Popoli e populisti, i 27 e Francesco

1 Aprile 2017
Ottavio Olita

Se i governanti d’Europa – tutti i governanti, dell’Unione e dei singoli Stati che la compongono – avessero la volontà politica, o l’umiltà, di capire, proprio dal 25  marzo, giorno della loro esaltata celebrazione del 60’ anniversario del trattato di Roma, dovrebbero trarre una lezione significativa grazie ad un memorabile raffronto simbolico.

In 27, nella capitale, erano riuniti, tutti insieme appassionatamente, a farsi nuove promesse, a darsi pacche sulle spalle, a scambiarsi decine di selfie come studenti in gita, a farsi immortalare con in mano una sontuosa stilografica per firmare l’ennesimo accordo. Tutto  in maniera autoreferenziale, fingendo di dimenticare momentaneamente grandi divergenze, opposti punti di vista sulla gestione degli immigrati, sugli interventi economici, sulla doppia o tripla velocità di crescita e sviluppo.

I 27 asserragliati in Campidoglio; fuori, per strada, migliaia di persone – quel ‘popolo europeo’ con speranze, idee, proposte quasi del tutto diverse dalle loro – tenute lontane da imponenti cordoni di polizia in modo che neppure gli slogan scanditi a gran voce giungessero alle loro orecchie. Il ribaltamento di una storica affermazione attribuita a Massimo D’Azeglio oltre 150 anni fa, dopo l’unificazione, “Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani”: gli europei hanno ormai piena coscienza di sé e del proprio potenziale, quel che è ancora da costruire è un’Europa credibile con governanti adeguati.

Diametralmente opposta la situazione che si viveva nell’altra capitale italiana, quella economica. Le forze dell’ordine impegnate soltanto a regolare l’imponente afflusso di persone che tra le periferie della città, piazza Duomo, San Vittore, il parco di Monza e lo stadio Meazza si accalcavano per ascoltare ed essere ascoltate, per avere un incontro fisico con l’unico leader mondiale che è ancora in grado di regalare speranza. Tutti credenti? E’ stato lo stesso Francesco nell’Angelus della domenica dalla sua finestra romana a dichiarare senza incertezze la presenza di ‘non credenti’ in quella folla immensa.

Che riflessione dovranno trarne quei 27 e tutti gli altri rappresentanti delle forze politiche dell’establishment di destra, centro e sinistra? Liquideranno la faccenda utilizzando un argomento, ormai molto di moda, che chi ascolta il popolo è ‘populista’?

In realtà il raffronto tra le due modalità di rapporto con le persone portatrici di intelligenza e umanità dà l’idea del continuo accentuarsi di differenze abissali. Gli uni, chiusi nelle stanze del potere, sanno soltanto far i conti sul piano finanziario, dimenticando del tutto le necessità degli uomini e delle donne, il bisogno di lavoro e di servizi. L’altra modalità, quella adottata in questi quattro anni da Francesco fin dal primo giorno del suo pontificato, trae indicazioni dagli incontri con anziani, emarginati, detenuti, giovani, disoccupati, immigrati e mette al centro dell’azione e delle continue sollecitazioni, la solidarietà, l’accoglienza, la generosità.

Qui la realtà fatta di bisogni, urgenze, necessità diventa diretta ed oggettiva, senza mediazioni, e si rivela in tutta la sua drammatica umanità. Lì a tutto questo viene anteposta l’ormai insostenibile tiritera del controllo dei conti pubblici ripetuta fino alla nausea nei salotti televisivi compiacenti – o nelle paginate di giornali alleati -, mentre i ricchi ingrassano sempre più i loro conti in banca e gli altri devono trovare il modo di arrangiarsi: le pensioni dei nonni, i redditi dei genitori che ancora lavorano, la carità.

Non so se qualcuno abbia già usato l’azzardo di dare del ‘populista’ a Francesco, ma con un certo tipo di informazione e narrazione c’è da aspettarselo. Anche perché ormai l’uso strumentale di questo termine è volto ad indicare tutti quelli che non si riconoscono nei tre schemi politici consentiti: centro, sinistra, destra.

Così sono ‘populisti’ anche schieramenti  xenofobi e razzisti, antidemocratici, autoritari. Come è avvenuto nelle recenti elezioni olandesi dove il cosiddetto ‘Partito della Libertà’ guidato da Wilders, invece di essere classificato per quello che è realmente, è stato definito ‘populista’ in modo che così, con la sua sconfitta alle politiche del suo Paese, si potesse cercare di dare un colpo anche a chi in casa nostra non appartiene ad una delle tre ‘chiese’ ammesse.

Se i 27 sapranno trarre profitto dal raffronto tra quei due modi opposti di vivere la giornata del 25 marzo, capiranno che non è più tempo di escamotages, di trasmissioni amiche e di titoli di giornale compiacenti. L’Europa che loro stanno governando non ha nulla da spartire né con quella immaginata dai fondatori, né con quella attesa dal ‘popolo europeo’. Che da Francesco imparino almeno l’importanza di essere disponibili all’ascolto e sappiano, di conseguenza, prendere provvedimenti che non piacciano solo ai banchieri e alle multinazionali.

Scrivi un commento


Ciascun commento potrà avere una lunghezza massima di 1500 battute.
Non sono ammessi commenti consecutivi.


caratteri disponibili

----------------------------------------------------------------------------------------
ALTRI ARTICOLI