Rwm Domusnovas. Sul valore relativo dell’etica

16 Luglio 2017
Aldo Lotta

“…Rigettiamo ogni ipotesi di riconversione: la fabbrica è nata per una produzione precisa e, piaccia o meno, quella deve portare avanti. A seguire fino in fondo discorsi e dettami etici si finirebbe per non fare nulla invece questo territorio ha un immenso bisogno di lavoro”. (sindacato Fenca Cisl-L’Unione Sarda del 9 luglio ’17)

Questo nel quotidiano sardo a proposito delle richieste di riconversione della fabbrica di Domusnovas Rwm, che dopo aver assemblato i componenti spedisce il “prodotto finito” in Arabia Saudita. Prodotto, bombe, che ritroviamo, esausto, tra le case rase al suolo dello Yemen, dopo aver compiuto la sua missione distruttiva e omicida (secondo un rapporto di Giugno da parte di un centro per i diritti umani, sono morti 2689 bambini, 1942 donne e 7943 uomini, tutti civili; 1600 persone morte per il colera, 300.000 nuovi casi secondo la Croce Rossa, di cui il 41% sono bambini).

Non credo che ci si sia molto da commentare ma, mi auguro, tantissimo su cui riflettere. Eppure non riesco a non esprimere una perplessità. Che la logica del profitto sia una sorta di fondamentalismo religioso globale, intorno al quale si esercita il valore di una singolare solidarietà (tra pochi autoeletti: il famoso 1%) credo sia un fenomeno abbondantemente appurato. Quello che genera di fatto malessere e tormento è il fatto che al fine di sostenere questa strana  “solidarietà” entri in gioco chi dovrebbe contrapporre valori opposti e chi dell’etica dovrebbe fare una bandiera; se non altro, per un senso di responsabilità verso il ruolo sociale che ha scelto di ricoprire.

L’affermazione citata e la logica che la sottende, può essere, ad esempio, un involontario invito a chi di dovere ad individuare le miniere del Sulcis, in quanto situate in una zona depressa, come l’ideale luogo di stoccaggio dei materiali radioattivi provenienti dalle centrali nucleari dismesse. Nel settembre 1997 la Valsella Meccanotecnica, fabbrica di mine antiuomo di Castenedolo vicino a Brescia, venne riconvertita ai fini della produzione di veicoli ecologici: in quel caso i discorsi e i dettami etici sostenuti da un vasto movimento di opinione pubblica vennero presi in grande considerazione (e fino in fondo).

La riduzione della dimensione morale a territorio di negoziato, con relativi distinguo ed eccezioni, non ci ricorda forse qualcosa che ha a che fare con le vergogne di classi politiche e di governo sempre più autoreferenziali e distanti dai veri interessi del sociale? E’ questo dunque che vogliamo? Allontanarci ancora e sempre più dal celebre assoluto imperativo kantiano? E, quindi, dagli assiomi alla base sia della nostra Costituzione, sia delle Convenzioni Internazionali di Ginevra che della Dichiarazione Universale sui Diritti dell’uomo?

Mi chiedo cosa resterebbe (cosa resterà) della nostra capacità di vedere e di orientarci una volta degradata l’etica a strumento possibile ma non necessario, dell’agire umano. Forse  ha voluto suggerircelo Josè Saramago nel suo romanzo Cecità, dove racconta con una folgorante metafora l’instaurarsi della condizione di estremo degrado e annientamento di qualsiasi dignità umana in una comunità intera, privata, a causa di una pervasiva epidemia, di un funzione determinante per la sopravvivenza sociale.

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