Una macchina rossa in via Caetani

16 Maggio 2008

Cristina Lavinio

Sette sono i capitoli di questa storia, La macchina rossa, racconto lungo di Antonio Volpi, appena pubblicato dall’editore Zonza. Intitolati da semplici numeri in successione, da uno a sette, narrano di un personaggio, Sesto Paolino, e di una sua giornata particolare. E’ il 9 di maggio del 1978, e Sesto Paolino, dal nome speculare a quello del papa del tempo, Paolo VI, è un settantenne che vive, solo – o meglio con la sola compagnia di una cagnetta – al primo piano di via dei Funari 20. A Roma, via dei Funari è una perpendicolare di via Caetani, e il numero 20 dovrebbe essere all’altezza di via Caetani, se Sesto Paolino vede dalla sua finestra che cosa vi succede… Il racconto si apre proprio con questa informazione («Sesto Paolino abitava fin da ragazzetto al primo piano del numero 20 di via dei Funari»), per poi tornare indietro nel tempo e narrare della nascita di Sesto, chiamato così perché l’unico in qualche modo riuscito ad attecchire e ‘germogliare’ dopo che sua madre aveva avuto ben cinque aborti spontanei. I suoi genitori, Damiano e Immacolata, poverissimi, si erano trasferiti poi dall’Agro Pontino, al seguito di Cosimo, fratello di Damiano, che aveva acquistato una trattoria in città. Dopo la morte del padre, investito da un tram mentre, a bocca aperta, si guardava intorno per le strade di una Roma che lo affascinava mandandolo «in trance contemplativa», Sesto ha preso il suo posto, per fare per tutta la vita il cameriere nella trattoria dello zio, che è anche l’affittuario del suo appartamento. Ma, già nel capitolo Due si torna qui, in via dei Funari, ed è il giorno del settantesimo compleanno di Sesto, in pensione ormai da tempo. «La vita è lunga tanti anni, ma è fatta di pochi momenti» pensa Sesto: questi momenti sono i pochi che si ricordano, mentre tutto il resto affonda in una nebbia indistinta di quotidianità e di atti insignificanti perennemente ripetuti. Tutta la sua vita è in fondo passata così, senza avvenimenti particolari, in modo piatto e anonimo. Non è dunque un caso, insomma, che la stessa organizzazione del testo sia speculare a tutto ciò, che dalla nascita e dall’infanzia accennate nel primo capitolo si torni immediatamente al giorno del settantesimo compleanno di Sesto nel secondo, saltando tutto il tempo intercorso; di cui poi qualcosa verrà raccontato, ma solo per sprazzi, veloci e sempre filtrati dalle riflessioni e dai ricordi del personaggio. Il giorno del compleanno, del resto, è sempre un giorno adatto per dare la stura a un po’ di ricordi, per fare bilanci… E Sesto guarda fuori dalla finestra mentre la cagnetta è impaziente e vuole uscire. E intanto, tra i suoi ricordi, quello più importante è un episodio piuttosto recente, che gli ha fatto conoscere Pietrina. Sesto era impegnato, come al solito, in una delle sue lunghe passeggiate solitarie quando si era trovato per caso in mezzo a dei disordini tra autonomi e polizia, dalle parti dell’Università, ed aveva soccorso un agente (l’agente Gaetano Passalacqua) steso a terra dal lancio di un sanpietrino. Si era ritrovato con il ferito sull’ambulanza e, all’ospedale, era arrivata la moglie di Gaetano, Pietrina appunto. Pietrina è una sarda, «cagliaritana di Stampace ma con sangue barbaricino», dato che i suoi erano originari di Mamoiada. Per riconoscenza verso Sesto, che tamponandone la ferita ha salvato la vita al marito, Pietrina, che fa la donna di pulizie, si impegna ad andare a casa di Sesto una volta alla settimana, adottandolo, per così dire, come persona sola e cara cui accudire.
Questo libro è anche la storia tenera e malinconica di una solitudine lunga una vita, accentuata poi a dismisura dalla pensione e dalla vecchiaia, di una solitudine cui mancano persino i clienti, gli estranei con cui scambiare qualche parola di routine… Ed è la rappresentazione realistica della tristezza della vecchiaia, di un vecchio che aspetta con ansia che arrivi la donna delle pulizie con cui, una volta alla settimana, scambia qualche parola, oppure che va, preso da un attacco di nostalgia, a pranzare da solo nel ‘suo’ ristorante dove nessuno più lo conosce e dove viene trattato male da un irridente giovane cameriere ignaro di avere preso il suo posto.
