Velluto Blu

16 Marzo 2013
Michele Ruda
Lumberton, Usa. Jeffrey Beaumont torna nella città natale per stare vicino al padre, recentemente colpito da un male improvviso. Nel suo girovagare trova in un campo un orecchio mozzato. Allertata la polizia, Jeffrey non resiste alla tentazione di condurre indagini in privato, aiutato in queste da Sandy, figlia del detective che segue il caso. Spinto dalla curiosità Jeffrey scoprirà che dietro la pulita facciata della sua città si cela un’oscura e pericolosa realtà, incontrando  le disperate e malate figure che l’abitano, dalla cantante di night Dorothy Vallens allo psicopatico Frank Booth, in un perverso percorso d’iniziazione.
All’interno dell’opera di David Lynch (Missoula, Usa, 1946), Velluto Blu (Blue Velvet in originale) si configura come la prima, libera manifestazione dell’immaginario e delle forme del suo autore.
Se escludiamo l’esordio con The Eraserhead- La mente che cancella (The Eraserhead, 1977), rappresentazione in chiave fantastica della paura di diventare genitore, ambientata in uno scenario industriale fotografato in uno “sporco” bianco e nero, i successivi The Elephant Man (id. 1980) e il fantascientifico Dune (id. 1984) sono infatti produzioni che per l’alto budget e lo stretto controllo artistico soffocano la natura surrealista del suo cinema.
Fortuna  vuole che Il contratto per girare una seconda pellicola firmato col produttore Dino De Laurentiis prima delle riprese di Dune preveda oltre a clausole molto rigide (budget a disposizione contenuto e paga ridotta per Lynch) il tanto agognato final cut, l’ultima parola in sala di montaggio cioè,  sinonimo per ogni regista di totale libertà creativa.
Questo artista eclettico (di formazione pittorica, Lynch è anche scultore, fotografo, creatore di video installazioni, compositore) che a vederlo sembra apparso dagli Anni ’50 vissuti su un altro pianeta, “Un James Stewart venuto da Marte” secondo la definizione data da Mel Brooks, suo produttore in The Elephant Man, ha ora la possibilità di girare il “suo” film con le sue regole.
Quello di Velluto Blu è, parafrasando la battuta che chiude il film, “uno strano mondo” che sotto una corteccia d’innocenza cela un anima profondamente nera.
Dopo gli eleganti titoli di testa impressi su uno sfondo che ha lo stesso colore del titolo, sulle note del classico degli Anni Cinquanta Blue Velvet (l’uso di brani provenienti da quell’epoca amplifica la sensazione di sospensione temporale)  scorrono idilliache: vigili del fuoco che salutano, bambini che attraversano la strada all’uscita di scuola sotto gli occhi attenti dei volontari, villette a schiera e le staccionate dei giardini rigorosamente bianche. Ma per un regista che mette in scena un’idea di mondo come grande rappresentazione la finzione dura ben poco.
Difatti  Lynch mette subito le cose in chiaro: rompe l’incantesimo mostrandoci l’incidente – in circostanze buffe ma terribilmente serie-  accorso al padre di Jeffrey, e sposta la macchina da presa sul terreno iniziando a “grattare” la superficie sotto la quale centinaia d’insetti  si dimenano  fra loro, per una sensazione un perturbante amplificata dagli effetti  sonori (un aspetto tecnico che Lynch cura con maniacale perfezione in ogni suo film).
Se questo è il primo vero squarcio a quel velo di Maya operato dalla mano di Lynch dobbiamo ancora entrare pienamente nella disturbante atmosfera del film, quando Jeffrey Beaumont (incarnato con straordinaria pulizia e compitezza, ed  una sottile vena di perversione, da Kyle MacLachlan, l’attore feticcio di Lynch che gli regalerà l’indimenticabile ruolo dell’agente Dale Cooper del serial Twin Peaks)) nel riappropriarsi degli spazi della sua città incappa in un orecchio umano brutalmente reciso.
Di questa dimensione Jeffrey rimarrà ineluttabilmente invischiato, incontrando la cantante di night club Dorothy Vallens (Isabella Rossellini, allora compagna del regista) che si esibisce nello Slow Club (nome che più lynchano non si potrebbe: il regista è un maestro nel dilatare all’inverosimile situazioni apparentemente normali se non banali addirittura, in opposizione alla natura intrinseca del cinema di scorrimento, di  velocità) la quale è vittima delle angherie di Frank Booth, un criminale violento e parolacciaro, un “uomo nero”,  re della notte di Lumberton (notte che nel cinema di Lynch coincide col risveglio di forze oscure) incarnato da un debordante Dennis Hopper. L’unico personaggio che sembra fare eccezione a questa oscurità (dalla quale le stessa esce facendo il suo ingresso in scena nel film) è Sandy (Laura Dern), prima complice poi innamorata di Jeffrey.
In quella che è forse la scena più significativa del film lo vediamo quest’ultimo intrufolarsi nell’appartamenti di Dorothy con l’intenzione di chiudersi nell’armadio della cantante per poterla spiare ma viene scoperto dalla donna che lo obbliga ad uscire iniziando un gioco di seduzione che ha come regola quella di non essere guardata. Poco dopo entra in scena Frank e Jeffrey deve tornare nel suo osservatorio privilegiato.
Di nuovo al sicuro può tornare ad essere solo spettatore, questa volta del perverso rapporto fra Dorothy e  Frank.
Lynch gioca con la natura voyeuristica del cinema, lo spinge a voler vedere e sapere di più e, attraverso l’identificazione con l’innocente Jeffrey, ci coinvolge e provocandoci nel nostro ruolo di spettatori, sicuri della nostra estraneità a ciò che vediamo sullo schermo ma incapaci di distogliere lo sguardo.

Velluto Blu di David Lynch, Usa 1986, 117 min. colore con Kyle MaClachlan, Isabella Rossellini, Dennis Hopper, Laura Dern

L’Associazione culturale Film ’e Ferru è costituita dal 2009. L’iniziativa principale è il cineforum a cadenza bisettimanale presso la libreria Vertigo di via San Lucifero. I fondatori dell’associazione sono Matteo Costa, Francesco Meloni, Valeria Orecchia, Michele Ruda e Andrea Salimbeni. Per informazioni sulla programmazione sono raggiungibili via facebook alla pagina “Film ‘E Ferru circolo del cinema Cagliari”

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