Studenti sardi per il NO

1 Agosto 2016
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Riccardo Caoci

Era il 28 Marzo 2013 quando la JP Morgan, una delle più grandi società finanziarie responsabile del crack della Lehman Brothers, pubblicò una lettera all’interno della quale veniva spiegato come i paesi del sud Europa presentassero caratteristiche contrastanti con l’attuazione delle politiche di austerità: la presenza di costituzioni antifasciste con influenze socialiste, la tutela dei diritti dei lavoratori, il diritto allo sciopero, la debolezza dell’esecutivo rispetto ai parlamenti e del governo centrale rispetto alle regioni sono stati e sono tuttora presupposti necessari allo sviluppo dal basso della società, in maniera più o meno eterogenea ed efficace, di un’opposizione rispetto al progetto di taglio delle spese sociali e privatizzazione sfrenata del sistema pubblico, presentato dalle lobby economiche europee come ricetta per contrastare la crisi finanziaria.

In Italia l’operato di Renzi ha mantenuto una continuità con i precedenti governi nel promuovere un modello di welfare meritocratico, escludente e basato sulla competizione tra pubblico e privato, attuando di fatto una graduale americanizzazione della società italiana ed esplicitando l’appartenenza del governo all’area politica neoliberista che ha accolto pienamente l’allarme lanciato dalla JP Morgan.
A seguito dell’approvazione di Jobs Act e Buona Scuola, la riforma costituzionale di Ottobre e la nuova legge elettorale si inseriscono all’interno di questo processo a chiusura di una fase che colloca strettamente l’operato di Renzi entro le linee guida dettate dagli interessi delle società finanziarie, delle grandi banche e delle multinazionali.

Queste due misure sacrificano la democrazia reale del paese e concentrano tutto il potere decisionale nelle mani del partito di maggioranza: è inaccettabile che la revisione della costituzione divenga instrumentum regni, rendendo la carta fondamentale niente meno che uno strumento utilizzabile a piacimento dal governo di turno per i propri fini e rendendo subalterna la natura dialettica della politica rispetto alla governabilità.

La riforma Boschi trasforma strutturalmente la repubblica parlamentare in un premierato assoluto: il governo può infatti richiedere alla Camera dei Deputati di discutere l’approvazione di una legge in non più di 70 giorni, scavalcando la discussione in Senato.
La stessa composizione della Camera sarà definita dall’Italicum, che fornisce al partito con più voti un premio di maggioranza del 54% senza soglia minima (misura precedentemente condannata dalla Corte Costituzionale nella sentenza riguardante il Porcellum).

Il referendum costituzionale inoltre non prevede l’abolizione del Senato ma una riduzione del numero di senatori (per un taglio ai costi della politica dell’8% appena), mentre le modalità di elezione degli stessi è stata delegata ad una legge ordinaria che potrebbe prevederne anche la nomina diretta.

Il bicameralismo non sarebbe realmente superato: se da un lato la retorica renziana ha promesso un taglio dei costi e una maggiore efficacia dei procedimenti legislativi, nell’ipotesi in cui il referendum venisse approvato assisteremmo alla delegittimazione politica della Camera e del Senato, non più rappresentativi della volontà popolare, e allo sviluppo di dinamiche interparlamentari ancora più lunghe e confuse.
Il referendum prevede inoltre una clausola di supremazia statale secondo la quale il governo centrale acquisirebbe il diritto di imporre alle Regioni provvedimenti di qualsiasi natura, attuando un accentramento del potere decisionale a danno delle autonomie locali, sottraendo gli spazi di manovra rimasti a seguito dell’introduzione del pareggio in bilancio con la modifica dell’Art. 81 della Costituzione.

Per questi motivi, sotto il nome di “Studenti per il NO”, ci opponiamo al referendum: questa campagna non deve lasciare intendere che per noi si tratti di una lotta di categoria, al contrario essa nasce dalla necessità di organizzare una forte opposizione al referendum a partire dalle specificità dei soggetti in formazione, nell’intenzione di contribuire al lavoro del “Comitato per il NO”.

I provvedimenti precedentemente varati da questo governo hanno portato avanti un attacco massiccio ai luoghi della formazione, in particolare riguardo il legame presente tra formazione e lavoro: la lotta per la liberazione della conoscenza e per un’istruzione gratuita e di qualità per tutte e tutti passa necessariamente dall’accessibilità ai processi democratici, dalla rivendicazione di un nuovo welfare che ponga al centro il diritto ad un reddito minimo slegato dalla condizione lavorativa, dalla possibilità di poter decidere liberamente sulle proprie vite in termini di formazione e lavoro.

L’opposizione al progetto del governo non si limiterà al voto di Ottobre ma ci vedrà impegnati nella costruzione di un percorso politico trasversale, di spazi e tempi di discussione nelle città e nei luoghi della formazione, nella diffusione di strumenti propositivi come la Legge ad Iniziativa Popolare in Materia di Diritto allo Studio Universitario (LIP DSU) e nel proseguimento della Campagna Referendaria.

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