Tfr, è ora di scegliere

15 Giugno 2007

Marcello Mestosi

Il 30 giugno prossimo scade il termine ultimo del cosiddetto semestre del “silenzio-assenso”. I dipendenti del settore privato e quelli delle altre tipologie elencate nel decreto legislativo 252/2005 (Disciplina delle forme pensionistiche complementari), già assunti alla data del 31 dicembre 2006, sono chiamati a decidere sulla destinazione del loro Tfr maturato dal primo gennaio 2007. In assenza di una scelta esplicita, scatterà la mannaia dell’adesione automatica ai fondi pensione tramite il meccanismo del tacito conferimento.
Dai dati disponibili, comunicati il 22 maggio dal ministro del lavoro Cesare Damiano, solo il 13 per cento degli aventi diritto ha espresso una scelta volontaria. Di questi, il 9 per cento ha espresso favorevolmente l’opzione dei fondi pensione. Un’indagine, pubblicata da CorrierEconomia il 4 giugno scorso, ha rilevato un’adesione ai fondi maggiore nelle grandi aziende (con più di 50 dipendenti), al contrario di ciò che accade nelle piccole aziende, dove il 70 per cento dei lavoratori opta per lasciare il Tfr in azienda. Se pensiamo che la quota di adesioni considerata ottimale si attesta intorno al 40 per cento – quota che si considera raggiungibile proprio grazie alla clausola del silenzio-assenso – abbiamo chiaro il numero di lavoratori che non sono ancora in grado di effettuare una scelta; ciò nonostante le indicazioni delle rispettive aziende d’appartenenza, le pressioni esercitate sul piano mediatico dal governo e dalle più grandi compagnie di assicurazioni, e dall’inaspettata attività d’informazione intrapresa dalle organizzazioni sindacali attraverso le numerose assemblee tenutesi in questi ultimi mesi nei posti di lavoro.
Un numero elevatissimo di lavoratrici e di lavoratori sono dunque indecisi su come tutelare la propria liquidazione, grimaldello ultimo di uno stato sociale ormai in via di estinzione. Troppi, soprattutto se pensiamo alle conseguenze chiaramente penalizzanti previste dalla normativa in seguito al conferimento tacito del proprio Tfr: primo perché la destinazione del Tfr a un fondo pensione è una scelta irrevocabile, anche se viene fatta tacitamente; secondo perché senza l’adesione esplicita al fondo non si ha diritto alla contribuzione a carico del datore di lavoro prevista dagli accordi contrattuali. È facile vedere come in quest’ultimo caso sia prevalso un atteggiamento punitivo nei confronti di tutti quei lavoratori che, per qualsiasi motivo, non sono stati in grado di decidere consapevolmente sul destino dei propri risparmi accumulati durante l’intero periodo di attività lavorativa. Per queste ragioni molti analisti suggeriscono di lasciare esplicitamente il proprio Tfr in azienda: si riducono così i rischi e successivamente è possibile modificare la decisione.
Non è un caso se a poco meno di un mese dalla scadenza ci si trovi in una situazione come quella emersa dai dati ministeriali: la farraginosità della normativa e le varie eccezioni in essa contenute – soprattutto in relazione alla data di assunzione e all’anzianità contributiva maturata presso gli enti della previdenza obbligatoria – non lasciavano presagire nulla di buono. Si aggiunga la debolezza mostrata dai sindacati nei confronti del governo e l’assenza di una consultazione preventiva dei lavoratori. Non è un caso, certamente, perché insieme alla precarietà, alle basse retribuzioni, alle carenze strutturali in tema di salute e sicurezza del posto di lavoro, anche in tema di riforma del Tfr emerge chiaramente come il lavoro sia una delle categorie politiche più trascurate e danneggiate; nonostante la nostra Repubblica proprio sul lavoro affondi le sue robuste radici.

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