Tuvixeddu e del potere

16 Marzo 2008

TUVIXEDDU SUL PONTE
Alfonso Stiglitz *

Credo che sia importante iniziare ricordando le battaglie di Antonio Cederna, tra le quali particolarmente significativa per i molti elementi di somiglianza quella per la tutela dell’Appia antica. La battaglia ebbe un significativo momento vincente grazie al ministro ai lavori pubblici Giacomo Mancini che, nel 1965, con un atto d’imperio modificò il piano regolatore generale di Roma, al momento dell’approvazione, assoggettando a tutela, per “preminenti interessi dello Stato” l’Appia antica, per circa 2.000 ettari, eliminando tutte le possibilità edificatorie previste dal Piano paesistico approvato nel 1960.
Le battaglie di Cederna e di altri autorevoli studiosi si indirizzavano, in generale, verso la contestazione del feudale legame tra proprietà terriera e diritto all’edificazione, ponendo al centro dell’operato di una società civile gli interessi collettivi della tutela, della conservazione e dell’uso pubblico del territorio.
Negli anni si è sviluppata una battaglia contro il doppio regime esistente che cercava di far convivere la tutela del territorio con le trasformazioni urbanistiche o, per meglio dire, tra l’interesse collettivo alla tutela culturale e ambientale e l’interesse privato allo sviluppo urbano. Doppio regime nel quale ovviamente la prima è subordinata al secondo. Doppio regime frutto, è bene non dimenticarlo, del potere esercitato nel 1933 dalla Federazione Nazionale Fascista della proprietà edilizia.
Di questo doppio regime, nel quale, nei fatti, la tutela è assoggettata allo sviluppo urbano privato ne è esempio da manuale il caso di Tuvixeddu-Tuvumannu, come dimostrano le sorti dei vari vincoli archeologici succedutesi nel ‘900, esempio palese del potere politico della proprietà privata e dell’insipienza e incapacità delle istituzioni.
A partire dal vincolo archeologico del 1910 voluto da Antonio Taramelli allora soprintendente archeologico, che fu ridotto a seguito del nuovo vincolo approvato sulla base della determinazione della commissione provinciale per la conservazione dei monumenti approvata nella seduta del 9 marzo 1924, che merita di essere citata:
“Considerato che la parte su cui sorgono gli avanzi della necropoli punico-romana è limitata al declivio della collina che prospetta verso il sobborgo di Sant’Avendrace e che tutta l’area rimanente della suddetta regione non offre nessun interesse”;
La lettera che accompagnò questa determinazione, indirizzata dall’allora Soprintendente ai Monumenti, C. Aru, chiarisce perfettamente i motivi di questa riduzione dei vincoli da ricollegarsi alle esigenze dei proprietari (Mulas) di utilizzare la pietra per usi industriali.
È bene riportare questi dati sia per mantenere viva la memoria di questi atti che per la sorprendente somiglianza con quelli attuali, nel definire le esigenze private, prioritarie rispetto alla tutela, e nell’ignorare completamente la reale estensione dell’area archeologica.
Per seguire con il vincolo del 1962 che ha come bel risultato l’ulteriore riduzione dell’area tutelata. A questa gioiosa attività ministeriale di riduzione delle tutele si aggiungono i giudici con la sentenza del Tar Sardegna che annulla il nuovo vincolo imposto nel 1991 “per difetto di istruttoria e inadeguatezza della motivazione” e, infine quella recentissima del TAR Sardegna che qualche perplessità solleva.
A questo proposito vorrei richiamare, tra le molte affermazioni contenute nella sentenza una che mi pare particolarmente grave e che merita di essere citata per esteso:
