Ripartiamo dal lavoro

16 Gennaio 2011

Rolls_Royce_Open10

Vincenzo Pillai

Il Manifesto Sardo ha dedicato diversi articoli sulla questione FIAT e su quanto comporta nel cambiamento degli equilibri economici e democratici. I fatti di Mirafiori, preceduti da quelli di Pomigliano d’Arco, meritano riflessioni e discussioni. A maggior ragione in un contesto come il nostro.
Ospitiamo perciò volentieri, invitando a commenti e ulteriori contributi, uno scritto che ci ha inviato Vincenzo Pillai.
Aggiungendo un’ultima cosa: una sinistra che vuole nuovamente cogliere e indirizzare il cambiamento democratico della società deve partire dal No al piano Marchionne e dall’opposizione di studenti e lavoratori cognitivi contro l’attacco alla formazione e alla ricerca pubblica. Il grande segnale operaio da Mirafiori non può essere ignorato (RED)
.

Malgrado tutto.
Malgrado la linea suicida della maggioranza della Cgil e della maggioranza del Pd .
Malgrado il comportamento delle altre organizzazioni di categoria della Cgil e della stragrande maggioranza delle camere del lavoro.
Malgrado la debolezza delle organizzazioni politiche extraparlamentare, dei sindacati di base e della sinistra interna alla Cgil, che ha certo ridotto ma, evidentemente non annullato, l’efficacia di un messaggio chiaro di solidarietà.
Malgrado la netta scelta della Cisl, Uil e Ugl di far propria l’ideologia che siamo tutti nella stessa barca e occorre accettare che qualcuno remi e altri si facciano trasportare decidendo anche la meta, i tempi della rotta e la sbobba da dare ai rematori.
Malgrado, dunque, il tentativo di isolamento sindacale e politico in cui si e ritrovata la Fiom.
Malgrado un presidente del consiglio che ha la spudoratezza di intervenire prima del voto per sottolineare che Marchionne ha pieno diritto di investire i “suoi“ soldi dove meglio crede e cioè dove possono rendere di più nel minor tempo possibile; cosa che Berlusconi ha saputo fare tanto bene che anche durante la crisi ha potuto aumentato le propria ricchezza e le spese voluttuarie che, speriamo, lo inducano ad andare presto dove nessun giudice possa raggiungerlo.
Malgrado tutto questo e altro ancora il 47 % dei lavoratori non si è astenuto ma è andato a votare no.
La situazione resta difficile ma un buon sano bicchiere d’acqua possiamo tracannarlo, come quando si va su in montagna e si incontra finalmente una fonte fresca. Fatto.
Ora voglio ritornare su un paio di punti che ritengo importanti
1° Marchionne ha fatto un’operazione tempestiva e con grande spregiudicatezza politica.
Ha fatto come Berlusconi che, davanti alla crisi della Dc e del Psi , ha fornito con Forza Italia un contenitore, apparentemente moderno, a una massa sociale che, ovviamente, continuava ad esistere anche se i grandi partiti erano andati in crisi.
Allo stesso modo Marchionne ha capito il livello di logoramento fra i sindacati e dentro i sindacati e che il governo, non avendo interesse a impegnarsi sulla Fiat, con qualche forma di investimento, avrebbe, quindi, bene accolto un’operazione di puro capitalismo rampante da proporre come modello concreto del dominio del mercato sulla società.
Ha intuito che anche il logoramento interno alla Confindustria, per la difficoltà ad uscire dalla crisi in presenza di un governo che non governa, permetteva un atto utile a scomporre i rapporti in campo indicando la strada almeno a quella parte di padroni che hanno i mezzi per percorrerla.
Ma non è stata messa da Marchionne nel giusto conto la capacità della segreteria nazionale della Fiom di resistere e di funzionare da riferimento per forze sparse e deboli. Come in natura non esiste il vuoto, così nella società i vuoti lasciati dalla maggioranza della Cgil e del Pd sono stati progressivamente colmati da una solidarietà varia ma consapevolmente orientata in un’unica direzione: non si fanno altri passi indietro rispetto alle conquiste di cento anni di lotte, ci sono diritti non contrattabili.
2 Ora Marchionne è quasi costretto a investire i suoi miliardi e stia pur certo che, non il 47%, ma almeno il 70% degli operai riporterà la Fiom in fabbrica.
Su questo obbiettivo dobbiamo lavorare ripetendo a voce sempre più alta che la Fiat non è di Marchionne ma di quell’insieme di lotte che l’hanno salvata dai nazisti e poi dalle tante crisi di mercato, quando lo stato, quindi tutti gli operai e anche tutti noi, nella Fiat ha messo soldi sotto le forme più svariate.
Marchionne sarà pure padrone, amministratore delegato, di quei miliardi che dice di voler investire, ma la Fiat è edifici, macchinari e uomini che non appartengono a lui e che, se il terreno della sfida è quella dei sacrifici, allora quegli uomini possono farli ma da padroni, scegliendo cosa produrre e come e passandogli, se vorrà restare amministratore delegato facendo la sua parte di sacrifici, un giusto compenso !

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