutto del Parlamento. Quest’ultimo in particolare evoca l’immagine di qualcosa di diverso da un organo che voglia discutere e affrontare i problemi dei cittadini.
Le ultime vicende della nostra vita politica, sempre più concitate, con riunioni ufficiali che saltano, o che si svolgono in luoghi lontani anche fisicamente dalle sedi istituzionali, fanno pensare ad un Parlamento profondamente mutato, che ha smesso di svolgere la funzione che gli impone la Costituzione. Affronta sempre meno i problemi del paese e assomiglia sempre più ad uno studio legale dove si incontrano avvocati che sono anche deputati della Repubblica ma svolgono la funzione di difensori di un Presidente del Consiglio che, a seconda di quel che fa e degli stati d’animo che provoca in molti noi, può essere considerato ora pregiudicato o corruttore, ora clown; mai comunque leader capace di rappresentare con dignità il nostro paese o di sostenere i cittadini che subiscono gli effetti della crisi.
Questo leader è coinvolto fin sopra i capelli in vicende da cui emerge una sua attività imprenditoriale di dubbia legittimità. Per queste ragioni la magistratura ne controlla gli sviluppi e spesso ne coglie gli aspetti illegali. Usando gli strumenti di comunicazione che possiede in condizioni di monopolio il Premier cerca di rovesciare le accuse che gli vengono rivolte e usa il Parlamento, ecco l’anomalia che delegittima le istituzioni, perché vengano votate leggi che gli assicurino l’impunità. Non gli importa che la Corte Costituzionale respinga le leggi ad personam preparate con molto zelo dai suoi collaboratori; con lo stesso impeto dei mezzi cingolati riparte e, col sostegno degli stessi collaboratori, cerca di imporre nuove norme nel tentativo di trovare la via di uscita per sottrarsi al giudizio della magistratura. Ci sono certamente segni di nervosismo nei suoi comportamenti recenti anche perché nel corso di questi mesi sono emerse vicende che hanno incrinato la sua credibilità e il consenso raggiunto. Sicuramente i suoi sondaggi non danno più gli stessi esiti del passato.
Ma ciò non deve illudere e non deve far pensare che sia imminente la sua caduta. Il disegno che il Premier cerca di realizzare attraverso l’ultimo disegno di legge è insidioso anche perché collega la sua vicenda personale a quella dei tanti imprenditori che negli ultimi anni sono stati i responsabili della crisi finanziaria. Salvando se stesso salva tutti: in questo modo rafforza il blocco sociale a cui appartiene e cerca di superare la sua crisi. Per queste ragioni è necessario che il Parlamento riprenda ad occuparsi dei problemi reali del paese, a partire dalle questioni del lavoro e della crisi economica che, nonostante i proclami sulla ripresa, è ben lontana dall’essere risolta. Ma è altrettanto importante che le tutte le componenti che lavorano per l’alternativa escano dal letargo e diano segni tangibili di una presenza e di un impegno rinnovato.

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