Ma andiamo con ordine. Pietrina, che a poco a poco ha raccontato a Sesto varie cose della propria vita, arriverà anche in quel 9 di maggio verso le 8. Inutile dire della segreta speranza di Sesto che la donna si ricordi del suo compleanno… Ma sono ancora le sette, e Sesto vede dei movimenti strani, a un certo punto, in via Caetani: arriva una macchina rossa, una R4, sembra incerta nel cercare parcheggio, ma uno dei suoi occupanti ne scende per salire su un’altra macchina parcheggiata lungo il marciapiede. La sposta e la R4 prende il suo posto, restando lì mentre l’altra auto riparte in gran fretta… Non si può andare avanti nel racconto della giornata di Sesto, se non si vuole togliere al lettore il gusto di leggere questo libro. Ma si deve dire che questo racconto è molto gradevole per la qualità della scrittura, oltre che interessante per l’enormità dei problemi che, benché con grande leggerezza, pone ed evoca. La scrittura di cui si serve è letteraria ma non convenzionale, elegante, esente da pesantezze. Vi affiorano anche descrizioni o pennellate descrittive efficaci, di strade, paesaggi e ‘aromi’ romani («La città, acciambellata come i suoi gatti sotto un sole quieto, trasudava di mitezza indolente […] la sfrontatezza della sua bellezza sapeva secernere balsami capaci di cancellare ferite e cicatrici e di riproporre il senso della sua prepotente e inarrestabile eternità», p. 59), ma anche cagliaritani (Cagliari è «la città misteriosa e lontana di un’isola altrettanto misteriosa e lontana, appollaiata fra il mare e gli stagni, bianca come un cigno che riposa», p. 32); oppure di personaggi tipici, tratteggiati mediante annotazioni fisiche gustose («Sembrava vinto dalla fatica di portare a spasso il suo corpaccione pingue, stretto in una camiciola i cui bottoni erano tesi allo spasimo […] due folti baffoni […] nascondevano la bocca mentre il mento si appiattiva su un rotolo di collo», p. 65). E anche linguisticamente Roma e la Sardegna campeggiano in molti punti: romanesco e cagliaritano si mescolano nel parlato della sarda Pietrina, romanesco e parlata popolare emergono in piccole e gustose porzioni dialogate. Vediamo alcuni esempi: «[…] Dia qui che lo proviamo. E via questa roba da peddizzone. / -Peddichè? / -Sì da peddizzone. Che sarebbe come a dire da pezzente, da burino, mì» (leggiamo in un frammento di dialogo tra Pietrina e Sesto, p. 54); oppure «Anche se ora vogliono gente giovane per fare la cucina giovane, come è che si chiama? Quella dove nun te mettono niente nel piatto e paghi una barca di quattrini, mì» (dice sempre Pietrina, p. 55). Come unico neo si può indicare il fatto che la trascrizione di segni di elisione e accenti sia qua e là discutibile: sarebbe stata opportuna una maggiore accuratezza. Inoltre, questo racconto non è privo del gusto sia cagliaritano che romanesco (se non romanaccio) per la battuta salace e per la scherzosità irriverente. Basterebbe trascrivere qualcuna delle battute in ristorante (p. 65): «Sto a scherzà, nonnè» sottolinea il cameriere; «Movete, a don Lurio!», gli dice ridacchiando ‘il compare’ (il cuoco).
In sintesi, per tornare su un piano più generale di considerazioni, si può dire che, ne La macchina rossa, nella fiction del racconto, la piccola storia di un personaggio come Sesto campeggia e ‘impatta’ con la Storia (con la S maiuscola) di Aldo Moro e della sua tragica fine; Storia che però resta sempre piuttosto sullo sfondo, registrata con gli occhi di personaggi (Pietrina, suo marito Gaetano, Sesto, che non ha neanche TV) che non capiscono e che commentano superficialmente, al massimo, le notizie del TG… Ma poi, in questo libro, si esce anche dalla fiction: il racconto è seguito da una sequenza, sobria ma efficace, di piccoli flash informativi disposti in ordine cronologico. E’ la Cronologia dei 55 giorni che sconvolsero l’Italia, dal 16 marzo 1978, giorno del rapimento di Aldo Moro dopo lo sterminio dei cinque uomini della sua scorta, fino al 9 maggio, giorno del ritrovamento del suo cadavere nel cofano di una R4 rossa abbandonata in via Caetani.
E c’è anche una postfazione dove l’autore spiega le ragioni che l’hanno spinto a scrivere questo testo, dedicato, oltre che alla moglie, anche a tutte le vittime del terrorismo, e in particolare ai poliziotti di via Fani, nominati uno ad uno. Ma il racconto è dedicato anche ai vecchi da una parte e ai giovani dall’altra, e agli studiosi che si battono perché vengano a galla tutte le verità sulle molte pagine oscure della storia recente del nostro paese. E’ dedicato, insomma, a tutti noi, che abbiamo il dovere di ricordare e di tentare ancora di capire, cercando di fugare le numerose ombre che quel momento buio ancora presenta e ricercando quella verità che, come diceva Gramsci – e Antonio Volpi lo ricorda – è sempre rivoluzionaria.

Scrivi un commento


Ciascun commento potrà avere una lunghezza massima di 1500 battute.
Non sono ammessi commenti consecutivi.


caratteri disponibili

----------------------------------------------------------------------------------------
ALTRI ARTICOLI