Michele Antonio Plazza, un medico-chirurgo piemontese che ha studiato le condizioni demografiche e ambientali della Sardegna nel XVIII secolo

1 Aprile 2018
[Gianfranco Sabattini]

Di recente, il Centro di Studi Filologici Sardi ha pubblicato un volume, recante il contenuto di un manoscritto che recenti ricerche sulla Sardegna del ‘700 hanno individuato presso l’Archivio di Stato di Torino, intitolato: “Riflessioni intorno ad alcuni mezzi per rendere migliore l’isola di Sardegna”. Solo di recente, lo storico Piero Sanna ha stabilito, con “ragionevole attendibilità”, che il manoscritto è opera del chirurgo piemontese Michele Antonio Plazza, redatto nella seconda metà del 1754. Il manoscritto è oggi offerto al pubblico, per iniziativa del Centro di Studi Filologici Sardi, preceduto da due saggi introduttivi di Carlo Nonnoi e di Carlo Mulas.

Il primo, docente di Storia della scienza e Storia delle filosofia moderna alla Facoltà di studi umanistici dell’Università di Cagliari, inquadra l’impegno politico e culturale che ha caratterizzato l’attività svolta dal Plazza in Sardegna, inserendo tale impegno nella corrente dei movimenti innovatori che, sul piano scientifico, hanno caratterizzato il XVIII secolo; il secondo, Carlo Mulas, dottorando in Storia della scienza presso il Dipartimento di Storia, Beni culturali e Territorio dell’Università degli studi di Cagliari, quasi a completamento della narrazione di Nonnoi, insiste sui due “mali endemici” dell’Isola, la bassa densità demografica e lo stato insalubre del territorio isolano, rispetto ai quali si deve principalmente l’interesse che rivestono le “Riflessioni” del Plazza.

Dalla lettura del saggio di Nonnoi emerge come il dominio sabaudo nel corso del XVIII secolo non sia stato così oscurantista come vorrebbe l’immaginario collettivo. Sicuramente, se da parte dei governi del Regno piemontese ci sono stati momenti di attenzione per i problemi dell’Isola, non è certo per un’apertura umanitaria dell’aristocrazia sabauda nei confronti dei problemi che maggiormente affliggevano le comunità isolane; tuttavia, sebbene l’attenzione sia stata prevalentemente determinata da convenienze esclusive dei piemontesi, non si poteva trascurare il fatto che lo “sfruttamento” della Sardigna rendeva necessario il miglioramento delle sue critiche condizioni demografiche ed ambientali. In questa prospettiva, va considerata l’azione di governo del Conte Giovanni Battista Lorenzo Bogino, ministro per gli affari di Sardegna per conto di Carlo Emanuele III; Bogino è stato autore di iniziative di stampo illuministico, sia dal punto di vista amministrativo, che da quello economico, riordinando le amministrazioni locali, al fine di ridimensionare il potere delle oligarchie e di rinnovare la ripartizione tributaria tra le genti dei vari luoghi isolani. All’attività rinnovatrice e di governo del Conte Bogino è da ricondursi una parte importante dell’attività di studio delle condizioni precarie di vita in cui versava la popolazione dell’intera regione.

Michele Antonio Plazza, nato nel 1720 a Villafraca, in Piemonte, è giunto a Cagliari, racconta Nonnoi, per la prima volta nel 1748, al seguito di Giulio Cesare Gandolfi (o Gandolfo), nominato in quell’anno arcivescovo della capitale del regno, in qualità di chirurgo personale del prelato; il Plazza, dopo essere rimasto in Sardegna fino all’agosto del 1751, si è trasferito in Francia, per perfezionare le sue competenze di medico-chirurgo, rientrando in Sardegna alla fine del 1754; dopo essersi allontanato per rientrare a Torino, è tornato a Cagliari nel 1759, dove è rimasto per il resto della vita, morendo all’inizio del 1791.

Sin dal primo momento del suo trasferimento a Cagliari, il Plazza, a margine degli impegni sanitari – narra Nonnoi – “incomincia a rivolgere lo sguardo verso le produzioni naturali dell’Isola, in particolare su quelle botaniche, riproponendosi di organizzare a tempo debito delle esplorazioni naturalistiche più sistematiche e mirate […]. Questo tipo di ricognizioni segue, sin dall’inizio, un tracciato nel quale una linea sistematica si sovrappone continuamente ad una linea economico-utilitaristica e viceversa”. Dopo il suo rientro a Cagliari dal soggiorno francese, il Plazza, associa all’interesse per la botanica associa quello dello studio “del territorio dell’Isola con una coscienziosità ed una perizia del tutto rinnovate ed ampliate”, per via di un migliorato profilo professionale e culturale, acquisti durante i suoi trascorsi in suolo francese e i soggiorni torinesi.

