Mesina

16 Luglio 2013
Graziano Mesina
Graziano Pintori
Sono stato uno di quei ragazzi che quando fu catturato Graziano Mesina, fine anni ’60, andai davanti alla questura nuorese per manifestargli solidarietà. Eravamo in tanti quel giorno, volevamo ammirare da vicino il simbolo della ribellione, chi sfidava lo Stato storicamente presente nella nostra terra come poliziotto, esattore, “zustissia mala”. Era lo Stato del confino di polizia, del gas sul Supramonte auspicato da Ricciardetto sul Corriere della Sera, era lo Stato dei Baschi Blu e dei “Fatti di Sassari”; era lo Stato che Mesina beffava con abilità sganciandosi dagli accerchiamenti dei poliziotti e con le rocambolesche evasioni; il sapersi sottrarre alla legge  veicolava il nostro “tifo” per lui. Eravamo anche capelloni e contestatori sempre presenti nei cortei degli “studenti-operai uniti nella lotta”, eravamo quelli che scandivano ad alta voce “dieci, cento, mille Vietnam” e non nascondevamo i sogni di una “Sardegna, Cuba del Mediterraneo”, con noi c’era sempre il “Che”: “balente guerrigliero del supramonte boliviano”. Con queste semplici commistioni il mito di Grazianeddu faceva breccia nei cuori di tanti giovani rivoluzionari, sprovveduti e incapaci di distinguere l’eroe positivo e buono che diceva: “Ho tanti fratelli che non riesco a contarli e una sorella bellissima che si chiama Libertà”, dall’eroe negativo sempre teso all’esclusiva soddisfazione del possesso, dell’avere denaro, tanto facile denaro, quella merda del diavolo che sempre ha condizionato la vita anomala del bandito barbaricino. Mesina è stato un falso eroe, anche perché fu sempre distante dalle lotte politiche e sindacali che caratterizzarono il suo paese e la Barbagia intera; forse, per lui, erano incomprensibili certe azioni perché non intravvedeva un tornaconto immediato. Sicuramente non capì fino in fondo la civilissima mobilitazione della gente di Orgosolo quando nel ’69 si oppose all’occupazione militare di Pratobello, un episodio che segnò una svolta nella vita di tanti giovani. Infatti, dopo Pratobello in tanti iniziarono a scindere l’azione rivoluzionaria del “Che” da quelle individuali di un ribelle che praticava il sequestro di persona. Non solo, anche lo studio della lotta partigiana e l’estremo sacrificio di tante giovani vite  in difesa della libertà convinsero tanti di quella generazione che l’unica lotta possibile contro lo Stato invasore, lo Stato dei gendarmi e degli esattori era quella politica, una ribellione  che non poteva essere confusa con il brigantaggio. Nonostante tutto, Grazianeddu con la sua personalità non è mai venuto meno nella memoria di tanti: non fu mai cattivo, ne sanguinario, ha sempre dimostrato di essere rispettoso della tradizione e dell’umiltà della sua gente. E’ stato tollerato con benevolenza, è stato spavaldo, però mai invadente, appariva come uomo rispettoso della parola “data”: un frutto dell’ambiente che lo aveva partorito. Di tutto questo i giornali, soprattutto quelli dei pettegolezzi, ne hanno approfittato, hanno saputo sfruttare la debolezza di Mesina dandogli a intendere che era un personaggio nazional-popolare, naturalmente non in termini gramsciani, mediaticamente teso all’appiattimento e al ricavo di interessi vari, compresi i soldi, il denaro facile e abbondante. Arriva la notorietà, il personaggio che gli è stato cucito addosso finisce per convincerlo, crede di essere quello che non è. Un po’ pirandelliano, se vogliamo. Infatti, dopo la grazia ottenuta da C.A.Ciampi Mesina fa l’attore, interpreta l’eroe romantico mai esistito, si pone al servizio dei tour operator per accompagnare certo turismo nei luoghi delle  scorribande da latitante. All’età di 71 anni viaggia in porche cayenne , è logorroico e ricco, è accusato di traffico e spaccio di droga. Ritorna in carcere. Si capisce che il suo rivale di sempre, lo Stato, non l’ha mai mollato, l’ha sempre controllato in tutti i suoi movimenti con le microspie, tutto per incastrarlo fino a riappropriarsi del suo corpo e imprigionarlo, per dimostrare, con Lombroso, il concetto “criminale per nascita”. Lo Stato lo accusa di traffico e spaccio di droga, un’accusa infamante per un uomo di quel calibro e di quella generazione, un’accusa che se provata allontanerebbe definitivamente il Mesina da chi l’ha sempre perdonato e voluto bene.
Il discredito forse potrebbe essere la vera condanna che lui, l’ex, non vorrebbe mai subire; ma se a ciò fosse indifferente, significa che voleva rompere i ponti non con il passato criminale ma con la sua gente. Significa che ha fatto il “salto di qualità” schierandosi, armi e bagagli,  con la nuova criminalità barbaricina, che si esalta e si fregia del suo nome, quella criminalità che ascolta le sue logorroiche storie e sopporta la sua ira e gli improperi contro i gratta e vinci, che non gli concedono consistenti premi. In questo modo chiuderebbe con la sua gente e la storia civile della sua comunità, chiuderebbe con chi ha lottato in difesa di Pratobello, con i tanti che per il riscatto hanno creduto nella militanza e nella lotta politica, chiuderebbe con la storia di Orgosolo e con quel pastore-poeta, Peppino Marotto, eroe della Barbagia civile, vittima del piombo che una nuova criminalità, sempre più metropolitana, insanguina l’asfalto. Anche quello di Orgosolo.

1 Commento a “Mesina”

  1. bruno gualco scrive:

    Se uno può (e soprattutto vuole) possedere la porche cayenne poco ha da spartire con le cause del popolo: men che meno di quello sardo.

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