Terre espropriate e debiti

31 Gennaio 2012

Graziano Pintori

Quando i consigli comunali riconoscono i debiti fuori bilancio, derivanti da sentenze definitive dei tribunali, nel 90% dei casi, almeno per Nuoro, sono originati dagli espropri operati nell’ultimo trentennio del secolo scorso. Le deliberazioni che li contengono richiamano le voci che contribuiscono a formare la consistenza del debito finale: risarcimento del danno (causato dall’esproprio), rivalutazione e interessi (calcolati sull’entità del risarcimento), indennità di occupazione (con rivalutazione ed interessi), rimborso spese legali (comprensivo di IVA e CPA). Dulcis in fundo si riporta l’importo complessivo del debito, che può essersi settuplicato, quintuplicato, triplicato e così via, a seconda della lungaggine dell’iter burocratico – giudiziario precedente la sentenza definitiva di pagamento. Ma come si arriva alla moltiplicazione del debito come se fosse un semplice atto amministrativo? E non l’atto paragonabile ad un furto a danno delle odierne amministrazioni? Di ciò tenterò di fare una ricostruzione raccontando una storia in cui ogni riferimento a fatti realmente accaduti è puramente casuale. Chi scrive è un protagonista della storia, che si svolge nell’epoca in cui molti debiti da espropri trovarono origine.
Di solito l’abuso edilizio viene identificato quando emergono i primi metricubi di ferrocemento, mentre passa inosservata, o poco considerata, la lottizzazione abusiva ad opera del proprietario terriero e di tecnici ricchi di esperienza amministrativa e conoscenza degli uffici comunali. Un giorno del 1980 ricevetti la proposta per l’acquisto di un area inclusa in un programma di speculazione edilizia, che doveva proliferare all’interno di un comparto lottizzato abusivamente. Quando la lottizzazione era ancora agli inizi, correva la voce della vendita in città, a costi accessibili, di pezzetti di terra. Stimolato da queste voci presi contatto con i tecnici, che oltre a lottizzare erano incaricati anche della vendita delle aree a prezzi allettanti, in quanto non incluse nel PRG. “Peroe est a lacana”, è vicino, diceva in seconda battuta il proprietario. “A chie est chene domo non fachen nudda, ca est sa prima; si fravico deo tottus mi benin supra”. (A chi è senza casa non succede nulla, perché è di prima necessità, mentre invece se costruisco io tutti mi sono addosso). Come dire che i cittadini onesti che con enormi sacrifici accendevano mutui al limite dell’usura per costruirsi la casa, avrebbero dovuto rendersi complici anche dei proprietari terrieri disonesti, cioè dovevano prestarsi a fare da testa d’ariete per legittimare un programma di abusivismo edilizio. Questo è quanto accaduto a molti cittadini inconsapevoli, che essendo massa elettorale hanno potuto facilmente sensibilizzare ragionamenti e confronti tra i politici locali sulla sanatoria dell’abusivismo per necessità e, allo stesso tempo, inevitabilmente, “trascinare” dentro il PRG un intero comparto urbano. Hanno così favorito, in modo indiretto, il furbo lottizzatore. Una volta sanato questo primo abuso, si passa alla fase successiva: agli espropri. Cioè all’acquisizione di aree per quegli interventi pubblici necessari dove si verificò l’insediamento, nato abusivo, di molti cittadini che esigevano piazze, scuole, asili, fogne, acqua, palestre, mercati ecc.ecc. Tutto avvenne a carico della pubblica amministrazione, che non possedendo nella ex zona abusiva disponibilità di lotti fu costretta ad effettuare, per pubblica necessità, gli espropri sempre dal medesimo furbo lottizzatore. Il quale, essendo in possesso di congrua capacità economica, incaricò studi legali specializzati in materia di espropri per disporre una resistenza legale ad oltranza nei confronti dell’offerta di risarcimento. Fine del racconto. Ora per allora vige il principio che gli espropri arricchiscono la collettività di un bene, perciò i vecchi proprietari devono ottenere un giusto indennizzo: una norma che trova solidità legale grazie ad una sentenza della Corte Europea. Giusto Indennizzo sono due parole che perdono di significato quando l’ente espropriante presenta la proposta di risarcimento all’espropriato, perché, ormai è prassi, c’è la consapevolezza che a resistere giudizialmente si otterrà un risarcimento ben più sostanzioso di quanto potrebbe rendere un BTP. Tutto si svolge nel solco della legalità. La legge che consente tale forma di arricchimento, è per me vergognosa, considerate le amministrazioni locali che annaspano, come se fossero sottoposte ad un perenne assedio finanziario; che vedono minato il tessuto democratico sul quale si reggono, visto che certi pesi – le finanziarie da rapina con l’obbligo del patto di stabilità e i debiti fuori bilancio da espropri – indeboliscono sempre più i sostegni sociali, lo sviluppo, l’occupazione. Ciò accade perché da un lato lo Stato taglia indistintamente sui finanziamenti, dall’altro i proprietari terrieri raccolgono ciò che rimane dalle spoglie dei bilanci comunali.
È l’ingratitudine senza scrupolo che alla fine caratterizza l’intera faccenda dei debiti fuori bilancio legati agli espropri, perché a molti di questi possidenti, se non a tutti, mai è balenata l’idea di mettere a frutto le nuove ricchezze nel luogo dove le hanno accumulate.
Perciò sono del parere che contro il governo sia necessaria una rivolta, ovvero forme di disobbedienza civile da parte delle amministrazioni locali, soprattutto quelle sarde che oltre a subire le iniquità di cui sopra sono costrette a sopportare basi militari, poligoni di tiro, carceri speciali, altre servitù e mancate entrate senza un Giusto Indennizzo con le stesse procedure riconosciute, dalla Corte Europea e dalle leggi italiane, ai furbi lottizzatori, nonché insensibili proprietari terrieri.

Scrivi un commento


Ciascun commento potrà avere una lunghezza massima di 1500 battute.
Non sono ammessi commenti consecutivi.


caratteri disponibili

----------------------------------------------------------------------------------------
ALTRI ARTICOLI