Le migliorate qualità professionali hanno consentito al Plazza di aumentare il “peso” della sua presenza in Sardegna, allorché, dopo la fine della Guerra di successione austriaca (1740-1748), il governo sabaudo ha deciso “di dare seguito – afferma Nonnoi – ad una serie di provvedimenti politici ed economici tra loro coordinati, finalizzati all’avvio di un processo di maggiore integrazione dei territori insulari del regno con quelli di terraferma”.

La realizzazione di questo disegno è stata assegnata al Bogino, il quale, nella fase preparatoria degli interventi futuri ha privilegiato un’attività ricognitiva e documentale, indirizzata “a raccogliere la maggiore quantità possibile di informazioni e di dati attendibili sull’Isola”. E’ alla realizzazione di questo disegno che vanno ricondotte le numerose relazioni e i diversi progetti elaborati con riferimento al territorio isolano; dell’insieme di queste relazioni e progetti fanno parte le “Riflessioni” che il Plazza ha redatto tra il 1755 e il 1756.

Tra le questioni sulle quali il medico-chirurgp si sofferma, quelle riguardanti la consistenza e la condizione sanitaria della popolazione isolana rivestono il maggiore interesse, “perché si focalizzano sull’annoso ed endemico deficit demografico dell’Isola”. All’epoca – osserva Nonnoi – tra popolazione e territorio “si assumeva dovesse sussistere una regola aurea, un rapporto ideale, ancorché soggetto a specifiche variabili locali, per cui l’eccesso di popolazione, tanto quanto la sua carenza, erano considerati fattori capaci di incidere in maniera determinante sulla floridità e sulla solidità di uno Stato”. La popolazione sarda, che mai era stata consistente nel corso della storia, nei primi decenni del XVIII secolo registrava alcune evidenze positive della “rivoluzione demografica” che caratterizzava a livello generale il secolo, anche se in termini non sufficienti a riequilibrare il rapporto tra popolazione e territorio.

Del Plazza, per quanto non fosse un economista, né un demografo, diversi elementi mettono in evidenza che, sebbene fosse consapevole – afferma Nonnoi – che l’”orientamento popolazionista” (al quale venivano attribuite tutte le conseguenze e le implicazioni espresse in termini di “aritmetica e di geometria politica”) non era sufficiente a spiegare, oltre che il ritardo sulla via dello sviluppo economico dell’Isola, anche le ragioni per cui la Sardegna fosse così scarsamente popolata e perché fallissero i tentativi di “incrementare la popolazione ricorrendo ad apporti allogeni”; ciò in quanto, secondo il Plazza, ogni tentativo di colonizzazione era destinato a sicuro fallimento, se prima non fossero state eliminate le diverse cause endogene che già di per sé impedivano la crescita della popolazione locale.

Solo rimuovendo le cause endogene, affermava il Plazza, opportune politiche di immigrazione e di sviluppo potevano produrre effetti positivi. Viene fatto di osservare, che il Plazza era molto più consapevole di molti osservatori contemporanei, che anche oggi, vittime dell’”approccio popolazionista”, a proposito del ritardo della Sardegna sulla via della crescita e dello sviluppo, pensano (mutatis mutandi) di poter favorire il superamento dell’arretratezza dell’Isola attraverso l’immissione di immigrati laboriosi; trascurando così che anche la presunta laboriosità di questi ultimi è destinata a non produrre effetto alcuno, sin tanto che perdurano le cause endogene che concorrono a conservare la Sardegna bloccata al suo stato di economia arretrata.

Giustamente, Nonnoi rileva che l’approccio del Plazza al problema demografico della Sardegna era “straordinariamente moderno, non solo nel metodo, ma anche per gli strumenti conoscitivi di cui egli si avvale per mettere a fuoco la reale portata del fenomeno”. I rilievi condotti dal medico-chirurgo piemontese lo hanno condotto ad evidenziare che gli elementi strutturali alla base della bassa consistenza della popolazione sarda erano da ricondursi alla insalubrità del territorio e che le linee guida per risolvere il problema demografico dell’Isola dovevano tener conto della necessità di migliorare le condizioni igieniche, sanitarie ed alimentari, nonché gli stili di vita della popolazione autoctona.

