Nostalgie dorotee

16 Settembre 2012

Graziano Pintori

I numerosi interventi sul sovranismo riportati dal manifestosardo stanno suscitando un grande interesse, ma anche preoccupazione nel mondo della sinistra perché si percepisce, con l’uso dei neologismi, l’inevitabile ritorno al passato. Vale a dire il ripetersi di quel metodo che consiste nel proporre sempre qualcosa di “nuovo”, inteso come percorso politico, che nella sostanza rimane incomprensibile alla maggioranza dei cittadini lavoratori, pensionati, giovani, disoccupati, ecc. Incomprensibile non solo nella sostanza del termine usato, “sovranismo”, ma anche su quanto si propone a margine di esso, ossia l’alleanza della sinistra con partiti dichiaratamente schierati con la destra liberista, e attivi protagonisti nella giunta Cappellacci.
Nei numerosi interventi citati all’inizio, sono molto usati i termini trasformismo e gattopardismo, che richiamano i vecchi metodi tipici delle correnti interne dei partiti, come furono, per esempio, i dorotei. Di questa corrente facevano parte uomini instancabili, sempre pronti a fronteggiarsi sia con il centro sinistra e sia con il centro destra; uomini capaci di agire su più tavoli, su diversi livelli con trattative e mediazioni ad oltranza. Ho citato una delle tante correnti che animarono la DC, oppure potevo citare i miglioristi del PCI, o i craxiani del PSI, gli zanoniani del PLI, ecc. Tutte queste formazioni interne ai partiti furono rappresentate da uomini, ingegneri della politica, costruttori di progetti e proposte che attraevano l’interesse del gotha parlamentare, attorno ai quali ci si attorcigliava, ci si annodava causando, inevitabilmente, la paralisi della politica stessa. Questi erano uomini navigati, o meglio, nella maggior parte dei casi, erano pesci che nuotavano solo nell’acqua del potere, per il potere. Senza voler assimilare nessuno degli esponenti dell’attuale vertice di Sel a quei loschi personaggi, ho voluto solo ricordare i metodi da prima repubblica, per evidenziare che nella svolta politica proposta esiste il reale pericolo di un ritorno al passato.
Infatti intravvedo in questo nuovo disegno quelle macchinosità, o tattiche politiche, che appesantiscono i dibattiti, che rendono opachi gli obiettivi, che affievoliscono la passione per l’impegno personale e collettivo. Su questo nuovo fronte delle alleanze non colgo l’indispensabile attinenza con la realtà sarda, ossia quanto possano sentirsi convinti, consapevoli e coinvolti gli abitanti della provincia più povera d’Italia, i pastori delle Barbagie, gli operai di Porto Torres, i precari della scuola, i lavoratori in nero dei supermercati e dei call centers, gli studenti, compresi quelli disabili, ai quali ogni anno, puntualmente, sono ridotti i diritti allo studio.
Sarebbe interessante sentire le reazioni delle citate categorie, come di tante altre in sofferenza, per capire il loro pensiero sul sovranismo, su un centrosinistra di nuova generazione conseguente al rovesciamento delle alleanze; ascoltarli per capire se l’emergenza è questo nuovo filone politico, oppure l’emergenza lavoro. Al contrario: consiglierei di ascoltare i battiti del polso dei sardi, per intendere, sforzandoci un po’ tutti, che i veri autistici sono coloro che si avventurano, in un contesto di forte crisi economica, a formulare soluzioni che poco hanno a che fare con le aspettative di chi subisce in modo violento gli effetti del fiscal compact, dello spread, del spending review, termini palesemente stranieri ma sardi in tutti i suoi effetti negativi. Dico sardi per rappresentare un insieme di diseredati sparsi su tutto il pianeta, che subiscono le azioni criminose dei mercati, pianificati dal sistema delle banche.
Detto questo, mi chiedo, perché un partito ben definito e radicato nella sinistra come Sel deve farsi promotore di “rovesciare le alleanze”? Senza prima tentare di rafforzare il sistema delle alleanze all’interno della stessa variegata sinistra?
Quest’ultima sarebbe, dal mio punto di vista, una mossa concretamente propedeutica per un centro-sinistra più autorevole. Un passo del genere sarebbe sicuramente più comprensibile ai tanti, perché meno opaco nei suoi obiettivi e più naturale rispetto al ruolo, tanto atteso, del partito vendoliano nel panorama della sinistra.
Servirebbe anche come risposta concreta per quell’operaio disperato dell’Italcementi di Sassari, il quale, non sapendo più a chi ricorrere su questa terra, si rivolge direttamente ai beati del paradiso, a papa Wojtyla, affinchè interceda con un miracolo in modo da evitare a lui e agli altri compagni di finire nell’infinita schiera dei disoccupati.

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