L’oltraggio della sposa

1 Febbraio 2017
Massimo Dadea

L’ultima fatica letteraria di Ottavio Olita, “L’oltraggio della sposa”, è proprio un bel romanzo. Si ritrovano tutte quelle caratteristiche che hanno fatto la fortuna degli altri suoi libri, da “Anime rubate” al “Codice libellula”: è avvincente, coinvolgente, dotato di un ritmo che a tratti diventa incalzante. Possiede un ingrediente nuovo che l’autore aveva usato, sino ad ora, con parsimonia: è permeato di una sensualità che ti avvolge e ti accompagna pagina dopo pagina. Il romanzo trae ispirazione da una vicenda realmente accaduta: Adele Mori, ricca fanciulla della provincia calabrese, non ancora diciottenne, viene data in sposa all’eroe di guerra Giacomo Perra, trentacinquenne, cagliaritano. Dopo pochi anni il matrimonio si rompe: il marito a causa di una ferita di guerra è incapace di rendere felice la giovane moglie. Adele ha una storia segreta con Paolo Vescovi, un saltimbanco di circo, che accecato dal desiderio di averla tutta per sé, uccide il marito. Adele viene accusata di essere il mandante dell’assassinio. Il romanzo è uno spaccato dell’Italia post unitaria e, sopratutto, una rappresentazione impietosa della società del tempo: provinciale, a dispetto delle velleità europee dei Savoia; bigotta nonostante la recente cacciata del Papa; intrisa di pregiudizi, di ipocrisia, di un perbenismo di facciata. La storia raccontata da Olita presenta diversi spunti di riflessione che, a distanza di centocinquanta anni, mantengono una straordinaria attualità e fornisce, allo stesso tempo, diverse chiavi di interpretazione che ci riportano all’oggi. Ad iniziare dal ruolo della donna nella società del tempo. Il processo a carico di Adele Mori fa emergere tutti i pregiudizi, le ipocrisie, le meschinità, che accompagnavano la figura della donna. La morale del tempo non poteva accettare che una donna sposata, per giunta ad un eroe di guerra, potesse vivere liberamente la propria sessualità, potesse ricercare l’appagamento sessuale al di fuori del matrimonio. Lo spirito del tempo non poteva tollerare che l’adulterio potesse essere consumato alla luce del sole, che Adele avesse ridicolizzato l’eroe della terza guerra d’Indipendenza rendendo pubblica la sua menomazione. Bisognava dare al mondo un segnale che la nuova Italia unita si schierava dalla parte del suo eroe. Ottavio Olita ancora una volta interpella la nostra coscienza: siamo sicuri che pregiudizi, ipocrisia, meschinità, nei confronti di una giovane donna, a distanza di oltre un secolo, siano stati superati? Oppure nella nostra società persistono gli stessi ostacoli, la stessa ipocrisia, la stessa ignoranza, quegli stessi pregiudizi che impediscono alla donna, ancora oggi, di vivere pienamente la propria personalità, la propria sessualità, la propria vita? I tanti casi di “femminicidio”, o come direbbe Nereide Rudas di “muliericidio”, stanno a dimostrare che la violenza dell’uomo sulla donna è ancora finalizzata a perpetuarne la subordinazione e ad annientarne la personalità attraverso l’assoggettamento fisico e psichico. Un altro grande tema che viene sollevato dall’autore è il ruolo dei giornali. Il processo a carico di Adele Mori e del suo amante Paolo Vescovi è il primo grande processo mediatico della storia. Per la prima volta si assiste alla spettacolarizzazione della giustizia. Il dibattimento viene seguito da inviati provenienti da ogni parte del mondo. Persino Giosuè Carducci gli dedica un ode. Il Messaggero, grazie alla bravura di un giovane cronista, si trasforma in un giornale a grande diffusione: la tiratura passa da 2500 copie a 60 mila. Luigi Arnaldo Vassallo, questo il nome del giornalista, commenta – con una coraggiosa autonomia di giudizio che gli costerà alla fine il sollevamento dall’incarico da parte del giornale – le diverse fasi del processo. Descrive con maestria, ed una sottile ironia, la curiosità morbosa che accompagna il dibattimento: quel pubblico composito, pittoresco, composto in gran parte da donne, spesso eleganti, aristocratiche, che affollano le tribune del Palazzo di Giustizia di Roma. Ottavio Olita, anche a questo proposito, sembra interrogarci: siamo sicuri che la spettacolarizzazione dei processi rappresenti un salto di qualità della nostra civiltà giuridica? Oppure, al di là del diritto dell’opinione pubblica ad essere informata, un ulteriore imbarbarimento? Il romanzo si chiude con una esortazione di Adele che mantiene inalterata tutta la sua attualità: “ solo la cultura, l’arte, la musica, possono vincere l’ignoranza e cambiare il mondo”. Ieri, come oggi!

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