Carte d’identità

1 Maggio 2010

bronzetto nuragico

M.M.

E’ dal suo inizio che il Manifesto Sardo ha cercato di intervenire sulla questione identità, e di coniugare almeno alcuni degli sviluppi di questo tema, straordinariamente vivo, con il senso della politica e le traiettorie della contemporaneità.
Abbiamo quindi da proporvi una prima raccolta sul tema, il nostro dossier n. 5 , che qua sotto potete aprire e scaricare.

Carte d’identità

La risposta, in termini di interesse è sempre alta. E l’interesse si forma in un territorio marginato, e neppure in modo chiuso, da due fiumi: quello dell’autocoscienza democratica e della competenza culturale, quello della rimozione sociale e dell’irrigidimento etnico.
Il termine identità è un contenitore vastissimo, ma anche ambiguo. Si tende a privilegiare il passato e a percepire assai meno le identità attuali, straordinariamente mobili e ampie. Lo si cerca di definire, attraverso le tradizioni popolari, la storia e le sue articolazioni – molto spesso quella antica e medievale – , il paesaggio, la provenienza. Pensiamo che dipenda molto da scelte soggettive, dall’immagine che una persona, un gruppo, una classe o una comunità vogliono comporre e proporre, a sé e agli altri.
Oggi il termine identità appare negli apparati di tutela, con innovazioni che prendono sostanzialmente ispirazione dalla Convenzione Europea del Paesaggio attraverso la definizione del paesaggio culturale e la relazione – controversa – che esso stabilisce con il meccanismo identitario, e infine dal Codice dei Beni culturali e paesaggistici (rischiando a volte di sovrapporsi con qualche confusione alle categorie già esistenti).
Il tema è caldo, dinamico più di quanto si pensi.
La sacrosanta riscoperta e difesa di una cultura e una storia negate sin dalla formazione di base, non slegabile in realtà da quella cultura della dipendenza indicata da Marco Ligas nel primo numero di quattro anni fa, si unisce al desiderio di autodeterminazione, esplicabile in varie forme e modelli, comunque molto sentito.
Ma succede anche in Sardegna, come in altri luoghi, che le costruzioni identitarie tendano di frequente a configurarsi come statiche o con forti elementi di staticità.
Alla subalternità capita di rispondere con una costruzione autoreferenziale che cerca di costruire un forte e definito il passato, possibilmente eroico e vincente. I connotati sono spesso nazionalisti ed etnocentrici, ciò che, almeno dal nostro punto di vista, appare criticabile e pericoloso.
E’ un passaggio singolare e significativo, perché tende a rendere stabile (in realtà fermo, immobile) il nostro essere grazie ad un passato che non lo è. Il credersi stabili su queste basi ci pare possa esporre, nel mondo che si vive ora, a particolari fragilità e a non riconoscere, per la necessità ideologica della forza, la mancanza di un quadro solido essendo convinti di averlo. Ovviamente senza accettare la forza del mosaico multiculturale e meticcio che ci compone in maniera straordinaria.
Il problema, ed è un altro dei percorsi trattati dalla nostra informazione digitale, non riguarda solo la Sardegna: squarci identitari e conflitti fra realtà e invenzione attraversano tutto il mondo.
In quello lontano ma più vicino a noi ci hanno informato i nostri periscopi da una storia palestinese o kurda negate e da una nazione padana inventata.

Tutti questi destini, per quanto si voglia negare l’utilità o la priorità di leggere ‘destra e sinistra’, portano sempre alla radice conflitti di classe e strategie capitalistiche più o meno globali, alla relazione che ‘noi’ stabiliamo con gli ‘altri’ in un quadro di forte instabilità sociale, percepito, e spesso fatto artatamente percepire, come rischioso e causato sempre da ‘altri’.
Vorremmo ora dirigerci su altre delle numerose strade da esplorare, avvicinarci più organicamente al tema, vastissimo, dei beni demoantropologici, ovvero – anche se la corrispondenza non è esatta – quello delle tradizioni popolari, e a quello dei beni identitari.
In Sardegna i beni demoantropologici sono un sistema non meno diffuso di quello dei beni archeologici, l’unico che possa affiancarglisi e persino superarlo per diffusione e intensità di segni e significati. E, credo, in maniera più intima delle ‘cose di interesse artistico, archeologico o architettonico’. Ospiteremo contributi specifici cercando di capire il senso odierno di questi segni e le dinamiche in atto nel loro uso, che appare sottoposto alla fortissima pressione dell’industria culturale, del tempo libero e della festa mediatica, che travolge e modifica funzioni e ‘autenticità’ a partire da quel processo che, ormai diversi anni fa Eric Hobsbawm e Norman Rangers definivano “Invenzione della tradizione”.
Ma vorremmo anche ragionare su altri aspetti identitari – non è necessario applicare ad essi la visione ‘passatistica’ e ‘vincolistica’ del tradizionale e peraltro superato approccio del sistema storico di tutela dei beni culturali -, indagare cosa costituisce oggi l’identità di donne e uomini, gruppi, classi, generazioni. Probabilmente ci accorgeremo che molto, e forse tutto, può essere identità, e alterità.

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