Smuraglia: “Il No nasce dalla conoscenza”

21 Novembre 2016
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Ottavio Olita

Nessuno slogan; proposti soltanto ragionamenti approfonditi. Questo è stato domenica scorsa, a Cagliari, l’incontro affollatissimo con Carlo Smuraglia, presidente dell’ANPI, uomo appassionato, lucido, comunicativo.

Il progetto di riforma costituzionale è stato smontato nelle sue parti ed analizzato per quel che c’è scritto (in modo complicato, leguleio, contraddittorio, senza alcuna semplicità). Il raffronto – anche stilistico – tra testo originale e i 47 articoli da modificare, dimostra che dietro l’oscuro linguaggio che rinvia a commi di altre leggi si nasconde la volontà politica di tenere lontani i cittadini dalla conoscenza. Meglio, quindi, il ricorso agli slogan di cui i propagandisti del Sì fanno ampio uso, senza mai spiegare su cosa si fonda la loro propaganda. Ad esempio la parola ‘cambiamento’. Che senso ha riproporre in modo dissennato questa parola – che nelle loro intenzioni è legata a ‘miglioramento’ -, ma che può portare anche a seri ‘peggioramenti’.

Su questo Carlo Smuraglia è stato netto: la Costituzione è stata pensata dai Padri Costituenti soprattutto per i tempi ‘cattivi’, per tutelare la democrazia repubblicana e parlamentare da avventure e rischi. E la prova è data dal fatto che l’Italia – proprio grazie alla Carta Costituzionale  – è uscita indenne dai tanti attacchi portati alla sua vita democratica: dalla ‘Legge Truffa’ del ’53, al Governo Tambroni degli anni ‘60, allo stragismo e al terrorismo degli anni ’70, solo per citare i casi più eclatanti.

Chi è in grado, oggi, di assicurare, che la limitazione di partecipazione dei cittadini agli spazi di democrazia e la contestuale concentrazione di poteri in un solo partito e nel suo capo – che diverrà Presidente del Consiglio – possa garantirci da avventure autoritarie? Su questo Franco Uda, dell’Arci, è stato incisivo. Quello che è avvenuto negli Stati Uniti con l’avvento di Trump, quanto sta accedendo in Europa con i crescenti movimenti xenofobi e neonazisti deve servire d’avvertimento. Mussolini ed Hitler non raggiunsero il potere con colpi di Stato, ma sfruttando leggi irresponsabili e parlamenti indeboliti.

Il neocentralismo prefigurato nelle modifiche proposte danneggerà non solo le Regioni Autonome a statuto ordinario, ma anche quelle a Statuto Speciale grazie a meccanismi di concatenamento di varie leggi, come ha brillantemente dimostrato  il costituzionalista Tonino Dessì. Accentramento di poteri che si tradurrà in un continuo contenzioso relativamente alle realtà locali come ha puntigliosamente e dettagliatamente dimostrato Michele Carrus, segretario regionale della Cgil.

Un lungo e articolato ragionamento, dunque, per far comprendere le ragioni che spingono a respingere nettamente questo progetto di riforma i cui sostenitori scelgono la strada dell’aggressione e dell’offesa, come l’ultima parola utilizzata, ‘accozzaglia’.

‘Neppure nel referendum del ’46 su Repubblica o Monarchia si raggiunsero i livelli di questi giorni’ ha detto Carlo Smuraglia il quale ha ricordato un episodio del quale fu protagonista. C’era un incontro con Giovanni Gronchi – che poi sarebbe diventato presidente della Repubblica – ed egli chiese di poter intervenire. Le sue parole furono accolte da fischi e battimani, ma nessuno si permise di zittirlo con urla o minacce. Questo perché si era coscienti che si affrontava una discussione sul futuro di tutto un popolo, non di una parte politica. Oggi ci vorrebbe quello stesso spirito unitario – ha poi detto – anche per poter eventualmente discutere di modifiche.

E’ pericoloso spaccare il Paese intorno alla Carta che, elaborata tra il ’46 e il ’47, affermò principi che sono gli stessi sanciti dalla Carta dei Diritti dell’Uomo varata dall’Onu il 10 dicembre del ’48, quasi un anno dopo la promulgazione della Costituzione della Repubblica Italiana. Ecco perché bisognerebbe battersi per una sorta di patriottismo della Costituzione, come è stato suggerito. Patriottismo il cui inno dovrebbe essere, ancor oggi, ‘Bella Ciao’, canto liberatorio intonato domenica al termine di un’assemblea che può rappresentare un nuovo inizio politico.

Un ritorno alla partecipazione, al confronto, alla discussione, per liberarci dall’apatia, dal disinteresse, dall’indifferenza. Se ci riusciremo a partire dal 5 dicembre in poi, anche l’avventura di questo referendum, che a volte ha avuto toni e tratti di cui ci si dovrebbe vergognare, potrà trasformarsi in un utile esercizio preparatorio per una nuova stagione politica.

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