Sembra Buenos Aires ma siamo a Decimoputzu

1 Novembre 2007

Gianluca Scroccu

Occhio ai prestiti agevolati, perché col tempo possono strangolarti: è questo lo schema visto in tante vicende legate agli effetti di questo turbocapitalismo cinico e senza regole, applicato molto bene, come ci ha insegnato il premio Nobel per l’Economia Joseph Stiglitz, da istituzioni come l’FMI e la Banca Mondiale nei confronti di tanti paesi del Sudamerica o dell’Africa. Ma che si può ritrovare, con le dovute differenze, anche su una dimensione locale come quella della Sardegna. Siamo nel 1988 quando una legge regionale, la 44, introduce mutui agevolati da concedere ai contadini per l’acquisto di terreni agricoli e il successivo avvio di nuove attività imprenditoriali. L’idea sembrava buona, specie per una regione come la nostra dove è difficile rischiare se non si hanno a disposizione capitali o prestiti da restituire con interessi non esorbitanti. Si parte, quindi, e tornano nell’isola molti emigrati che pensano di poter avviare nella loro terra un’esperienza di lavoro gratificante e importante: mettere su un’azienda agricola, sperimentare nuove coltivazioni, creare un sistema agricolo integrato e capace di dare prospettive ad un territorio dalle grandi potenzialità. Poi la sorpresa, a metà degli anni Novanta, quando la Commissione Europea boccia la legge in quanto contraria alle disposizioni sulla libera concorrenza e ordina la restituzione delle somme percepite dai contadini. Cambia tutto da un giorno all’altro: dall’illusione di un’attività decorosa e soddisfacente, al pagamento di penali, tassi di interesse esorbitanti e cifre da capogiro che mandano all’aria i sogni di una vita. Più di 5000 sono le aziende agricole coinvolte, 700 i milioni di euro da restituire, interessi al 30 per cento, 25 mila famiglie si ritrovano sul lastrico.
Le banche procedono voraci, pignorano tutto e mettono all’asta. Tante sono le famiglie disperate che però non si danno pace: protestano, occupano municipi, cercano il sostegno della politica regionale e nazionale, in verità, almeno inizialmente, assai assente e distante. Della vicenda si interessa la BBC, che intervista gli agricoltori; Beppe Grillo ne parla nel suo blog, promettendo una sua visita in quel di Decimoputzu e l’inizio di uno sciopero della fame. L’emergenza è grave, la Regione cerca di adoperarsi per bloccare le aste giudiziarie; si succedono incontri al Ministero dell’Agricoltura, si presentano emendamenti nella prossima finanziaria in discussione al Senato; si ventila addirittura l’ipotesi di un commissario governativo sul modello di quello nominato per la questione dei rifiuti in Campania.
Una vicenda sicuramente intricata e difficile, ma che dimostra tutta la precarietà di questo nostro sistema economico, dove un giorno credi di aver avuto l’occasione della tua vita, ma poi ti ritrovi ad essere sostenuto con un assegno di 30 euro al mese da parte del tuo comune, come successo a Decimoputzu. E cosa racconti, dopo, a tua moglie e ai tuoi figli? Forse che le banche possono essere tanto madri generose quando erogano prestiti quanto matrigne terribili nel momento in cui ne richiedono la restituzione?
Purtroppo questi drammi succedono quando la politica è miope e non riesce a rispondere con tempestività ad emergenze di questo tipo. E bisogna arrivare sino al limite e alla disperazione collettiva per cercare di trovare finalmente soluzioni. Una lezione difficile da imparare, evidentemente, perché la ritroviamo con cadenze troppo costanti nelle diverse parti del mondo, siano esse metropoli come Buenos Aires o piccoli realtà come Decimoputzu.

2 Commenti a “Sembra Buenos Aires ma siamo a Decimoputzu”

  1. Massimiliano Orrù scrive:

    Io penso che aldilà dei facili luoghi comuni che vedono gli agricoltori vessati, le banche voraci, la Regione disarmata e la Comunità Europea inflessibile, ci sia da ragionare circa i reali effetti benefici di queste leggi agevolative.
    Che senso ha continuare a creare imprese se prima non formiamo gli imprenditori?
    Istintivamente il neo-imprenditore non formato ha uno spiccato orientamento al prodotto: io coltivo melanzane, le mie melanzane sono migliori, io vendo le mie melanzane. Ma cosa chiede il mercato? Cosa produce il mio vicino? E’ meglio produrre qualità o quantità? Quale tipo di coltura ha il miglior rapporto costi/ricavi?
    E ancora: conosco le nuove tecnologie? Come l’innovazione può tornarmi utile? Quanto costa investire? I nuovi investimenti amplieranno il mio margine di profitto tanto da assorbire i nuovi oneri finanziari?
    Posto che l’attuale situazione di Decimoputzu è ormai un problema da risolvere a livello politico con strumenti estranei al mercato, vorrei che questi miei auspici valessero per il futuro, un futuro in cui il rischio di impresa rimanga in capo alle aziende ed agli imprenditori e non distribuito alla collettività come è oggi di moda a ben altri livelli e su larga scala (uno su tutti l’affare mutui subprime)
    Grazie e un augurio di lieto fine alle famiglie di Decimoputzu.

    Massimiliano Orrù
    Cagliari

  2. Tore Melis scrive:

    Negli anni il mercato è stato drogato dai contributi pubblici, senza che si affiancasse al sussidio, un convincente rilancio dell’agricoltura e della zootecnia. Improvvisamente, alla fine degli anni novanta, la commissione europea, oltre a dichiarare illegittime le provvidenze di cui alla LR 44/88, sulla spinta di Paesi grandi produttori lattiero-caseari, Olanda in testa, revocò i sussidi per l’esportazione del formaggio – si ricorderà la marcia dei mille pastori sardi a Brucxelle.
    Tali provvedimenti fecero crollare l’esportazione. Molti consorzi, accumularono debiti a dismisura. Rimasero immodificati contratti con prezzi di vendita calibrati sulla base dell’incasso dei contributi pubblici, che nel frattempo non c’era più. Fu un disastro.
    Insomma, già 10 or sono, ci si rese conto che l’economia agricola sarda era fondata non sulla capacità produttiva, non sulla capacità di generare reddito, bensì sul sistema agevolativo.
    Domanda, perché nessuno ha fatto nulla in questo periodo?
    Ciò che sta avvenendo era ampiamente prevedibile, eppure rispetto allo scontato crollo di migliaia di piccole aziende agricole, non è stato determinato alcun intervento serio.
    Dal 1 gennaio 2008 entrerà in vigore Basilea 2. In base a tale norma, l’80% delle imprese sarde avrebbe un rating negativo. In campo non vi sono strategie apprezzabili. Il rischio usura è pesantissimo. La politica che fa?

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