Nativi

1 Luglio 2010

stiglitz

Alfonso Stiglitz

“Per noi ‘nativi del Pd’, cioè estranei alla tradizione comunista e a quella democristiana, le parole compagni, festa dell’Unità, sono concetti che rispettiamo per la tradizione che hanno avuto ma che non rientrano nel nostro pensare politico e che facciamo fatica ad accettare… questo trapassato non ha noi come destinatari”. Il brano è contenuto in una lettera inviata da cinque giovani militanti (si potrà ancora usare questa parola?) del Partito Democratico al Segretario, Luigi Bersani, per protestare sull’uso del termine compagni. Come era inevitabile la lettera ha scatenato un ampio dibattito politico (tradotto: putiferio) sulla legittimità, nobiltà e significato del termine “compagno”; e, in effetti, colpisce la violenta reazione all’uso di un termine di nobile significato e antica tradizione. Personalmente, non appartenendo al Partito Democratico né, ahimè, alla gioventù ho trovato, tutto sommato poco interessante il problema. Ovviamente, in una libera associazione di cittadini quale è, o dovrebbe essere, un Partito la discussione sul come chiamarsi è lecita e nessun esterno avrebbe titolo a intervenire. Però, in questo, caso l’uso dei termini ha travalicato la discussione interna e non certo a causa dell’epiteto “compagni”. Infatti, mi ha colpito di più, e mi sorprende che non sia stato oggetto di un più ampio dibattito, il termine utilizzato dai cinque firmatari per indicare il proprio diritto a rivendicare la proibizione dell’uso di “compagni”: nativi; anzi mi ha colpito di più la sequenza: “per noi ‘nativi del Pd’, cioè estranei”. È vero che il Partito Democratico ha molte anime o, più laicamente, componenti, ma l’uso di una discriminante così netta riporta più al lessico leghista che non a quello democratico. Anche se è vero che il leghismo contagia da tempo la stessa Sinistra, un po’ sbalestrata, in cerca di nuovi orizzonti. Da tempo, come chi segue i miei articoli su questa rivista sa, mi occupo dei problemi dell’identità e del razzismo e di come, talvolta, questi due insiemi diventino pericolosamente contigui, trasformando il primo da elemento di ricchezza ad arma di esclusione. Per questo alla lettura del termine “nativi”, come legittimazione di una opinione, sono balzato dalla sedia e, come per riflesso condizionato, ho messo mano (via web) alla onnipresente Treccani, l’Enciclopedia per eccellenza della mia generazione: Nativo agg.: Riferito a persona, che ha avuto i natali in un luogo, che ne proviene per nascita […] Di qualità, disposizione o condizione che si possiede fin dalla nascita; innato, connaturato o comunque non acquisito. Se poi apriamo, sempre via web, un dizionario troveremo come sinonimi indigeno, aborigeno, autoctono e come contrari immigrato, forestiero, straniero, acquisito. Abbiamo così molto chiari i confini culturali, oltre che semantici, del termine nativo; confini impressionanti. In altre parole l’uso del termine “noi nativi” ha la forza di stabilire un muro di frontiera che separa il “noi” dagli altri e, soprattutto, che stabilisce chi ha diritti e chi non ne ha o, comunque, ne ha un po’ meno. Il nativo ha diritto pieno, indiscusso e indiscutibile perché non contaminato da altre tradizioni genetiche e culturali; l’altro, il forestiero, no. Nel migliore dei casi ha solo qualche diritto, quelli che il nativo gli riconosce, in quanto acquisito come concessione per suprema benevolenza nel fargli varcare la linea noi/voi. E anche quando questa linea è varcata è bene che l’altro non si discosti molto da essa, pronto a essere rispedito indietro quando noi (i nativi) decidiamo che voi (gli acquisiti) avete fatto cattivo uso del diritto concesso. È in sostanza la “normalità del razzismo” che passa attraverso l’uso consapevole o meno delle parole. Mentre scrivevo questo breve pezzo ho ripreso in mano un bel libro di Giuseppe Faso che raccoglie 50 articoli della sua rubrica dal titolo significativo “le parole che escludono” (G. Fasi, Lessico del razzismo democratico. Le parole che escludono, Roma, DeriveApprodi, 2008). Nel libro la parola nativo non è analizzata, ma altre parole sono elencate tra cui alcune che ho usato nel testo: altro, benevolenza, cittadini, civiltà, ospite. Buona lettura.

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