Una madre, nessun paese

16 Marzo 2008

MADRE E FIGLIO
Giovanni Oliva

Ioanni, èsto mia mate: tollela en caritate, aggine pïetate, ca ‘l cor ha sí furato.” (Jacopone da Todi).

Si chiama Jadranca S. (per i gagé: Adriana) è nata a Tramic (Bosnia) nel 1965, è arrivata in Italia, bambina, tanti anni fa, assieme alla suo gruppo famigliare rom khorakhané, proveniente dalla ancora integra Jugoslavia. Si è sposata tredicenne ed è subito diventata madre. Soffre per un grave difetto agli occhi: una malattia progressiva della retina. E’ cardiopatica. Vive ad Alghero, nel cosiddetto campo nomadi di Fertilia (maskar e borori, per i romá).Vive poveramente contribuendo al mantenimento della sua famiglia con le scarse elemosine che raccoglie in città. Senza un sussidio.Non ha alcun documento d’identità valido. In verità ha avuto per un po’ di tempo un permesso di soggiorno e una carta d’identità. Vent’anni fa, la legge Martelli (sia benedetto almeno per questo) consentiva di regolarizzare gli stranieri presenti in Italia, anche quelli che si presentavano sprovvisti di documenti del paese d’origine; bastava la dichiarazione di due testimoni che certificassero la vera identità della persona. Jadranca da allora è sempre vissuta in Italia, ha partorito nove figli di cui alcuni sono ora, iure soli, cittadini italiani. Ma lei, assurdamente, oggi non ha più un documento valido. Pare che per le leggi vigenti (la sciagurata bossifini) e secondo le circolari di applicazione, per avere rinnovati i documenti di identità, dal comune di residenza, dovrebbe esibire il passaporto rilasciato dal suo paese d’origine. Ma lì, in Bosnia, non risulta nemmeno essere stata registrata all’anagrafe (non è un caso unico, a volte i romá si dimenticano di registrare i loro figli appena nati). E comunque già lo Stato Italiano, a suo tempo, aveva provveduto a riconoscere la sua identità. Perché oggi quell’atto non dovrebbe più valere? Se Jadranca non aveva documenti allora, come potrebbe averli oggi che sono passati vent’anni e c’è stata una terribile guerra civile che ha sconvolto il suo paese d’origine? Ora le viene detto che l’unica possibilità sarebbe chiedere che le venga riconosciuta l’apolidia. E nel frattempo? Perché Jadranca non può avere almeno una carta d’identità, come quella che le aveva rilasciato anni fa il Comune di Alghero? E’ quello che lei sta chiedendo inutilmente da qualche anno. Immaginate una madre (oggi a 42 anni è già nonna con tanti nipotini, più di dieci) che non può muoversi da Alghero, che non può andare a far visita ai suoi famigliari in altre città italiane perché se viene fermata, per il controllo dei documenti, da funzionari che non la conoscono personalmente, rischia (in questi giorni tristi e di paura) di essere espulsa. Questa è la sua angoscia. Senza alcun motivo, senza alcuna condanna, senza che le sia stato mai addebitato alcun reato, le viene di fatto negato il diritto fondamentale alla libertà di movimento. E a un po’ di serenità. Immaginate una madre, col cuore sofferente, in lacrime, stanca di questa vita.

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