Turchia e dintorni. Le madri del sabato

1 Settembre 2018
[Emanuela Locci]

Quando le ho incontrate io, in quello che sembra un lontano 2013, non sapevo della loro esistenza. Erano quasi tutte donne, camminavano sotto la pioggia tenendo in mano le fotografie di uomini, di figli. Anche in quel freddo gennaio erano scortate dalla polizia. Quella manifestazione pacifica ma decisa, mi aveva stupito. Che cosa volevano, perché erano li? Da subito mi ricordarono le madri argentine de Plaza de Mayo, che cercano la verità sulla fine dei loro figli, fratelli, mariti, tutti desaparecidos, un’affinità nei modi, nelle foto. Solo dopo scoprì che queste donne erano quelle che dai media turchi sono chiamate le “madri del sabato”. E solo allora scoprì, o meglio riscoprì, che esistono desaparecidos anche in Turchia.

E oggi lo riscopro più di allora, dopo gli avvenimenti di sabato 25 agosto, quando la polizia ha disperso con la forza la settecentesima manifestazione di queste donne che tenacemente da anni, anno dopo anno, sabato dopo sabato, chiedono pubblicamente la verità sul destino dei propri congiunti. Il loro è un appuntamento fisso, ogni sabato a mezzogiorno davanti al liceo Galatasaray per percorrere la via Istiklal fino a piazza Taksim. Questa volta le cose non sono andate come al solito, quarantasette partecipanti sono stati arrestati e dopo scarcerati, la manifestazione era stata vietata perché considerata dal governo troppo vicina al PKK, infatti, l’appuntamento sarebbe stato pubblicizzato in internet su pagine vicine al partito.

Ma chi sono gli “scomparsi”? per rispondere è necessario fare un balzo indietro nel tempo, in un periodo che va dagli anni Ottanta fino a tutti gli anni Novanta. Gli arresti cominciarono con il terzo colpo di stato, del settembre 1980, quando i militari presero il potere “per proteggere l’incolumità delle cose e delle persone”. Nel 1980 si registravano ogni giorno dai quindici ai venti omicidi politici. Dal 1980 al 1983 si contano moltissime vittime: circa cinquanta militanti di sinistra condannati a morte, altri quattrocento attivisti uccisi o torturati, più di mezzo milione di persone furono fermate, ottantacinque mila imprigionate, anche per lunghi periodi, e molti di essi morirono in carcere.

Migliaia d’intellettuali, sindacalisti, docenti universitari di ogni ordine e grado furono destituiti dai loro incarichi, impedendo in tal modo la propagazione delle idee e del movimento intellettuale contrario al governo dei militari. (piccola riflessione sui metodi sempre attuali, cambiano i protagonisti, ma le azioni sono identiche). Questo clima del terrore non termina nel 1983, con la fine della dittatura militare, gli anni Novanta, infatti, si caratterizzano per la dura repressione che il governo pone in essere nei confronti dei curdi, e quindi la lista degli scomparsi si allunga sempre di più.

Negli anni Novanta nelle regioni in cui era presente la popolazione curda, si avviò la distruzione sistematica di interi villaggi, in modo che i guerriglieri non avessero il supporto della popolazione. Squadroni della morte prelevavano le persone sospettate di essere legate alla guerriglia o agli ambienti della sinistra turca, e presumibilmente dopo essere state torturate venivano assassinate e seppellite in luoghi sconosciuti. Si stima che solo negli anni Novanta siano sparite in questo modo circa 17.000 persone, perlopiù politici dissidenti, giornalisti, attivisti per i diritti umani, e altre figure scomode per Ankara. Su molti di loro è sceso l’oblio, non sono mai stati ritrovati. Da questa triste vicenda è nato il movimento delle madri del sabato, iniziato nel 1995 dopo il ritrovamento del corpo senza vita di Hasan Ocak, un insegnante, di sinistra, molto conosciuto a Istanbul, che fu rapito e ucciso nel marzo 1995.

La madre di Hasan Ocak, Emine, e altre donne coraggiose, come Hatice, la madre di Huseyn Toraman, Birsen, la moglie di Hasan Gulunay, Pervin, moglie di Savas Buldan, unite da un lutto negato, iniziano a manifestare silenziosamente. Durante queste proteste le donne hanno denunciato le violenze della contro guerriglia, chiedendo a gran voce che i responsabili fossero assicurati alla giustizia. Le manifestanti furono spesso vittime della violenza della polizia, e per questo motivo nel 1998 decisero di interrompere le manifestazioni del sabato. Le attività ripresero dopo circa dieci anni nel 2009, sempre le stesse donne, sempre le stesse richieste, fatte ad un governo sordo, che non ha mai portato avanti un’indagine seria sugli avvenimenti legati alle sparizioni, probabilmente perché fare luce su questi fatti, vorrebbe dire scoperchiare un vaso di pandora che i diversi governi che si sono succeduti non avevano interesse a scoprire.

Le madri del sabato sono state malmenate anche sabato scorso, dai rappresentanti di uno Stato che a parole si proclama di diritto, oggi più che mai la notizia dovrebbe far riflettere su quale sia attualmente la situazione dei diritti umani in Turchia, oggi più che mai dovrebbe far riflettere l’immagine di Emin Ocak, ottantadue anni, portata via a forza dalla polizia, oggi come negli anni Novanta. E dovrebbe far riflettere che migliaia di figli non sono mai tornati a casa, ieri come oggi, perché anche oggi non si hanno più notizie di persone che sono state tratte in arresto dopo il tentato colpo di stato del 2016. Uno su tutti Osman Kavala. Per non dimenticare.

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