Marco Ligas racconta 10 anni di Manifesto Sardo

1 Giugno 2018
[Loris Campetti]

Guardare e raccontare l’Italia e il mondo, nonché la sinistra e il capitalismo, da Cagliari o magari da Orgosolo: una bella sfida. E’ vero che la globalizzazione oggi aiuta una simile operazione spregiudicata inducendo processi di omologazione che cancellano presìdi e eccellenze alimentari, ma al tempo stesso mandano in soffitta antichi codici. Come quello barbaricino, per esempio, e alla fine capiterà che di balenti e balentia non si sentirà più parlare neanche al Supramonte. Al massimo se ne troveranno tracce nei libri di storia e antropologia. Resta comunque difficile guardare la Terra dalla Luna, nonché la modernità con tutte le sue contraddizioni da un luogo antico come la Sardegna, segnato da altre e diverse contraddizioni.
La storia che Marco Ligas racconta in “Una storia. La Sardegna e il mondo negli scritti del Manifesto Sardo”, CUEC Editrice 2018, collana prospettiva idee, ha un inizio in un tempo lontano, gli anni Sessanta, e in un luogo definito, il Partito comunista, italiano certo, ma anche sardo. La Sardegna del sole, del mare, delle vacanze è stata per il Pci anche un luogo di punizione, non un lager ma un centro di riabilitazione come racconta la vita di Luigi Pintor, comunista libero e irregolare, allergico alle ortodossie, inviato da Roma nella sua terra con l’obiettivo impossibile della rieducazione in una stagione in cui invece si intravedeva la possibilità di passare dalla guerra di posizione alla guerra di movimento. E’ dunque dall’11° congresso del Pci, quello che segnò la sconfitta di Ingrao e degli ingraiani, che inizia la storia. E’ la storia del Manifesto, un’eresia raccontata dalla Sardegna, appunto. Prima da un giornale quotidiano e quindi da un giornale on line, dal momento in cui globalizzazione e modernità hanno impedito a un piccolo prezioso foglio di attraversare il mare, anzi sorvolarlo, e sbarcare sull’isola ogni giorno, a metà degli anni 2000.
Marco Ligas e con lui il gruppo di compagni sardi legati all’esperienza politica e editoriale del Manifesto non potevano sopportare quel silenzio imposto dalle leggi del mercato, libero solo per chi ha i soldi per occuparlo. Per questo dall’antico fuoco una fiammella è rimasta accesa con la nascita del manifestosardo.org che ha continuato a raccontare il manifesto ai sardi e la Sardegna agli italiani. Perché nell’isola finiscono per fare la loro comparsa tutte le grandi narrazioni italiane e globali, basti pensare alle guerre più o meno umanitarie e alle basi militari in una regione piegata dal 61% del totale delle servitù italiane, o alle migrazioni, o all’ambiente e all’uranio forse impoverito che fa nascere le pecore con due teste e cinque zampe a Perdasdefogu. E ancora oggi che La Maddalena è stata liberata dalle divise a stelle e strisce ne resta la memoria nelle sue acque nuclearizzate, o in qualche antica scritta appena un po’ sbiadita: “A fora sos americanos”. Se è vero che la globalizzazione neoliberista induce nuova disuguaglianza e ingiustizie sociali e fa crescere la povertà, quale punto d’osservazione, riflessione e lotta è più adeguato della Sardegna, con territori come il Sulcis-Iglesiente in cui la disoccupazione, e quella giovanile in particolare, è la più spaventosamente alta d’Italia?
I 10 anni di lavoro del manifestosardo.org riassunti da una saggia selezione di scritti di Ligas forniscono uno strumento utile per il continuo interrogarsi sul versante isolano della questione meridionale, sulla mancata autonomia di un’isola la cui popolazione solo in qualche fugace momento della storia è riuscita a liberarsi della sottomissione al potere centrale e ancor più a quello locale, capace solo di distribuire in modo clientelare soldi arrivati a pioggia da Roma per uno sviluppo sporco (petrolio e chimica soprattutto) e incompatibile da un punto di vista sociale e ambientale con una terra meravigliosa e tragica a cavallo tra antiche subalternità e rivolte, tra macchie e spiagge incontaminate e coste violentate dal cemento e dalla miopia della speculazione. Tra miniere abbandonate e cattedrali nel deserto dove le dune hanno ricoperto perfino l’altare. “Sardinia colunia” è un’altra scritta stinta che si può ancora intravedere attraversando l’isola in automobile sulla Carlo Felice. La lotta ora sotterranea e ora farsesca, sconclusionata, per l’indipendenza non convince i ricercatori del giornale on line che sostengono un’autonomia all’interno di una riforma federale basata sulla solidarietà (l’utopia necessaria evocata da Rodotà) e l’autogoverno (Gramsci e Lussu).
Scrive Ligas: nessuna lotta per l’autonomia o il federalismo o l’indipendenza potrà affermarsi se non accompagnata da un impegno diffuso dal popolo sardo per che fanno – ancora oggi che il manifesto di Pintor non c’è più, anche se una nuova cooperativa ne ha acquistato il nome – del manifestosardo.it un buon grimaldello per scardinare i luoghi comuni del pensiero unico.

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