Vitalizi regionali e etica delle istituzioni

16 Novembre 2014
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Claudia Zuncheddu

Le alte indennità per i politici, che ricoprono cariche all’interno delle istituzioni statali, originariamente sono state pensate e previste per evitare e non permettere fenomeni di corruzione degli eletti, quindi per salvaguardare non solo la volontà popolare ma la stessa democrazia.  Purtroppo non da oggi è emerso che, nonostante gli intenti dei legislatori, i fenomeni di corruzione all’interno delle istituzioni democratiche di ogni ordine e grado sono lo sport più praticato da una parte degli eletti, ovvero di coloro che dovrebbero difendere gli interessi pubblici dalle corruttele private. E’ chiaro che le ricche indennità non sono una reale garanzia dalla corruzione del singolo, come i finanziamenti pubblici ai partiti, non sono la garanzia della loro corruttela e collusione con interessi che nulla hanno a che vedere con il bene delle collettività. Queste logiche sono spesso legate a interessi di arricchimento strettamente privati o ancor peggio colluse con interessi criminali e mafiosi.
Intanto l’Italia è costantemente sott’osservazione da parte dell’Europa che individua nel fenomeno della corruzione uno dei principali fattori che bloccano lo sviluppo economico-sociale e rendono le istituzioni italiane non trasparenti e inaffidabili. Altroché Art 18 che non creerebbe sviluppo!
E’ noto che le infiltrazioni della N’drangheta e della Mafia nelle scelte politiche delle istituzioni e strutture pubbliche, quindi dentro la classe politica, è così radicata da far sì che i “super stipendi” dei politici, non fungono da garanzia contro la corruzione e ancor meno fanno sì che l’autonomia e la libertà dell’eletto dal popolo sia garantita.
Di fronte a una Politica, super pagata e che non sa gestire neanche il quotidiano, le indennità dei politici e i vitalizi sono divenuti il bersaglio su cui in modo immediato si concentra la comprensibile rabbia dei cittadini e il loro allontanamento dalle istituzioni e dalle scelte della Politica.
Gli stipendi spropositati della classe politica, ancor più i trattamenti pensionistici derivanti da cariche pubbliche, che sono gli unici in Italia cumulabili mentre per i comuni cittadini, la stessa pensione sociale non può essere cumulata neppure a quella di invalidità civile (250 €), sono disuguaglianze e discriminazioni che risultano comunque marginali rispetto al saccheggio economico della ricchezza pubblica legata al radicamento della corruzione in tutto il sistema istituzionale. Per tale ragione il problema degli stipendi, indennità e vitalizi dei politici andrebbe affrontato in uno scenario molto più ampio e complesso che non può prescindere dai valori dell’etica della politica, della trasparenza delle istituzioni, dei loro atti e della stessa legalità.
La questione etica non è solo un problema personale dell’eletto o di chi fa politica, ma l’etica dev’essere una prerogativa delle nostre istituzioni democratiche. In questo contesto, non solo istituzionale ma sociale, andrebbero collocati e affrontati il tema dei costi della politica, il ruolo spesso corruttivo dei partiti, che con ciò rinnegano la loro stessa origine. I Partiti che dovrebbero essere i garanti di un sistema democratico che permetta ai cittadini la partecipazione alle scelte collettive dei territori e della stessa società, si sono trasformati negli anni in centri di potere e parte integrante del sistema di corruzione.
Prendiamo atto che non solo da Tangentopoli di qualche decennio fa, ma anche dalle inchieste in corso ad esempio sull’Expò di Milano 2015, il ruolo dei partiti come garanti della democrazia, della trasparenza e della legalità, è venuto a mancare per la loro trasformazione in comitati d’affari con derive criminali e mafiose.
In alcuni casi certi partiti, continuano a praticare lo “sport” dell’occupazione militare delle istituzioni pubbliche che in barba a competenze, titoli e professionalità, ne svuotano efficienza e competenza, eliminano la democrazia e la trasparenza rendendole strumenti per finanziare le proprie attività, per pagare con i fondi pubblici i propri funzionari, per continuare ad alimentare in modo anche indiretto, ex-politici, che sono attaccati al potere politico ed economico in quanto vissuto come “cosa personale” e strumento di sostentamento per se stessi e per le proprie clientele.
