Se il cielo fosse sulla terra

1 Luglio 2009

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Claudia Basciu*

“Chi su chelu fit in terra l’haiant serradu puru”, “Se il cielo fosse sulla terra, avrebbero recintato pure quello”, con questi versi il poeta sardo Melchiorre Murenu condannava fermamente l’Editto delle chiudende (precisamente Regio editto sopra le chiudende, sopra i terreni comuni e della Corona, e sopra i tabacchi, nel Regno di Sardegna) il provvedimento con il quale, nel 1820, il Re di Sardegna Vittorio Emanuele I impose la chiusura e la lottizzazione di terreni appartenenti a proprietari terrieri e Comuni ma, tradizionalmente, considerati di proprietà collettiva. Un atto che pose fine alla secolare tradizione di uso civico delle terre sarde e introdusse, di fatto, la proprietà privata, dando anche inizio ad un processo di modernizzazione dell’agricoltura e dell’economia locali, all’epoca piuttosto arretrate. Sono trascorsi quasi due secoli e quei versi, pur in una situazione storico-sociale differente, suonano ancora di grande attualità.
Infatti, la Giunta regionale sarda, con la deliberazione n. 24/24 del 19 maggio 2009 ha emanato un “atto generale di indirizzo per il rilascio di nuove concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative o di ampliamenti di quelle già assentite in favore di strutture ricettive” con il quale, di fatto, si attuerebbe una vera e propria privatizzazione delle spiagge della Sardegna, ed un’inversione di tendenza rispetto alla filosofia di sviluppo sostenibile posta alla base del Piano Paesaggistico Regionale (P.P.R.) adottato dalla Regione Autonoma della Sardegna nel 2006 (delibera della Giunta regionale del 5 settembre 2006, n. 36/7). Infatti, relativamente alla gestione delle spiagge, il P.P.R. pone in capo a tutti i Comuni l’obbligo di dotarsi del Piano di Utilizzo del Litorale (P.U.L., parte integrante del Piano Urbanistico Comunale) attraverso il quale vengono indicate le prescrizioni relative all’utilizzo del demanio marittimo e di zone di mare territoriale nonché gli usi turistico – ricreativi degli ambiti territoriali marittimi laddove previsti. La stessa Giunta, con la delibera n. 19/5 del 22 maggio 2008, adottava una serie di direttive, piuttosto dettagliate, alle quali i Comuni dovranno attenersi per la compilazione dei P.U.L., finalizzate essenzialmente, a garantire la tutela degli ecosistemi locali; armonizzare le azioni sul territorio per uno sviluppo sostenibile; promuovere la riqualificazione ambientale delle aree individuate mediante progetti di rinaturalizzazione degli stabilimenti balneari (art. 2 Direttive). Il provvedimento, naturalmente, prevede una procedura specifica per il rilascio delle concessioni demaniali in vigenza del P.U.L. mentre, in assenza del Piano in questione, è ammesso il rilascio in deroga di nuove concessioni demaniali marittime su proposta dell’Assessore competente, in ogni caso per una durata non superiore ai sei mesi e per finalità turistico-ricettive finalizzate alla sola concessione dei servizi di balneazione. Ora, la delibera n. 24/24 del 19 maggio 2009 ammette la possibilità per alberghi e villaggi turistici di ottenere nuove concessioni demaniali o un ampliamento di quelle già assentite, a condizione che le spiagge siano lunghe almeno 250 metri lineari e che le stesse non siano interessate da concessioni demaniali marittime in misura superiore al 50% della loro superficie complessiva. L’entità delle concessioni ammissibili, peraltro, appare in contrasto sia con il regime giuridico previsto dalla legge per i beni appartenenti al demanio pubblico sia con gli obiettivi di tutela paesaggistica e di sviluppo sostenibile previsti dal P.P.R. e, più in generale, dalla normativa nazionale e comunitaria.Per avere un’idea della situazione che si verrebbe a creare: gli alberghi o villaggi turistici situati fra gli 800 e i 1500 metri dalla battigia marina, avranno 5 metri quadrati di ombra per ciascuna camera. Se situati entro la fascia degli 800 metri dalla battigia marina, avranno 7 metri quadrati per ogni camera, se di categoria fino a tre stelle, o, addirittura, 9 metri quadrati d’ombra, se di categoria superiore alle tre stelle. Il tutto fino ad un tratto di 50 metri lineari lungo la battigia, ed il resto in profondità.   Ad esso si aggiunge lo spazio per torrette di avvistamento ed altri servizi ed un bonus in più per servizi ludici se si tratta di strutture ricettive con più di 1500 posti letto.  La concessione demaniale avrà una durata di sei anni (legge n. 494/1993), anche in assenza del necessario piano di utilizzo dei litorali – P.U.L.. Potenzialmente, considerate le strutture ricettive esistenti sulla costa, più di 40mila ettari di spiagge sarde potrebbero essere concesse ai privati, limitando enormemente la fruizione di un bene pubblico da parte della collettività, e gran parte dei servizi e delle zone d’ombra ricadrebbero anche su numerosi Siti d’Importanza Comunitaria (S.I.C.), per tali motivi alcune associazioni ecologiste (Amici della Terra e Gruppo d’Intervento Giuridico) hanno inoltrato, un ricorso al Presidente della Regione autonoma della Sardegna, alla Commissione europea ed al Ministro dell’ambiente finalizzato ad ottenere la revoca o l’annullamento, per manifesta illegittimità e per evidente lesione degli interessi collettivi alla fruizione delle spiagge. Infatti, la citata deliberazione Giunta regionale n. 24/24 del 19 maggio 2009 ha evidente contenuto programmatico ed ha effetti diretti ed indiretti sugli ambienti costieri isolani, ma non c’è stato alcun preventivo e vincolante procedimento di valutazione ambientale strategica – V.A.S., necessario in tutti i casi simili, né una valutazione di incidenza, visto che interessa potenzialmente numerosi siti di importanza comunitaria – S.I.C. Conseguentemente, alla Commissione Europea è stato richiesto di valutare il provvedimento regionale ai fini della verifica del rispetto della normativa comunitaria in materia di valutazione ambientale strategica (direttiva n. 2001/42/CE) e di salvaguardia degli habitat naturali e semi-naturali, della fauna e della flora (direttiva n. 92/43/CEE ed allegati), ai sensi dell’art. 226 del Trattato CE. Contemporaneamente, le stesse associazioni hanno diffuso una petizione, indirizzata alla Commissione europea affinché verifichi il rispetto del diritto comunitario, ed al Presidente della Regione perché revochi la deliberazione, lesiva degli interessi collettivi.
L’epoca delle chiudende è passata.

* Gruppo d’Intervento Giuridico

1 Commento a “Se il cielo fosse sulla terra”

  1. Pietro Azuni scrive:

    E’ grave quello che sta accadendo nel silenzio generale rotto solo dai ricorsi di queste associazioni e poco altro. Sosteniamo e partecipiamo la petizione e poi pensiamo anche ad altre forme di protesta.

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