“In merito questa stessa Sezione ha di recente affermato che la visione del paesaggio intesa come cristallizzazione di una naturalità idealizzata non é più realistica e che la tutela del bene deve conciliarsi con i principi dello sviluppo sostenibile, in special modo in presenza di siti non incorrotti ed inseriti in contesti fortemente urbanizzati. Il paesaggio da tutelare e preservare non può che essere quello esistente, essendo inconcepibile, oltre che estremamente costoso, un ritorno al passato storico in presenza di aree che non conservano la memoria dei luoghi originari se non in limitate porzioni isolate e circondate dalla rete della città”
Oltre alla scarsa dimestichezza dei giudici con la materia paesaggistica desta forte allarme l’autoaffermazione di una competenza del tribunale amministrativo nel determinare cosa sia archeologicamente e paesaggisticamente rilevante, come motivare un vincolo e quale ne sia la funzione. Non mi risulta che i vincoli li stabiliscano i giudici, ma la legge e il Ministero.
Per la gravità dell’affermazione, che va al di là del caso Tuvixeddu, credo che sia doveroso lanciare un appello al Ministero tramite la Direzione Regionale per i Beni culturali e paesaggistici della Sardegna perché sollevi un conflitto di competenza su chi sia il titolare del Vincolo paesaggistico.
Dopo queste brevi osservazioni si tratta di capire cosa, come studiosi, possiamo fare, al di là dei pronunciamenti pubblici, al di là della testimonianza. Credo che alcuni propositi possiamo indicarli sinteticamente:
Stabilire i parametri che garantiscano la qualità archeologica, paesaggistica, geologica, naturalistica dell’area di Tuvixeddu-Tuvumannu
Chiedere al Soprintendente archeologo la ridefinizione del vincolo archeologico, assolutamente inadeguato, come la palazzata di viale Sant’Avendrace e le tombe a camera di via Is Maglias dimostrano.
Dare la nostra disponibilità a sostenere scientificamente questo atto fondamentale
La ridefinizione del vincolo archeologico con il suo ampliamento si giustifica con la qualità dei beni presenti che va al di là dell’attuale perimetrazione e include il complesso delle fasi culturali che dal Viale Sant’Avendrace al Viale Is Mirrionis (parte bassa) e Via Liguria caratterizzano il colle.
Mi riferisco al complesso unitario di beni che in senso geografico da ovest a est vedono:
la presenza di tombe a camera, di età romana, lungo i bordi del Viale Sant’Avendrace, pesantemente intaccate e affogate dalla palazzata,
la presenza di tombe a camera di età punica lungo viale Is Maglias, al di fuori dell’area vincolata, entro i nuovi caseggiati della Facoltà di ingegneria, che in parte hanno intaccato queste strutture come è ancora visibile a occhio nudo
la presenza di un vasto insediamento abitativo di età neolitica che si estendeva dalla via Is Maglias sino al pendio di via Is Mirrionis
le tombe a camera puniche e la domu de janas eneolitica visibili nella salita del viale Buoncammino
l’ampia necropoli a domu de janas di Cultura Monte Claro in parte distrutta dalla realizzazione della Casa dello Studente e dell’asilo delle Vincenziane ma che, con ragionevole certezza, è in parte ancora preservata nelle aree ancora libere da costruzioni.
Per il futuro di Tuvixeddu sarà importante la disponibilità a una discussione tecnica sulla programmazione e progettazione dell’area per stabilire i parametri in base ai quali si debba progettare un parco archeologico.
Una discussione tecnico-scientifica pubblica, in modo che la cittadinanza possa essere partecipe, superando le stanze chiuse dell’urbanistica nelle quali operano solo i politici, i progettisti e i costruttori, con estremo fastidio per qualsiasi intromissione da parte della società civile, soprattutto quando costituita dal mondo scientifico.
Questo perchè anche i progetti di parco archeologico destano forti timori. Non discuto la qualità dei progettisti della Coimpresa o dell’arch. Clement, non ho dubbi sulle loro qualità progettuali e culturali, ma i loro progetti, entrambi, non mi paiono adatti; se mi si consente la battuta, non hanno progettato un parco archeologico, ma dei giardini, condominiale gli uni, pubblico l’altro; il risultato è lo stesso.

