Spirito collettivo o barbarie

16 Luglio 2018

Otto Dix, La guerra durante un attacco di gas

[Amedeo Spagnuolo]

La vera forza delle classi popolari era lo spirito collettivo, lo stare insieme non solo, come accade oggi, nel tentativo disperato di allontanare gli spettri della solitudine e della morte, bensì per condividere un percorso esistenziale finalizzato a un progetto politico volto a cambiare lo stato delle cose presenti. Ciò non accadeva soltanto nei mitici e contraddittori anni Sessanta e Settanta, si può affermare con cognizione di causa che la vita collettiva, così intesa, anche se in maniera diversa e in maniera un po’ più sfuocata, è stata praticata almeno fino agli inizi degli anni Novanta, per essere più precisi, il vero crollo degli ideali “comunitari” è cominciato nel 1994, Annus Horribilis nel quale è cominciata l’era Berlusconi. Nonostante si parli e si sia parlato molto della devastazione apportata dalla cinica ideologia berlusconiana, probabilmente oggi ancora non sono evidenti i danni irreparabili che quella filosofia funesta ha provocato nel ventre della società italiana. In questo contesto s’intende soffermarsi principalmente sul fenomeno della parcellizzazione e del conseguente egoismo sociale e antisolidale che ha gradualamente permeato la società italiana fino ad arrivare all’inquietante situazione socio – politica dei nostri giorni. È proprio a partire da quegli anni, infatti, che è stato plasmato l’”uomo nuovo” parcellizzato e individualista che è diventato il modello per eccellenza sul quale si è andata via via strutturata la società italiana dei nostri tempi formata da monadi incapaci d’interagire con l’altro e tutte concentrate nella realizzazione di un micromondo individuale ed egoista totalmente disinteressato alle sorti degli altri o comunque di tutti quelli che hanno avuto la sventura di cadere in disgrazia in un modo o nell’altro. Insomma, stiamo parlando della fine di qualsiasi paradigma solidaristico che dal dopoguerra in poi aveva formato la stragrande maggioranza delle fasce popolari italiane e delle organizzazioni politiche, sindacali e culturali che le rappresentavano. Non credo che fossero in molti quelli che pensavano che dopo la devastazione berlusconiana sarebbe andata anche peggio, purtroppo è andata proprio così e oggi ci ritroviamo al governo la quintessenza di quell’ideologia che ha completato lo sdoganamento del fascismo e del razzismo alimentando ad arte paure irrazionali volte a rafforzare il consenso di una classe dirigente irresponsabile che fomenta l’odio sociale.

Volgendo lo sguardo all’indietro, osservando quegli anni in cui i concetti di comunità, condivisione, progetto comune si tramutavano, non di rado, in prassi politica è impossibile non farsi assalire dalla nostalgia, soprattutto osservando il grigiore politico – sociale del presente che produce, in tutti quelli che in un modo o nell’altro continuano a credere nel grande valore di quei principi, incredulità, amarezza, delusione. Una profonda delusione che nasce dalla consapevolezza di aver perso, almeno per il momento, la battaglia della partecipazione corale che significava essere insieme agli altri mantenendo però integra la propria individualità. Negli ultimi decenni si è realizzato lo scellerato progetto della parcellizzazione delle singole esistenze, è stato infranto il sogno dell’”immaginazione al potere” ovvero di una comunità dialogante capace di rendere migliore la vita di tutti anche di quelli che si erano resi responsabili dello sfascio, donando loro un senso che la ricchezza economica da sola non poteva e non può donargli. Li hanno chiamati gli anni del “riflusso”, anni tristi e grigi nei quali le storie dei tanti che, unendosi, volevano cambiare il mondo, si sono trasformate nelle narrazioni solitarie d’individui che hanno pensato di trovare la felicità all’interno dei propri recinti fisici e mentali. Collettività, una vera e propria bestemmia in questi giorni urlati e volgari nei quali il termine collettivo è stato sostituito da tribù, le numerose tribù barbare e violente (di matrice politica, economica, sociale, confessionale ecc.) che infestano ormai le nostre comunità.

A sinistra la parola “Partito” un tempo indicava l’espressione di una grande comunità d’intenti che si riuniva dietro il proprio leader (non posso fare a meno di ricordare i comizi oceanici di Enrico Berlinguer) con l’obbiettivo di migliorare la vita del popolo ovvero di quelle fasce della popolazione che non essendo nate nel privilegio vedevano nel Partito, con la P maiuscola, una speranza di riscatto.

Nel 1994, si diceva, è cominciato tutto, ma non proprio tutto. Qualche anno prima, infatti, nel 1989 c’era stata la cosiddetta svolta della Bolognina che porterà nel 1991 allo scioglimento del Partito Comunista Italiano, il più grande partito comunista dell’Occidente che si trasformerà lentamente in qualcosa d’altro attraverso la deriva PDS – DS – PD. Si trasformerà in un finto partito di sinistra capace di realizzare controriforme (Buona Scuola; Jobs Act ecc.) che nemmeno nell’era Berlusconi si erano mai viste e favorire l’avvento del cosiddetto governo “giallo – verde” guidato formalmente dal prof. Conte ma egemonizzato da quel Salvini che già oltre quindici anni fa aveva cominciato a fomentare l’odio sociale scagliandosi però allora non contro gl’immigrati ma contro quegli italiani del sud che adesso blandisce strumentalmente per pura sete di potere.

Il progetto di una collettività dialogante si è dunque dissolto, è tornato il tempo dell’odio sociale, il potere è in mano a chi individua un giorno sì e uno no i nemici contro i quali lasciar sfogare la rabbia del vituperato popolo italico.

Che fare? Ricostruire pazientemente lo spirito collettivo; tornare a presidiare democraticamente i territori e i quartieri più emarginati; ridare voce a giovani, disoccupati, emarginati; ridare tutele e dignità al lavoro, insomma comprendere che in Italia siamo all’anno zero della sinistra che va rifondata azzerando appunto l’attuale classe dirigente che ha contribuito non poco al ritorno della barbarie e sviluppando nuove forme organizzative e un modo nuovo di fare politica capace di mettere al centro del progetto il bene comune e le persone.

“La storia dell’uomo non presenta altro che un passaggio continuo da un grado di civiltà ad un altro, poi all’eccesso di civiltà, e finalmente alla barbarie, e poi da capo.
(Giacomo Leopardi)

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