Una ricerca che mette al centro l’uomo

16 Aprile 2013
Matteo Campulla

Pubblichiamo un intervento che ci propone Matteo Campulla la cui ricerca pittorica si sviluppa e si articola sulla figurazione del volto umano. (Red)

La serie “Landscape”  prende forma all’incirca un anno fa in seguito a delle riflessioni sulla mia ricerca pittorica che, soprattutto negli ultimi anni, si è concentrata sulla figurazione (o trasfigurazione, per la maggior parte dei casi) del  volto umano. Quasi un’ossessione. Una ricerca che mette al centro l’uomo, portatore di un malessere interiore o, al contrario, di una certa leggerezza che tende a sfigurarlo nei lineamenti.
Mi ha sempre incuriosito l’aneddoto della famosa disputa tra Diego Rivera e Amedeo Modigliani, in cui quest’ultimo affermava coloritamente che “il paesaggio non esiste”. Per Modigliani esisteva solo la persona, l’individuo.  Avrebbe avuto modo di ripudiare pure le nature morte, tanto in voga in quegli anni tra i cubisti.
Da qua parte la mia riflessione: cos’è il paesaggio?
La Convenzione Europea del Paesaggio (un testo in cui si dispongono i provvedimenti per la tutela e il riconoscimento del paesaggio, firmato dai ventisette Stati della Comunità Europea e ratificata nel 2006 da dieci tra cui l’Italia) ne riporta una definizione precisa, ai fini della Convenzione stessa:  « “Landscape” means an area, as perceived by people, whose character is the result of the action and interaction of natural and/or human factors ».
In realtà è difficilissimo dare una definizione precisa di un concetto perlopiù astratto ma è interessante notare che in questo caso ci si appella al fattore della percezione come elemento centrale della sua formulazione.
Potremmo dire che il paesaggio esiste sempre e solo quando qualcuno lo interpreta?
Sicuramente non esiste in maniera oggettiva ma solo soggettiva,  determinata da un’infinità di variabili, anche e soprattutto culturali. Non ci può essere un’interpretazione sbagliata poiché qualsiasi sua versione è deformata in origine, dal suo fruitore. Si può dire forse la stessa cosa che si dice d’innanzi a certe opere d’arte, il luogo comune che vuole che sia l’osservatore a completare l’opera. Anche in questo caso non esiste un’interpretazione giusta o una sbagliata dato che lasciamo alla sua sensibilità la parola finale.
Sempre più nell’arte contemporanea si fa appello a dei testi critici che spesso valgono più dell’opera stessa, incanalando il giudizio dell’osservatore verso la visione giusta dell’opera, l’unica possibile. Spesso si giustifica questa tendenza con il fatto che non ci sia una preparazione culturale e artistica di base dall’altra parte ma per me, la colpa maggiore, rimane all’artista – incapace di finalizzare il suo messaggio senza la parola. Con SCARS [Video Project] (ma anche prima, con il Movimento Oscurantista) ho sempre evitato di elaborare dei testi complessi e autocompiacenti. Al massimo qualche sentenza, secca.
L’unico testo che ha accompagnato SCARS [Video Project] per un lungo periodo è stato: “SCARS [Video Project] è una rassegna di video brevi, di poche parole”. E così vuole essere, di poche parole.
Ho deciso di rapportarmi con il paesaggio e con la sua interpretazione in maniera oracolare attraverso la ripetizione e la casualità. Con una tecnica simile ai cut-up dadaisti ho montato casualmente dei loop, anch’essi generati in maniera casuale, lasciando l’audio originale del girato. Il risultato è una ricerca ossessiva di un qualcosa, questo sembra a molti suggerire la visione di questi video. Molti trovano invece dei tratti familiari nel paesaggio, identificano i luoghi, le strade, i palazzi – come se il senso non dovesse essere tanto lontano da se stessi.
In questa ricerca di senso, nella percezione che si ha di questi montaggi difettosi, si genera quello che ho voluto definire  “paesaggio”:  ovvero l’interpretazione di un codice attraverso la sua percezione. Un concetto che sta alla base di qualsiasi elemento comunicativo anzi, è il passaggio fondamentale della comunicazione stessa. Il paesaggio è quindi un elemento comunicante, a patto che lo si voglia decodificare.
Ma non sarà una forzatura questa? Aveva ragione Modigliani: il paesaggio non esiste.

1 Commento a “Una ricerca che mette al centro l’uomo”

  1. cristian melis scrive:

    Bell articolo. Molto semplice e scorrevole.
    parla di argomenti specifici ma con un linguaggio semplice.

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