Il ricatto del vicino è sempre più verde

16 Gennaio 2012

Marcello Madau

Pensavo di intitolare ‘Di nuovo sotto ricatto’ questo commento alla cosiddetta ‘chimica verde’ e le notizie di destinazione, ai fini della produzione di oggetti più o meno biodegradabili di ampie zone di un territorio agrario pregiato come quello della Nurra. Fertile, una volta celebre, sicuramente sin dall’antichità, per le sue produzioni: poi è arrivata l’agognata fabbrica, i contadini hanno visto progressivamente i frutti della terra avvizzirsi e riempirsi di macchie, il mare ha ricevuto di tutto e i pesci il mercurio. Infine, a sigillo di ciò che già sapevamo (ma chi lo diceva era contro il progresso, il sindacato e i lavoratori), la prova dell’irreversibile inquinamento della terra. La più inquinata d’Europa.
Ora gli inquinatori decidono di farsi carico del risanamento. E guidano il nuovo sogno della cosiddetta ‘chimica verde’.
Oggi non vogliamo parlare, come abbiamo già fatto (si veda da ultimo ‘Operai al verde’ con riepilogo e links degli articoli da noi dedicati alla questione, e dovremo continuare a farlo), della perdita del diritto all’esistenza di migliaia di lavoratori e delle loro famiglie, e di un territorio. Ma del fatto che – sotto la piovra della disoccupazione e dello spread – nuovamente non si debba disturbare il manovratore.
Verrà il lavoro. Non per tutti quelli che lo perdono, per carità. Ma ci sarà.
Ci sono regole che si ripetono. Non per una strana maledizione, ma perché sono proprie del liberismo e dell’esercizio del potere sulle vite degli uomini che esso permette e si permette.
La botte piena e la moglie ubriaca: la convergenza fra l’ideologia del proverbio e quella delle regole della casa liberista appare esemplare, e degna di sviluppi analitici dal punto di vista materiale e simbolico.

Come una volta non si poteva pretendere, sotto la SIR, di avere lavoro e salute assieme (allora si diceva, ma non in molti: no alla monetizzazione della salute), oggi non si può avere chimica verde e biodiversità. L’agricoltura della Nurra viene orientata per le esigenze dì una centrale a biomasse di inaudita dimensione. Come le recentissime notizie confermano, si fa sul serio. Si profilano gigantesche coltivazioni a cardo e mais.
Nessuno dà – e neppure, piegato dal proverbiale ricatto – chiede garanzie sul fatto che il seminato non sia geneticamente modificato, che i campi destinati al nutrimento del nuovo sogno chimico non siano OGM, con tutti i pesantissimi rischi che tali coltivazioni hanno su quelle naturali e biologiche.

Qual è il problema? Il territorio è bene comune solo nelle nostre teorie, e nei nostri desideri di democrazia. Non governiamo il suo destino. Come due secoli fa le forze del capitalismo coloniale distrussero i boschi per farne traversine di treno (oggi siamo senza boschi e in compenso i treni fanno pena), ora si apprestano a dare un altro colpo di grazie al nostro territorio comune con questa nuova filosofia agricola.
E allora”, dice Novamont “ possiamo pensare ad un collegamento con la filiera agricola e chiudere il cerchio virtuoso”. Come? Ad esempio come ad Adria, con l’accordo fra Novamont e la società americana Genomatica, per produrre butandiolo: biocarburante che si ottiene con il mais GM, ovvero geneticamente modificato. Quello che si pianterà in Sardegna per Novamont, ci sarebbe da scommettere.
Partecipa anche l’Università di Sassari. Bisognerebbe dirlo a Vandana Shiva, fiera avversaria degli OGM, che si era fidata dell’ateneo sassarese.

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