Occupazione militare della Sardegna, giornalismo e nonviolenza

9 Aprile 2018

[Roberto Loddo]

Mi sento molto vicino e solidale con le giornaliste e i giornalisti della redazione di Rai Sardegna che ieri sono stati allontanati con spintoni, parole violente e minacce da un’assemblea antimilitarista. È banale ricordare che le lavoratrici e i lavoratori dell’informazione non sono la controparte di chi pratica azioni nonviolente per la riconversione della fabbrica di bombe RWM di Domusnovas e non sono certo nemici di chi lotta quotidianamente per il superamento delle basi militari.

La vera controparte di chi sostiene le ragioni della pace è da ricercare su chi produce guerre e su chi si è reso responsabile di una notevole sottrazione coloniale di territorio in Sardegna.

È anche vero che spesso chi crea informazione non riesce a volare alto e a immaginare il suo lavoro anche come un contributo importante alla costruzione di una società migliore. Talvolta assistiamo inermi e passivi ad una vera e propria pratica di stimolazione dello stomaco dei lettori, una ricerca cannibale funzionale solamente a conquistare un numero più alto di like e followers. Non tutti gli organi di stampa hanno il coraggio di rappresentare cosa sono veramente le basi militari in Sardegna e certamente non è stato un buon esempio di informazione la puntata di Monitor andata in onda il 5 aprile su Videolina, relativa all’accordo di programma sulle servitù militari stipulato tra Regione e Governo. Non è stata infatti coinvolta nessuna voce che ritiene l’esperienza delle basi militari in Sardegna fallimentare e dannosa.

Considero coraggiosi quei giornalisti che non smettono mai di cercare, ascoltare e domandare e non limitano il proprio lavoro ai comunicati della Questura. Coraggiosi come i giornalisti di Rai Sardegna che non aspettano i comunicati per uscire dalla loro redazione. Gli spintoni, le minacce, con la distruzione delle telecamere e dei microfoni di chi sta semplicemente adempiendo al dovere di garantire la correttezza dell’informazione rappresentano azioni disgustose che non fanno certo parte della dimensione del coraggio.

Partecipo alle manifestazioni contro la guerra e contro l’occupazione militare della Sardegna dall’età di 16 anni e ho sempre considerato gli organi di stampa una risorsa preziosa. Alleati utili di tutti i movimenti che immaginano una Sardegna diversa, in cui le relazioni tra le persone siano sorrette da valori di democrazia e uguaglianza. Per questo dieci anni fa è nato il progetto del manifesto sardo, organo di informazione che tra ha tra i suoi obbiettivi proprio la messa al bando di ogni forma di sopraffazione, guerra, patriarcato e sfruttamento del lavoro.

Nel praticare l’antagonismo alle guerre globali, il superamento della fabbrica di bombe Rwm di Domusnovas e la lotta contro le basi militari in Sardegna va considerato il rapporto di forza. Marco Revelli all’interno di un prezioso dibattito sulla nonviolenza lanciato da Liberazione nel 2004 diceva che il nostro antagonismo non si esprime più in un gioco frontale a somma zero in cui i contendenti sono nello stesso terreno e hanno la stessa unità di misura. Con le vecchie regole del ‘900 vincerà sempre chi ha a disposizione più strumenti di coercizione e chi ha accumulato più potenza.

Per competere con la forza muscolare dei poteri terribili che minacciano il pianeta dobbiamo cambiare il terreno, utilizzare gli strumenti della nonviolenza e della parola per conquistare spazi di partecipazione e socialità. Per fare questo abbiamo bisogno come l’ossigeno di coloro che fanno buona informazione, abbiamo bisogno di persone che per lavoro hanno il dovere di costruire il senso della solidarietà su se stessi e su chi legge. Perché la stampa non è solo un privilegio dei giornalisti, ma può diventare uno strumento di formazione delle persone.

La nonviolenza fa parte dell’identità politica della sinistra moderna. È una delle armi più forti di cui disponiamo e che abbiamo scelto per mutare radicalmente la società e per evitare che i mezzi che utilizziamo non siano in contraddizione con i fini che stiamo perseguendo. Lo abbiamo fatto con estrema difficoltà facendo i conti con la nostra storia. Per questo penso che le azioni di aggressione contro la stampa da parte di alcuni movimenti antagonisti segnino una scissione definitiva, una distanza radicale, tra chi, liberato dalla violenza, pratica atti di resistenza e liberazione per cambiare lo stato delle cose esistenti e chi invece giustifica l’orrore della violenza fingendo di ottenere cambiamento.

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