E’ in questo humus che il concetto di privatizzazione della “cosa pubblica”, da parte della classe politica, affonda le proprie radici. Con ciò determinando la mancanza di qualsiasi trasparenza amministrativa, umiliando la stessa legalità ed escludendo di fatto dalla “cosa pubblica” gli stessi cittadini.
Purtroppo ancora assistiamo alla “consuetudine” che vede militanti incompetenti e impreparati, ma   fedeli e silenziosi esecutori di ordini, dirigere strutture pubbliche o inseriti in ruoli strategici come assessorati, enti, agenzie, per non parlare delle scandalose convenzioni esterne: un escamotage fruttuoso e sempre à la mode che permette il facile riciclaggio del denaro pubblico a favore di una classe politica corrotta.
Gli scandali sulla privatizzazione dei fondi pubblici dei gruppi consiliari, che sono scivolati in conti privati e che hanno coinvolto un numero elevatissimo di consiglieri della Regione Autonoma della Sardegna, sono una chiara manifestazione del degrado di una classe politica che confonde volutamente la “cosa pubblica” con il proprio “conto privato”. Questo problema, che sta alla base dell’etica e della trasparenza non solo dei singoli ma di tutta la classe politica, non è stata colpevolmente affrontata, nella scorsa legislatura, da chi di dovere e cioè dal Consiglio della RAS.
Il Consiglio che per tutelare la dignità dell’istituzione e dei singoli eletti, nonché il sacrosanto diritto   dei cittadini a conoscere l’uso dei fondi pubblici, avrebbe dovuto, cosa da me richiesta esplicitamente, istituire una Commissione d’inchiesta in modo tale da accertare i fatti, rompere consuetudini illegali e ripristinare al proprio interno la trasparenza e la legalità.
Quest’azione avrebbe restituito dignità all’Istituzione, ai singoli eletti e avrebbe riportato la fiducia   nei cittadini sulla gestione della “cosa pubblica”. Solo così si sarebbe potuto innescare un processo di riavvicinamento dei cittadini alla Politica e alla condivisione delle scelte. Questo atteggiamento omertoso della massima istituzione dei sardi, invece ha fatto sì che il problema prevalentemente politico e come tale di competenza della Politica, fosse visto esclusivamente come un problema giudiziario di competenza della Magistratura che ne ha titolo legale. Il Consiglio disattendendo ai suoi compiti non ha difeso l’Istituzione democratica e la sua dignità.
La crisi economica in corso, ancora più violenta nei “territori di colonia” della globalizzazione mondiale, ha ancor più acuito il divario tra i livelli di vita dei sardi e i costi divenuti ormi insopportabili dell’intero apparato della RAS, generando diffidenza, disprezzo e l’allontanamento dei cittadini dalle istituzioni, nonché fenomeni di facile populismo.
Il politico anche a livello individuale può condizionare e incidere sulle scelte delle istituzioni e sulla riduzione dei costi della politica. Già nel luglio del 2007, in una seduta di Consiglio comunale di Cagliari, a tal proposito sostenevo: “Non confondiamo i costi della politica con i costi della democrazia anche perché se così fosse, oggi paradossalmente saremo in una situazione dove il costo della politica per i contribuenti è altissimo, contro un livello di democrazia e di partecipazione bassissimo che tende ad escludere nei fatti il controllo popolare sull’attività e sulle scelte delle singole istituzioni…”

Nel precedente Consiglio della RAS (XIV legislatura) anch’esso coinvolto negli scandali sull’uso privato dei fondi pubblici dei Gruppi,  ho portato avanti battaglie, proposte di legge, azioni politiche tendenti a portare all’attenzione dell’Assemblea stessa i temi sulla necessità di ridurre i costi della politica a partire dagli stipendi dei consiglieri, proponendo l’eliminazione delle indennità di carica nelle commissioni, chiedendo una rivisitazione non solo dei costi del Consiglio della RAS ma anche dei singoli assessorati, Enti strumentali, Agenzie e partecipazioni della RAS. Molte di queste mie richieste sono state volutamente ignorate e insabbiate, ma nonostante tutto, grazie anche alle mie puntuali denunce politiche e al clima sociale che si era creato su questi temi, per la prima volta nella storia dell’Autonomia si è riusciti, seppur parzialmente, a ridurre almeno gli stipendi dei consiglieri. Ai nuovi singoli consiglieri resta la responsabilità di garantire la continuità di questa battaglia, partendo dai propri stipendi e privilegi.

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