Senza misura

1 Settembre 2008

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Marco Ligas

Si dichiarano eredi della tradizione del movimento operaio e del mondo cattolico più avanzato. Ma sempre più raramente li vediamo impegnati, come quella eredità imporrebbe, nella difesa delle libertà e dei diritti dei cittadini, contro le disuguaglianze sociali. Parliamo dei dirigenti del Partito Democratico sardo i quali, non riuscendo ad esercitare un ascendente fra i propri iscritti, cercano di risolvere la loro litigiosità affidandosi al giudizio della magistratura. Ripercorrendo la storia della Democrazia Cristiana o del Partito Comunista, pur senza enfatizzarla, è difficile individuare momenti dove quei partiti abbiano definito i loro organigrammi con il ricorso ai tribunali.
In realtà, sulla presunta continuità con le grandi formazioni politiche del dopoguerra, questi dirigenti costruiscono esclusivamente i propri privilegi. Usano pratiche che poco hanno a che fare con le aspettative di tantissimi cittadini e offrono un ennesimo segnale della trasformazione genetica della politica: non un declino da interpretare come conclusione fisiologica di un’epoca, ma qualcosa di più grave, come se un’alterazione avesse colpito le parti vitali di un organismo rendendolo perverso rispetto ai suoi caratteri originari. Le scelte del Partito Democratico sardo sono molto gravi anche da un punto di vista tattico e contingente, non solo perché assunte da dirigenti che hanno avuto e hanno responsabilità importanti all’interno delle istituzioni e della propria organizzazione, ma perché gettano un’ombra inquietante sulla capacità di governo di questa formazione politica.
Talvolta tendiamo a rimuovere situazioni spiacevoli perché non vogliamo fare i conti sino in fondo con gli effetti che possono produrre; eppure, mai come in questa occasione, dobbiamo prendere atto che la sinistra per la quale ci siamo impegnati è giunta alla fase finale della sua crisi: è stata sconfitta e marginalizzata da un sistema economico che accentua costantemente disuguaglianze e conflitti e allarga la forbice tra ricchezza e povertà. Ma l’aspetto più grave è che appare completamente disarmata e quando cerca di reagire ritiene che sia possibile risalire la china usando gli stessi strumenti del suo avversario: accetta la globalizzazione e il liberismo più sfrenato, difende il profitto e la rendita che considera categorie economiche fondamentali per lo sviluppo quando invece sono la causa principale delle disuguaglianze. Anche dal punto di vista organizzativo questa sinistra appare disorientata perché considera ancora il partito leggero uno strumento idoneo per il radicamento nella società; eppure gli effetti di questa leggerezza sono evidenti non esistendo più una rete di relazioni che renda praticabile forme di democrazia partecipativa.
È difficile ipotizzare una fuoriuscita immediata dalla crisi perché le divisioni presenti in tutta l’area del centrosinistra hanno scavato in profondità. Nel Partito Democratico antisoriani e soriani rappresentano ormai due componenti simmetriche: i primi si possono considerare i rappresentanti della conservazione della politica diventata mestiere del potere, i secondi, quelli che ritenevano possibile il cambiamento, hanno concesso una delega senza limiti ad un leader privo di una cultura politica che avesse nella collegialità un riferimento fondamentale. Renato Soru ha mostrato in questi anni come non sia sufficiente essere un buon imprenditore per essere anche un buon dirigente politico. Non so se riuscirà a diventarlo; nonostante tutto, sembra ancora il candidato più probabile della coalizione alle prossime elezioni regionali. Ma senza segnali concreti di cambiamento la sua leadership risulta barcollante.
Forse una formazione (non so come definirla) disposta a ritrovare un rapporto con la società reale e a far proprio il bisogno di cambiamento può incoraggiare un risveglio e un’inversione. Molti si chiedono se questa esigenza esista ancora. Penso di si, la si coglie più facilmente al di fuori dei soliti organigrammi, ma c’è. Esiste anche in un’area geografica circoscritta com’è la nostra isola, e chi la esprime intende impegnarsi in costante collegamento con le altre realtà territoriali per contrastare i luoghi del privilegio e della prevaricazione. Noi ripetiamo spesso che non dobbiamo accettare il primato dei meccanismi dell’economia e che deve essere la politica a dettare le linee dello sviluppo. Dovremmo essere più determinati nel seguire questa direttiva e, al tempo stesso, avere il coraggio di perseguire obiettivi che siano tesi alla difesa del concetto di lavoro così come è detto nella Costituzione, alla ridistribuzione della ricchezza e ad un uso diverso delle risorse. Forse qualcuno potrà dire che si tratta di obiettivi minimi. Ma se li rapportiamo ai nostri tempi mi sembrano quasi eversivi. Gli orizzonti della società che abbiamo prefigurato in passato si sono certamente allontanati, ma il bisogno di una giustizia sociale è più che mai attuale, e lo diventerà ancor più in autunno quando, verosimilmente, verrà imposto un federalismo fiscale che danneggerà ulteriormente il sud e la nostra isola. Impegnarsi per questa svolta è perciò importante, soprattutto se si riuscirà a coinvolgere le tante persone che oggi sono ai margini della vita politica.