* Intervento tenuto alla CONFERENZA DIBATTITO organizzata da Legambiente ”I motivi della tutela, secondo il Codice Urbani e il PPR” (Cagliari, 23 febbraio 2008)

13 Commenti a “Tuvixeddu e del potere”

  1. Andrea Pubusa scrive:

    Di grazia, si può intervenire, senza essere ritenuti irrispettosi? Il Tar non si è sostituito all’Amm, dice solo che questa deve tener conto della realtà nell’adottare i suoi provvedimenti. Un principio del tutto necessario per scongiurare che la discrezionalità amministrativa diventi arbitrio. La critica non può investire questo principio di civiltà giuridica, ma può riguardare la ricostruzione che il Tar fa del materiale acquisito al processo. E’ corretta o no?
    Anche l’obbligo di motivazione dei provvedimenti dell’Amm. è un principio di civiltà giuridica, frutto della battaglia d’intere generazioni di giuristi, che ora l’art. 3 della L. 241/1990 ha codificato. E’ anch’esso uno strumento per contrastare la tendenza all’arbitrio del potere discrezionale dell’Amm. e per garantire l’imparzialità della sua azione.
    Il Tar non stabilisce vincoli, ma svolge un sindacato sui provvedimenti che li impongono, come su tutti gli atti dell’Amm. Principio base dello Stato di diritto, costituzionalizzato nell’art. 113 Cost.
    Più che lanciare un appello al Ministero perché sollevi un improbabile conflitto di competenza su chi sia il titolare del Vincolo paesaggistico (questione pacifica), è, dunque, bene criticare le sentenze partendo da un’analisi degli atti sottoposti al giudizio del giudice. In caso contrario, si perde tempo, e si svolge una critica errata e inutile. Non solo, ma si è reticenti sulla bontà dell’azione dell’Amm. che, per essere efficace, dev’essere anzitutto legittima.

  2. Alfonso Stiglitz scrive:

    Con tutto il rispetto, prof. Pubusa, quando il Tar scrive:
    “In merito questa stessa Sezione ha di recente affermato che la visione del paesaggio intesa come cristallizzazione di una naturalità idealizzata non é più realistica e che la tutela del bene deve conciliarsi con i principi dello sviluppo sostenibile, in special modo in presenza di siti non incorrotti ed inseriti in contesti fortemente urbanizzati. Il paesaggio da tutelare e preservare non può che essere quello esistente, essendo inconcepibile, oltre che estremamente costoso, un ritorno al passato storico in presenza di aree che non conservano la memoria dei luoghi originari se non in limitate porzioni isolate e circondate dalla rete della città” credo che si ponga un conflitto di competenze; il Tar, come Lei scrive deve giudicare la motivazione di un atto, la sua logicità ma non stabilire quale debba essere la visione del paesaggio: non è ha né la competenza tecnica (e quando nella stessa sentenza analizza il paesaggio, gli strafalcioni tecnici si vedono tutti, a partire dal Monte della Pace, e anche dalla frase che ho riportato) né quella giuridica.
    Cordialmente

  3. Andrea Pubusa scrive:

    Mi è stato detto che quando il Giudici del Tar sono giunti al Colle della pace e si sono trovati in via Is Maglias le loro facce si sono rabbuiate. Un buio premonitore. Forse è solo un racconto da bar, il Tar comunque valuta se la qualificazione dei luoghi corrisponde alla realtà. Se il vincolo è stato posto tenendo conto di ciò che il luogo fu, ma non è più, sanziona l’atto ritenendo che i fatti siano stati travisati o che l’istruttoria sia viziata. In questo non c’è alcuna invasione di campo. Poi ovviamente si tratta di stabilire se il Tar ha visto giusto. E lo dirà il Consiglio di Stato.
    Caro Prof. Stigliz, condivido quanto Lei e tanti altri studiosi scrivono e fanno a tutela del Colle e ritengo che la sua distruzione per la ns. generazione costituirà un’onta indelebile, di cui le future generazioni ci chiederanno conto. Tuttavia, anche a costo di qualche asprezza, mi sforzo di dire che o le cose si fanno bene sul piano giuridico o non si fà tutela. Anzi si concorre obiettivamente alla distruzione. Chiedo dunque di spostare l’attenzione dal Tar all’Amm. Ad es., dopo la sospensione della sentenza del Tar, ci sono alcuni mesi preziosi per correggere in autotutela eventuali lacune o errori. La Regione farà qualcosa? O si affiderà al mero riesame del Consiglio di Stato? Purtroppo la vicenda è giocata in modo così oscuro e chiuso che a noi cittadini angosciati non resta che sperare nel giudice d’appello. Ma forse è troppo poco. Chissà! Che Dio ce la mandi buona!
    Con stima.

