Un’altra città è possibile?

6 Aprile 2011


Marcello Madau

Ancora morti, fra le onde. Di fronte a questa gente che non può neppure scappare dove vuole, corpi vivi e corpi morti in terra e mare, umiliati nei nostri campi di concentramento, che fugge fra gli alberi, provo un forte ribrezzo per inni, patrie, bandiere nazionali di ogni genere. Eppure mi piacerebbe andare oltre alla difesa dei diseredati, che vengono con i loro corpi e le loro emozioni straziate su orridi barconi, sfidando i benpensanti e i nuovi mostri marini che si nascondono nei marosi e a guardia degli approdi.

Oltre tende e CPT, campi di concentramento e pullman e navi di deportazione, per costruire, anche in Sardegna, una nuova città: con tutte le regole giuste, le valutazioni preventive che abbiamo fatto per alte velocità e gasdotti ora per nuovi luoghi da vivere, con gli spazi collettivi, il verde necessario, il sole a dare energia per gli emigrati e per noi. Da costruire e architettare assieme.
Ma gli accordi di programma servono ad altro. Servono a una serie di palazzine lungo il percorso di una necropoli punica e romana, o per un masterplan in una lussuosa area di vacanza. E la nostra orribile classe politica non li pensa al fine di costruire luoghi per viverci davvero. Di altro si occupano urbanisti e compagni urbanisti.
Una destra speculatrice di fronte a una sinistra patetica e senza idee.
Vorrei dire alle grandi facoltà di architettura che si aggiudicano, in modo sicuramente meritato e meritorio, i primi posti nel sistema universitario: perché non progettate davvero un’altra città, non fra quelle già esistenti, ma su un nuovo terreno, nuova davvero.? Perché non usate i vostri saperi e il dono dell’utopia che certo alberga in noi, ma è di nuovo troppo nascosto, per andare verso gli uomini?

Quando la storia ha iniziato a presentare il suo conto agli uomini, gli uomini in fuga lo hanno presentato alla storia. Quanti poveracci saranno morti prima di fondare empori e città di greci e fenici? Lo raccontano – ad essere attenti – le decorazioni nei vasi, i naufragi e la fauci di orche e giganteschi serpenti e i denti aguzzi degli squali. Ne ho parlato in un convegno scientifico, ma questo è meno importante: è più importante nella sua esplicita chiarezza l’immagine che il cuore mi ha imposto per chiudere la mia relazione di antichistica. Ho chiuso la mia peregrinazione lungo il rapporto fra Oceano e mito, fra mondo sconosciuto, viaggio e mostri marini con quella tragicamente ripetuta di un barcone inghiottito dal fato e dai potenti.
Scilla e Cariddi erano più severi dei nostri ministri, non dicevano ‘fuori dalle balle’ come ci ha dispensato l’eleganza bossiana, ma praticavano direttamente l’obiettivo divorando gli incauti marinai. Finché qualcuno li fece sparire con una nuova scommessa. Nacquero nuove città, alcune erano persino inclusive.

Oggi siamo davvero al limite. Non sarà possibile impedire l’ondata della gente che scappa per stare meglio, una vera moltitudine.
Non bastano piccole misure, bensì un grande coraggio, e un grande progetto. Un nuovo mondo è possibile solo se nuove città, nuove fondazioni saranno possibili.

1 Commento a “Un’altra città è possibile?”

  1. Giulio Angioni scrive:

    I tuoi cenni quasi preistorici ai migranti mediterranei (e il mio condividere ogni tua parola) mi hanno fatto pensare ai circa 13 secoli di quelle migrazioni dette scorrerie barbaresche, che tanto hanno interessato anche la Sardegna, che erano il lato islamico delle scorrerie cristiane non meno importanti e crudeli, mentre tutte erano tanto crudeli. Ma anche, per almeno un aspetto, più “intelligenti”: spesso erano scorrerie a caccia di uomini, da portare via, braccia e teste da usare in schiavitù. Mentre oggi non si capisce, o si finge di non capire nemmeno questo: che questi uomini giovani (e donne) in fuga sono il meglio di quei luoghi e società in trasformazione, di cui un minimo di antica furbizia levantina dovrebbe almeno sospettare la ricchezza, offerta gratis dal mare.

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