Al riguardo – a parere di Nonnoi – particolarmente “centrate e argomentate sono le pagine dedicate alle due componenti che, da un punto di vista strettamente sanitario, nelle Riflessioni vengono individuate come capaci di incidere in modo strutturale sull’andamento tendenzialmente stazionario della popolazione sarda: ovverosia l’inconsistente stato della sanità isolana e la cosiddetta sardoa intemperie”. A quest’ultima espressione veniva associato un insieme di sintomi negativi, imputabili alla morbosità dell’aria, che avevano l’effetto di compromettere lo stato di salute delle persone. Allo “schema aerista” – osserva Nonnoi -, nel quale si intrecciavano diversi elementi dottrinari di “derivazione aristotelica e ippocratica”, non ha aderito Michele Antonio Plazza, il quale, optando per spiegazioni più razionali (basate su un moderno metodo di analisi che si era affermato all’inizio del secolo), circa l’insalubrità del territorio, assumeva che la causa primaria della “mala aria” fosse da ricondursi all’agente patogeno “plasmodium malariae”, veicolato dalle ”anopheles”, che avevano nelle zone umide il loro habitat naturale.

Il risanamento del territorio veniva perciò individuato dal Plazza nell’attuazione di una politica sanitaria svolta a deradicare la malaria o le malattie causate dalle “anopheles”. A tal fine, nell’attesa dei provvedimenti pubblici utili a realizzare le necessarie bonifiche dei luoghi infestati dagli insetti nocivi, la proposta formulata dal Plazza nelle “Riflessioni” consisteva in un radicale rinnovamento di una parte del corpo accademico isolano, con l’istituzione di cattedre che fossero risultate utili per la salute degli abitanti dell’Isola. La proposta del Plazza, però, pur trovando il favore dei funzionari regi presenti nell’Isola, non era condivisa “dalla fragile ma reattiva classe medica e accademica locale, la quale tuttavia non ebbe la forza di impedire che le ipotesi riformatrici del Plazza trovassero, seppur per gradi e non nella loro interezza, una concreta attuazione”. Ad ogni buon conto, la proposta del Plazza è stata solo parzialmente accolta, con l’istituzione a Cagliari di una cattedra di chirurgia; fatto, questo, che si inquadrava – afferma Nonnoi – “all’interno dell’indirizzo popolazionista che si era venuto affermando definitivamente: la conservazione della popolazione sarda”.

Il Plazza si è rivelato così uno dei pochi intellettuali d’origine esterna che, dopo la presa di possesso dell’Isola da parte dei Savoia, hanno preso a cuore le sorti della popolazione isolana; il suo impegno per modernizzare la cultura sanitaria regionale gli è valsa la possibilità di divenire “una sorta di supervisore e insieme un vero e proprio dominus dell’intero sistema sanitario del Capo di Cagliari” e il titolare della cattedra di chirurgia appena istituita; con ciò non si può certo dire che i Savoia si siano sufficientemente impegnati a sconfiggere il male endemico della malaria che, da sempre, affliggeva la popolazione isolana.

Sarà solo dopo la fine del secondo conflitto mondiale che la lotta contro la “mala aria” sarà intrapresa con l’attuazione di un’intensa campagna da parte dell’Ente Regionale per la Lotta Anti-Anofelica in Sardegna (ERLAAS), con il contributo della United Nations Relief and Rehabilitation Administration (UNRRA), della Economic Cooeration Administration (ECA) e della Rockfeller Foundation.

La lotta ha avuto un parziale successo, perché l’obiettivo è stato individuato nella deradicazione del vettore delle malattie (l’anophele) e non in quello della rimozione delle cause che le determinavano (le paludi). A tal fine, sarebbe stato necessario una cura del territorio e una messa in stato di sicurezza dello stesso; interventi prioritari, questi, che sono del tutto mancati, a causa delle scelte effettuate in fatto di politica di crescita e sviluppo. Queste scelte, nel lungo periodo, hanno riproposto il problema della conservazione della consistenza della popolazione regionale. Non casualmente, la popolazione attuale della Sardegna è in calo, per via dell’emigrazione di gran parte della propria popolazione giovanile, causata dalla carenza di opportunità lavorative e, conseguentemente, dal fatto che il tasso di natalità da tempo stia registrando valori inferiori a quello di mortalità.

Il Plazza, intellettuale “invasore piemontese”, aveva indicato quali fossero gli interventi prioritari per conservare la consistenza e la qualità della popolazione regionale; ma oggi, i governanti autoctoni, come allora, i governanti regi, hanno preferito optare per la cura dei sintomi che determinano il “malessere” della popolazione (le malattie nel Settecento e la disoccupazione all’inizio della seconda metà del Novecento) e non già per la rimozione della loro causa (le bonifiche, allora, e la creazione di opportunità occupazionali, oggi). Povera Sardegna, per un motivo o per un altro, non riesce acquisire una consistenza ed una qualità della propria demografia, adatte alle sue condizioni territoriali e alle sue potenzialità di crescita, se non ricorrendo a reiterati tentativi di importare elementi allogeni destinati a fallire.

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