  4. Ignazio Camarda scrive:

    Credo che il prof. Pubusa, a proposito di Tuvixeddu, con la sua affermazione “ritengo che la sua distruzione per la ns. generazione costituirà un’onta indelebile, di cui le future generazioni ci chiederanno conto” abbia centrato il problema. Bisognerebbe però fare la non piccola distinzione tra quanti si sono adoperati e si adoperano per la salvaguardia di Tuvixeddu e tra quanti disquisiscono intorno al nodo di gordiana memoria della legislazione italiana, tra quanti, per avvalorare le proprie tesi, calunniano e tra chi all’interno della Commissione del Paesaggio cavillava per fare decorrere i termini e consentire di continuare lo scempio, che sino ad oggi è stato comunque bloccato.
    E’ evidente che per Tuvixeddu non si tratta banalmente né di valutazione del TAR o del Consiglio di Stato, ma bensì di una responsabilità di tutta la società civile di Cagliari in primo luogo.
    Condivido con il prof. Pubusa che il rispetto delle norme, ovviamente, è la base stessa del vivere civile e della democrazia, ma è molto facile, e lui non può non saperlo, ricordare che tanti scempi e tanti guasti sono stati perpetrati nel rispetto delle norme e con lo stravolgimento della sostanza.
    Mala tempora currunt per il rispetto dei beni ambientali nella lotta impari con i potentati economici che camuffano i propri interessi con quelli generali, ma che trovino oggettivo e inaspettato sostegno alle proprie tesi da parte di persone al di sopra di ogni sospetto è ancor più sorprendente.

  5. Andrea Pubusa scrive:

    I potentati economici trovano oggettivo sostegno in chi fa atti illegittimi, non in chi ne rileva la non conformità all’ordinamento. Non c’entrano nulla in questo i Giudici né coloro che chiedono di fare le cose in modo giuridicamente ineccepibile.
    Ma il punto vero del dissenso stà proprio in questo: non si vuole ammettere che possa esserci qualche deficit di legittimità nell’attuale Amm. regionale. Il paradosso di questa vicenda è che solitamente i difensori di questa Amm. ne sono anche i consulenti e/o sono sostenitori del Presidente nelle sue varie (e legittime) attività politiche, dalla Statutaria al PD. I liberi pensatori, invece, solitamente sono più laici.
    Sulle questioni giuridiche comunque deciderà in via definitiva il Consiglio di Stato.
    Ma nel frattempo, l’Amm. sta inerte? Non ritiene di passare ai raggi x la procedura per rilevare se presenta vizi non rilevati?
    Non essendo frequentatore di commissioni a convenzione, nulla sò di cavilli defatiganti o di calunnie (per le quali, peraltro, esiste il giudice penale). Credo però che dove non prevale il libero pensiero queste miserie possano manifestarsi.
    Per il resto, ricordo che quando T. Dessì era resp. reg. Ambiente del PCI (ed io cons. reg.) ci battemmo nella Direz. e nel Com. reg. per far candidare al Senato un ambientalista indipendente, il Pres. reg. di Italia Nostra. La spuntammo e Felice Di Gregorio fece sostanzialmente la campagna elettorale a Tuvixeddu, con più di una manifestazione.

  6. Ignazio Camarda scrive:

    Il prof. Pubusa continua a fingere di non sapere che la Commissione del Paesaggio per legge non ha compensi, alla pari del signor Capparoni che favoleggia di duecentomila euro di costi della Commissione mentre non è costata una lira, e che il Comitato scientifico della Conservatoria ugualmente (a quanto sappiamo) non prevede compensi.
    La tecnica di tentare di screditare l’operato delle persone adombrando concussioni e compiacenze restando prigionieri del palazzo vendendosi l’anima per quattro soldi è molto antica, ma ritengo che siano sempre argomenti di bassa lega che screditano prima di tutto chi li ha messi in giro e continua a insistervi.