8 Commenti a “Senza misura”

  1. Pierluigi Caravella scrive:

    L’invecchiamento accellerato della nostra popolazione ha spostato l’indice di gradimento politico verso istanze e richieste estremamente conservatrici. Così assistiamo ad una rivendicazione di privilegi ormai indifendibili di contro ad una eterna gioventù che non riesce a diventare adulta. La colpa di questo sfacelo viene in massima parte dal neonato partito democratico e dai suoi diretti antesignani.

  2. elio pillai scrive:

    Marco
    Dipingi a tinte fosche i dirigenti del PD in sardegna, Soru compreso, anche se aggiungi: “nonostante tutto Soru rimane il candidato piu’ probabile”. Fai un appello alla mobilitazione sui temi della giustizia sociale e sul federalismo fiscale, Concordo!
    Ora, però, vorrei capire quali sono i modelli di società che i due perseguono. Guardando le loro abitudini e i loro comportamenti a me pare che entrambi si scontrino solo su questioni di potere.
    Cabras ha costruito in quarant’anni di potere politico privileggi per se, per i suoi amici e &amp, e tutti insieme ne hanno beneficiato.
    Ogni tanto un po di fumo negli occhi, con qualche leggina che distribuiva elemosine e assistenzialismo ai popolani, e loro continuavano a imperversare.
    Cabras da presidente della regione gestiva uno dei piu’ grossi studi d’ingegneria della sardegna (forse ancora).Tutti sappiamo quanto contano i potenti ingegneri.
    Soru, invece alla guida della regione ci va da ricco imprenditore e non intende dismettere quell’abito.
    Continua a farlo con grande caparbieta’ utilizza a piene mani le leggi di mercato (io non ho mai letto un titolo di queste leggi).
    S’inserise nel mercato dell’editoria da Governatore, e sappiamo bene quanto cio’ sia importante per mantenere ed aumentare il proprio potere politico ed economico.
    Il conflitto d’interesse riguarda solo me e non lui.
    Per di piu’ non ha i pregi dei nati ricchi ma ha i difetti dei poveri arricchiti.
    Marco tu chi butti dalla torre? Io la torre quando Pili sta passando sotto!

  3. Marco Ligas scrive:

    Caro Elio, perché mi vuoi trascinare in iniziative delittuose? Lo sai che la politica (quella seria) esclude queste operazioni? Ritengo che oggi sia molto difficile trovare un ricambio agli attuali dirigenti non perché manchino persone capaci di far bene, ma perché si sono consolidate forme di potere molto resistenti. Quando nel mio articolo ho sostenuto che Soru sembra ancora la persona più accreditata per rappresentare la coalizione del centrosinistra esprimevo una valutazione oggettiva, dicevo così: oggi, per come stanno le cose, sembra questa l’ipotesi più realistica. Se dipendesse da me sceglierei diversamente. Mi vengono in mente diversi nomi, in particolare alcuni giovani di Sinistra Democratica che ho conosciuto recentemente. Ma se chiediamo la disponibilità a ciascuno di loro sono sicuro che rifiuterebbero. Direbbero probabilmente che non sono portati per la politica o che non sono all’altezza. Gli altri, quelli che si stanno impegnando strenuamente per diventare candidati, darebbero un giudizio analogo ma con motivazioni diverse, direbbero: perchè non hanno rapporti con la gente, cioè con le clientele.
    Ma il problema principale rimane quello del gruppo di lavoro e della collegialità, e prima ancora del programma o, come si dice, delle cose da fare. Ritorneremo su queste questioni.

  4. elio pillai scrive:

    Caro Marco
    Tu con altri bravi compagni avete costruito uno strumento importante come “il manifesto sardo”. Strumento rivelatosi utilissimo, visto il deserto intorno. Io vi apprezzo per la vostra serieta’ e per la vostra onesta morale e intellettuale.
    Per questo vi seguo con attenzione, pur avendo deciso di stare lontano dalla politica attiva dopo la debacle del 13/14 aprile. In sardegna non sara molto diversa situazione. Siccome i fatti parlano da soli t’invito a fare un inchiesta sull’attivita’ di Soru e della sua giunta di questi 5 anni(ormai). Cosi’ potremo discutere con esempi alla mano, per evitare di creare schieramenti pro e contro Soru sul sesso degli angeli.
    Tu tra tante, dici una cosa giustissima, ci sarebbero molti compagni e compagne serie/e oneste/i, capaci di governare. Io aggiungo, che hanno maturato esperienze importanti da sindaci e da amministrattori pubblici, hanno il senso della democrazia, del governo del bene pubblico, della collegialita’ e dell’interesse comune. “Ma se chiediamo la loro disponibilita rifuterebbero”, cosi dici e io condivido questo giudizio.
    La motivazione vera non è che non hanno rapporti con la gente. Il fatto vero è che non hanno miliardi da investire in campagna elettorale, e purtroppo, non hanno neppure il consenso delle persone oneste come noi e come tanti altri. Berlusconi insegna! Oggi piu’ che mai governare è diventato un affare, per cio’ s’investono molte risorse sapendo che poi ci sara’ un ritorno. Con i soldi arriva anche il consenso

