Sciopero addio, l’Ue ci prova

28 Marzo 2012

Loris Campetti

La risoluzione Barroso è in discussione al parlamento europeo. Ma Strasburgo non può modificare il testo: prendere o lasciare L’Europa vuole rendere «compatibili» le proteste dei lavoratori con le regole del mercato unico. La proposta riprende un documento preparato dal professor Monti nel 2010 su incarico della Commissione Mario Monti colpisce ancora. Ma questa volta, data la sua nota vocazione europea, colpisce a livello – per ora – continentale. Il 21 marzo la Commissione europea ha varato un testo basato sul documento chiesto da Barroso all’allora libero docente Mario Monti, che rischia di imprigionare il diritto di sciopero. Il testo va sotto il nome di «consigli di regolamentazione dell’esercizio del diritto di promuovere azioni collettive nel contesto della libertà d’impresa e della garanzia dei servizi». La filosofia insita nel testo varato dalla Commissione sulla base del documento Monti è semplicissima: i diritti dei lavoratori vanno armonizzati con quelli economici. Siccome non esiste sciopero degno di tale nome che non vada in contrasto con l’impresa contro cui esso è rivolto, è ovvio che si vuole fortemente ingabbiare ogni possibilità di conflitto. A meno che, naturalmente, l’esercizio di un diritto sacrosanto non sia ritenuto «compatibile» con gli interessi, tanto per essere espliciti, del padrone. Cioè mai, almeno sul piano della logica. Da Strasburgo, dove il testo della Commissione Josè Manuel Barroso è appena stato recapitato, arrivano i primi allarmi. Innanzitutto a preoccuparsi sono alcuni parlamentari italiani che hanno imparato a conoscere la filosofia del presidente del consiglio Monti. Tra questi c’è sicuramente Sergio Cofferati, il cui rapporto con l’articolo 18 non va certo spiegato ai lettori del manifesto. Quando il parlamento europeo incaricherà le commissioni competenti di analizzare il testo della Commissione, l’ex segretario generale della Cgil si occuperà, molto probabilmente, di spiegare ai suoi colleghi europarlamentari la pericolosità di una tale svolta nell’area geografica del perduto «modello sociale europeo». Le commissioni non hanno possibilità di emendare il documento ma soltanto di «proporre alcune modifiche», oppure di rigettarlo in toto, che sarebbe l’opzione più tranquillizzante. Quel che emerge dal testo Monti-Barroso è che i diritti connessi alla sfera economica vengono prima dei diritti dei lavoratori. Di conseguenza, il diritto del lavoro può essere condizionato quando non impedito da quello dell’impresa. Se questa filosofia dovesse essere approvata dall’europarlamento, i vincoli già esistenti per i dipendenti pubblici sarebbero estesi anche ai lavoratori occupati nei settori privati. E di conseguenza si estenderebbero a tutti i limiti al diritto di sciopero. Per fare un esempio, l’essenzialità del lavoro di un operaio alla catena di montaggio sarebbe equiparata a quella di un medico ospedaliero. Si va oltre il liberismo per sfociare nell’assurdo e nella provocazione. C’è di più. Cosa potrebbe accadere per la rappresentanza dei lavoratori nelle aziende? Il libero esercizio dell’attività sindacale potrebbe addirittura essere considerato in contrasto con i «diritti dell’impresa», visto che è nelle facoltà delle rappresentanze sindacali indire scioperi e in generale iniziative di lotte a tutela della condizione e dei diritti di chi lavora. C’è un filo logico che tiene insieme la cosiddetta «riforma del mercato del lavoro» e questa fantastica trovata europea. Se guardiamo all’impianto dei provvedimenti presi sul mercato del lavoro, è evidente nell’approccio dei professori la priorità dell’impresa sui lavoratori. Il presidente Monti sta attraversando l’Estremo Oriente per spiegare che finalmente in Italia si è introdotta la libertà di licenziamento. Persino il giudice è stato tolto di mezzo e ora finalmente i diritti connessi alla sfera economica sono considerati prevalenti sui diritti connessi al lavoro. Il padrone ha sempre ragione, al massimo sarà tenuto a monetizzare il danno prodotto. Addirittura l’onere della prova in caso di licenziamento per motivi economici non è più dell’imprenditore, ma dell’operaio che dovrà dimostrare che invece il suo licenziamento ha ben altre motivazioni, rappresenta cioè una discriminazione. Questa filosofia, che grazie al presidente Monti da Roma rischia di estendersi all’intera Unione europea, segna il rovesciamento del fondamento stesso della nostra Carta costituzionale, nonché evidentemente dello Statuto dei lavoratori, basati sul presupposto che il soggetto più debole va protetto con maggiori tutele. Oggi invece il soggetto degno di maggiori tutele e diritti rischia di diventare il più forte, cioè l’impresa. Alla base di tutto c’è il mercato, alle cui esigenze tutto va piegato: leggi e uomini. Il testo consegnato al parlamento europeo ha già subito una prima serie di correzioni che ne hanno addolcito il gusto, senza però privarlo del suo veleno. Tant’è che, secondo l’ufficio giuridico della Cgil, «i rischi di impatto sui sistemi di relazioni sindacali sono ridimensionati, seppur non scongiurati». La partita è aperta e ora il mazzo delle carte passa nelle mani dell’Europarlamento di Strasburgo. Sarebbe utile che le organizzazioni sindacali facessero sentire la loro voce, non solo nel ruolo di «mediatori» istituzionali ma anche di promotori di conflitto sociale in difesa di quel che resta del modello sociale europeo.

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