  7. Marcello Madau scrive:

    Cari compagni e amici, non ho pregiudizi sulle chiacchiere da bar: mi sembra comunque essenziale più del contenitore il contenuto, e sono felice quando il confronto (sul nostro quindicinale, come cittadini attivi, e anche al bar) cresce. Voglio allora aggiungere – se mi permettete, professionalmente come archeologo e docente di beni culturali e ambientali – che quando si opera un censimento, sempre finalizzato ad una valutazione preventiva di ‘rischio’ archeologico, è un grave errore non considerare aree delle quali conosciamo l’attestazione di una serie ampia di monumenti, solo perché questi non sono più visibili. Perderemmo il contesto e la necessità di attenzione nelle stesse aree pur urbanizzate, il cui sottosuolo è sempre ‘a rischio’. Il nome di quell’area, nell’individuazione storica, è quello storico.: la toponomastica talora mantiene a lungo i nomi dei luoghi tradizionali, talora, nel mutamento, li modifica. Se il potere procede alla ‘damnatio memoriae’ cancellando i nomi, analogo meccanismo può essere prodotto dallo sviluppo. Ma compito dell’analisi volta all’individuazione delle aree e dei relativi valori storici al fine della tutela, è non perdere la memoria ed i suoi vetttori. Vi sono nazioni civili dove i luoghi della memoria sono tutelati e sottoposti a vincolo, anche in assenza di monumenti. Qua si può costruire dove i luoghi ci sono. Auguri davvero alle generazioni future, visto che per legge ‘tremano’ anche le definizioni di sviluppo sostenibile!

  8. andrea Pubusa scrive:

    Se c’è una cosa che non so fare, è fingere. Il Prof. Camarda mi parla di Commissioni, di cui non so nulla, di un certo Copparoni, che non so chi sia, poi mi dice – come ha fatto anche un altro (di cui non ricordo il nome) nel n. scorso del Manifestosardo – che c’è chi usa l’antica arte della maldicenza. Cosa volete che vi dica? Non so di cosa state parlando. Vedetevela fra di voi!
    Quanto a Marcello, comprendo l’obiezione e mi pare culturalmente condivisibile. Mi sono sforzato – da giurista – di spiegare, per la buona comprensione dei lettori, come ragiona il Giudice amministrativo sulla base di tecniche giuridiche ben note, perché son vecchie ormai di circa 150 anni. Insisto, senza entrare nel merito, se si adotta un provvedimento di vincolo assumendo a presupposto che esista un Colle della Pace ed invece quel luogo risulta essere Via Is Maglias (ossia una brutta via con tanti palazzi ) il Giudice annulla perché l’atto è stato adottato allegando un presupposto inesistente. Così come – in ipotesi – non si può affermare di voler proteggere un bene dal cemento sardo, mentre lo si vuole coprire di cemento francese. Chi conosce la tecnica giuridica sà che il provvedimento và confezionato in altro modo.
    Comunque, il mio intento esplicativo è esaurito. Se non abbiamo da chiedere all’Amm. di giocare in autotutela altre carte (che credo ci siano), affidiamo le ns. speranze alla decisione del Consiglio di Stato. Sia ben chiaro – però – i rischi per Tuvixeddu aumentano!

  9. Sandro Roggio scrive:

    L’avv. Pubusa, d’accordo con gli avvocati dell’impresa interessata alla realizzazione di centinaia di migliaia di mc a Tuvixeddu, pensa che il Tar abbia visto giusto. E deduce “dalle facce rabbuiate” dei giudici ( descritte nei bar di Stampace) la gravità dell’atto impugnato, relativo all’estensione del vincolo a protezione del Colle, più di quanto non si evinca dai documenti. Non sapevo che tra gli esperti di diritto fosse invalsa questa curiosa pratica deduttiva. Un’occhiata alle facce dei giudici e, oplà, ecco con largo anticipo le motivazioni recondite della sentenza. D’altra parte l’aruspicina era una tecnica di divinazione consistente pure nell’osservazione dei fulmini (ars fulguratoria, per l’esattezza).
    Non mi persuade che la civiltà giuridica se ne infischi delle competenze sui paesaggi culturali, che non servano i periti per argomenti multidisciplinari, e penserei così anche se il giudizio d’appello fosse diverso. Ma l’ avv. Pubusa, attento al movimento del sopracciglio dei giudici, è del tutto indifferente alle parole di Giovanni Lilliu, autorità indiscussa, sicuro che sia una barbarie la trasformazione di un sito che ai giudici sembra solo “brullo”. Le parole di Lilliu e di altri competenti studiosi rassicurano i commissari a convenzione. Che continueranno comunque a prestare attenzione alle opinioni dell’avv. Pubusa per la molta esperienza nella difesa di imprese edili nei Tar, oltre che per la facilità a decriptare i messaggi subliminali

