Obiettivo a sinistra

15 Luglio 2007

IL QUARTO STATO

Valentino Parlato

L’appassionato intervento di Fausto Bertinotti a conclusione dell’assemblea della Sinistra Europea ha già suscitato un dibattito assai interessante sullo stato e i destini della sinistra, non solo in Italia. In estrema, e schematica, sintesi Bertinotti: 1) afferma che «siamo a un passaggio cruciale»; 2) sottolinea l’urgenza del fare per avviare un processo unitario della sinistra di alternativa; 3) pone come obiettivo «il socialismo del XXI secolo», enfatizzato come «l’oltre» da un titolo di Liberazione. Fortissimo è l’appello a fare, agire, quasi un generoso lanciare il cuore oltre l’ostacolo. O, secondo una massima a me cara, «on s’engage, puis on voit».
Certo senza un fare non si va avanti, ma bisognerebbe precisare che il passaggio cruciale coincide con la crisi della politica e, soprattutto con la crisi più grave, storica direi, della sinistra e non solo in Italia. Insomma sarebbe stato utile qualcosa di più sul dove siamo o sul dove vogliamo arrivare. Insomma questo «socialismo del XXI secolo» in che cosa è eguale o diverso dal socialismo per il quale si è lottato nel XX secolo? Più rozzamente, se l’obiettivo del comunismo è ancora valido o meno. Anche da noi al manifesto, ogni tanto si discute se conservare o meno la scritta «quotidiano comunista». Poi, non scorgendo di meglio, ce la teniamo stretta.
Quel che ancora manca – e non è di poco conto – è una seria analisi dell’attuale crisi: non si esce da una malattia senza una diagnosi, una individuazione delle cause, sociali e storiche. Questa ricerca dovrebbe essere la premessa al che fare. E’ c’è da chiedersi se la crisi della politica non sia anche espressione di una crisi del nostro capitalismo stramaturo che non si manifesta come crollo economico (per sopravvivere il capitalismo si inventa guerre e consumi svariati), ma come degenerazione della politica e della società. Insomma, per usare una frase di Marx forse saremmo arrivati al punto in cui lo sfruttamento del lavoro vivo è diventato «una ben misera base per l’ulteriore sviluppo della ricchezza». Se fosse così dovremmo dire che la pera del capitalismo è stramatura, ma non ci sono soggetti in grado di raccoglierla e, forse, ci sta cadendo in testa.
Io ritengo che lo sfruttamento del lavoro vivo ci sia ancora e pesante, ma allora dobbiamo individuare i cambiamenti nella società e le ragioni del ristagno della lotta di classe. E se – come mi dicono i compagni competenti – è enormemente cresciuto il numero dei lavoratori dipendenti proprietari di casa e o di titoli di credito sarebbe un altro mutamento rilevante nella dialettica sociale o nella lotta di classe che per alcuni (vedi il libro di John Holloway Che fine ha fatto la lotta di classe? edito dalla manifestolibri) sarebbe roba del passato.
Data per condivisa la gravità, storica, dell’attuale crisi della sinistra non possono bastare le generose esortazioni e neppure l’innegabile forza delle passioni e delle emozioni. Bisogna capire e fare capire dove stiamo, quali sono le forze in campo e anche dove vogliamo andare e se il comunismo deve essere ancora l’orizzonte di una forza unitaria e plurale della sinistra. Se non ricordo male per Marx il comunismo non era uno sbocco ineluttabile della storia, ma si dica se è venuto il momento di passare oltre («oltre» è diventata una parola fatale nell’attuale dibattito). Perché se così fosse la «difesa» di un comunismo impossibile sarebbe inutile e dannosa, forse solo un trucco elettorale acchiappavoti per vecchi come me.

pubblicato su il manifesto giovedì 5 luglio 2007

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