  5. Sante Maurizi scrive:

    «La bassa stagione, che pareva bassa, / bassa non era ancora.» Era il 2003, e Gianni D’Elia pubblicava per Einaudi un commento in versi all’alba del nuovo secolo fra miserie nazionali, sconfitte elettorali e terrorismo planetario: «Ground Zero; / c’è da bruciarsi anche ad andare in giro…».
    «Non abbiamo ancora toccato il fondo», diceva Valentino Parlato all’Asinara un anno fa, prima della nascita del Pd, prima della rinascita di Berlusconi e del peggior coma elettorale e culturale della sinistra italiana. Malgrado le assise di questi mesi (imbarazzanti come i nuovi distinguo dei due Prc sulla manifestazione del 25 ottobre) non credo che Parlato abbia modificato la sua opinione: come in un maelström senza fine, l’effetto del gorgo è quello di avvicinarci illusoriamente al fondo mentre ce ne allontana. Ci si inabissa per emergere chissà dove, magari esanimi. Anche le cronache del Pd sardo, simili ad altre nel resto del paese, paiono confermare questa tendenza allo sprofondare.
    Caro Elio, siamo con orgoglio quelli che ancora pensano a “modelli di società”, ma ci possono essere anche altre linee Maginot.
    Provo a dirlo semplicemente, pensando ai prossimi mesi: una cosa come la legge salvacoste vale una legislatura.
    Superficiale? Un assioma pre-politico e tranchant?

  6. Tore Melis scrive:

    Ho condiviso molte delle scelte soriane soprattutto per la finalità perseguita. Sante Maurizi, tentando di trovare del buono, cita la legge salva coste, e in effetti riflettendo sulla finalità, non si può che condividere. Ora però, il modo con cui si è pervenuti al tale normativa salverà davvero le coste? A parer mio no!Anzi, probabilmente, rischia di comprometterne ulteriormente l’integrità ambientale e paesaggistica. Il PPR, infatti, è stato promulgato senza concertazione ed è stato, dai più, percepito come un atto d’imperio. Il fatto poi che non sia stato immediatamente affiancato da una nuova legge urbanistica, ha fatto in modo che si traducesse in mero impedimento anche per l’esecuzione di piccoli lavori conservativi, (vedi il vincolo sui centri primari e quelli intorno ai beni identitari, di cui ancora non si conosce la mappa). Il referendum abrogativo avrà modo di dimostrare quanto i sardi pensano sul PPR. Insomma, la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni… Soru non ha fallito per le idee, bensì per il modo con cui ha assunto le decisioni e per aver trascurato, errore imperdonabile, gli aspetti congiunturali. Verificate a quanto ammontano i residui passivi della regione!
    Ciò che più preoccupa di questo quinquennio è come siano stati mortificati gli istituti di mediazione. Il prezzo da pagare sarà altissimo, specie se, come sembra, a vincere sarà il centro destra!

  7. Marco Mereu scrive:

    … e come al solito caro Tore, vieni smentito dai fatti.
    Ma non ti stanchi mai di avere torto?

  8. Tore Melis scrive:

    …”Come al solito”? Caro Marco (Mereu).. il mondo non si divide fra quelli che hanno sempre ragione.. come te, e quelli che sbagliano sempre e che non si stancano di sbagliare… come me. Ci sarebbero anche quelli che hanno torto in parte o ragione in parte.. ma non ha tutti è dato di vederli!
    Sarai pure convinto che sia io a sbagliare e a sbagliare sempre, ma questo non mi fa retrocedere dalle mie convinzioni. Continuo a ribadire, come espresso nel commento, che solo attraverso la costruzione delle decisioni sia possibile operare riforme robuste e durature. Specie quando queste sono fondamentali per la vita economica e sociale della Regione. Non ho mai avuto dubbi sul fatto che questo referendum fosse strumentale e inutile nella sostanza. Non sfugge, comunque, che il 90% dei sardi votanti, si sia espresso con un no! Sono convinto, altresì, (ma certamente sbaglierò ancora) che quando una forza politica decide di non partecipare ad una competizione referendaria, lo faccia perché convinta di non avere il consenso. Se il Centro Sinistra avesse avuto la certezza di vincere, avrebbe partecipato! E comunque, caro Marco, sappi che credere nella democrazia e osteggiare l’autoritarismo e il decisionismo monocratico, (di destra o di sinistra) è un torto di cui sono orgoglioso.

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