  10. Marco Ligas scrive:

    Cari compagni e amici,
    i vostri interventi su Tuvixeddu si moltiplicano. Fate diversi commenti (sulle decisioni del TAR, sulle Commissioni del paesaggio, sul ruolo della Regione, ecc.). Spesso però questi commenti abbandonano l’obiettivo dell’approfondimento politico e culturale e diventano un’occasione per darvi delle stilettate. Sono perciò sgradevoli e, suppongo, poco interessanti per i lettori. Così facendo dimostrate di non voler rispettare le ragioni per cui è nata l’Associazione Luigi Pintor e lo stesso quindicinale, né sembrate interessati a rendere il confronto delle idee un’occasione importante di analisi e approfondimento, anche quando emergono dissensi radicali. Ritenendo che non ci sia alcuna ragione perché usiate il Manifestosardo per queste polemiche vi invito ad usare uno spirito diverso e più propositivo. Marco Ligas

  11. Andrea Pubusa scrive:

    Caro Direttore, per completezza d’informazione, comunico che l’unica impresa edile che difendo è la Ditta Efisio Pani di Nuxis (il mio paese), che ha un solo addetto fisso (Efiso Pani – maestro di muro), il quale, ignaro probabilmente dell’esistenza di Tuvixeddu, in cambio delle mie prestazioni professionali (qualche lettera o consiglio) offre dei lavoretti nella mia casa in paese. E’ comunque un rapporto molto libero e appagante.

  12. Alfonso Stiglitz scrive:

    Il prof. Pubusa ha sintetizzato bene l’errore metodologico e tecnico della sentenza del Tar; infatti, la conoscenza della cartografia storica, della topografia, della toponomastica e della letteratura scientifica (quello che il TAR contesta) ci mette nelle condizioni di sapere che la via Is Maglias non è al posto del Monte della Pace, ma ricalca un sentiero, ben visibile nella cartografia ottocentesca, lungo la vallecola che separava le cime di Tuvixeddu e del Monte della Pace; un occhio competente riesce ancora oggi a percepirlo. La stradina esisteva già in età punica come mostrano le tombe a camera delle pendici di Tuvixeddu (ormai del tutto devastate) e del Monte della Pace, qualcuna delle quali visibile a occhio nudo e oggetto ancora oggi di devastazione da parte degli scandalosi (atti perfetti anche questi ?) lavori di ampliamento della Facoltà di Ingegneria. La stradina verosimilmente esisteva già in età preistorica, visto che lambisce il villaggio neolitico di Cultura Ozieri (IV millennio a.C.) già segnalato a inizi del ‘900, riedito nel 1986 e in buona parte devastato dai palazzoni a destra della via e parrebbe anche da quell’ampio spianamento effettuato di recente. Dovrebbe sopravviverne ancora parte nel versante orientale del Monte della Pace che, con buona pace dei giudici, esiste ancora.
    Questo per segnalare come la “incompetente” visione contemporaneistica del TAR non tenga conto della realtà e sia l’atto perfetto per la sua distruzione, tuttora in corso.

  13. Andrea Pubusa scrive:

    Caro Prof. Stigliz, senza offesa, ironia e Tar, mi tolga una curiosità personale e vera: ma questo Colle della pace dov’è? A cosa corrisponde? Intuisco da quanto Lei dice che, ormai tra palazzi, spianamenti e devastazioni, è difficile coglierne l’originale funzione. Ma esiste. Certo è che, se è stato segnalato fin dai primi del ‘900, la distruzione è stata tanto radicale, quanto stupida. Mi addolora poi sapere che ha concorso e concorre anche la Fac. di ingegneria e architettura, che invece dovrebbe insegnare la tutela. Forse anche la Fac. di lettere copre reperti importanti.
    Insomma, la vicenda è l’emblema del paradosso moderno: amministrazioni preposte alla tutela (Comune, Regione e Stato) ed altre (Università) che dovrebbero creare la sensibilità culturale alla salvaguardia sono gli artefici della devastazione! Che disastro! Per di più adesso sopra Tuvixeddu e il Colle della Pace, al posto dell’antico stradello, deve passare un’autostrada sopraelevata a quattro corsie. O il progetto è rientrato? Ma possibile che la VIA abbia dato esito positivo? O è vero quanto mi è stato detto, e cioé che per saltarla è stato inventato da Comune e Regione uno stratagemma? E se è vero, perché la Regione oggi non scula il gioco? Basterebbe annullare e imporre la VIA. Mistero. E’ un vero giallo. Roba da inchiesta giudiziaria e giornalistica.

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