Messico: dalla narcoguerra alla militarizzazione

16 Ottobre 2015
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Irene Masala

Il distretto messicano di Michoacán è stato completamente militarizzato: più di mille soldati sono stati dislocati in sei municipi, più di 500 agenti dell’esercito sono arrivati lo scorso sabato nei municipi di Zitácuaro, Huetamo e Los Reyes come parte della terza operazione congiunta annunciata il primo ottobre.

Secondo l’agenzia di stampa messicana Quadratin, attualmente sono sei i municipi di Michoacán completamente militarizzati e posti sotto la supervisione del governo statale e federale per ragioni di “sicurezza pubblica”. I primi territori posti sotto controllo militare sono stati quelli di Morelia, Utuapan, Zitácuaro, Huetamo e La Piedad. E questi sono solo i primi convogli su un totale di 3000 uomini della Polizia Militare che andranno a rafforzare la presenza di altri 2000 agenti della Polizia Federale in almeno venti municipi.

Per il periodico messicano Sinembargo, da quando si è insediato Enrique Peña Nieto il numero degli omicidi è salito esponenzialmente. Dal 1 dicembre 2012 al 31 luglio 2014 ci sono stati 57.899 omicidi, mentre dal 1 dicembre 2006 al 31 luglio 2008, sotto il governo di Felipe Calderon, gli omicidi sono stati 43.694. Nel mese di luglio lo stato di Michoacán era al quarto posto per il numero di omicidi, 1114 solo nel primo semestre del 2015 (al primo posto il Distretto Federale di Città del Messico, con 1.790 omicidi tra gennaio e giugno).

Lo scorso maggio, le forze di polizia e dell’esercito hanno effettuato un’irruzione aerea in un ranch del Michoacán, uccidendo 42 persone accusate di appartenere a uno dei cartelli della droga che controllano il territorio. Le famiglie delle vittime hanno iniziato una protesta assicurando che si trattava di semplici contadini, molti dei quali hanno riportato evidenti segni di tortura sui loro corpi esanimi.

Il distretto di Michoacán è da quasi due decadi in lotta contro i vari gruppi del narcotraffico: nel 2000 c’erano gli Zetas, gruppo armato appartenente al cartello del Golfo del Messico, da cui si sono distaccati nel 2007 per intraprendere attività illegali che non si limitavano più al commercio e spaccio di droghe, ma sconfinavano in vere e proprie attività di stampo mafioso e di controllo territoriale, dalle estorsioni ai sequestri di persona, dal riciclaggio di denaro alla gestione della prostituzione. Sugli Zetas si impose la Familia Michoacana, dal cui scisma nacquero i Caballeros Templarios, un gruppo di narcos che aveva tra gli obiettivi quello del disboscamento ed esproprio di numerosi terreni a contadini e agricoltori.

Ed è proprio contro i Caballeros che, nel 2011, si crearono i primi grupos de autodefensa, milizie armate formate da cittadini, stufi di subire ogni genere di sopruso da parte dei narcos e dello stato centrale, che decidono di auto organizzarsi per difendere il loro territorio. La strategia del movimento è risultata vincente, riuscendo a espellere i Caballeros nel 2013, tanto da voler mirare più in alto: disarmare la polizia locale, corrotta e connivente con i trafficanti, e sostituirla con posti di blocco civili e un continuo controllo su tutte le strade di accesso per le città “liberate” dal narcotraffico.

Questo conflitto a bassa intensità, da una parte giova alla presidenza di Peña Nieto, basata per la maggiore sull’idea di un Messico in crescita e in lotta continua contro il crimine, dall’altra rappresenta un problema perché le milizie civiche controllano porzioni sempre più ampie di territorio statale. Da questa sovrapposizione deriva la militarizzazione di Michoacan: se si eliminano una volta per tutte i Caballeros, i grupos de autodefensa non avranno più motivo di esistere. Ma la militarizzazione forzata ricorda una triste vicenda ancora viva nella memoria, quella dei 43 studenti della scuola rurale di Ayotzinapa, presi dalla polizia locale di Iguala la notte del 26 settembre 2014, e consegnati a una delle bande di narcos della zona.

La narco-guerra, come viene chiamata la guerra dello stato messicano al narcotraffico, ha portato all’aumento smisurato del livello di insicurezza individuale, con conseguente legittimazione dell’uso arbitrario della violenza da parte dello stato. Questa strategia di repressione militarizzata dei cartelli della droga si confonde e sovrappone spesso, troppo spesso, con la repressione dei movimenti sociali di dissenso e delle esperienze insurrezionali di alcune comunità e minoranze indigene. Il caso dei 43 studenti, ancora oggi desaparecidos, punta per l’ennesima volta i riflettori sul pericoloso legame che intercorre tra politica, forze di polizia e narcotraffico, in attesa di una nuova militarizzazione.

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