Nasce una luna nuova: la fine del Ramadan a Cagliari

1 Luglio 2017
Gianluca Gaias, Anna M. Brancato

Quell’ultima falce di luna che segna la fine del mese di Ramadan per i numerosi musulmani di Cagliari si è mostrata in cielo la sera del 24 giugno. L’inizio ufficiale della festa è legato alla luna nuova dopo il tramonto, condizione variabile e dipendente dal calendario lunare e dalla posizione geografica del Paese interessato, condizionando spesso anche comunità lontane da casa.

Sono circa le sei e trenta di una caldissima domenica di giugno nelle strade del quartiere Marina, ancora odorose di notte e di sale. Di lì a poco, ecco che iniziano a riempirsi di uomini, ragazzi e qualche donna che accorre puntuale sul luogo prestabilito. A decine percorrono le strette vie del quartiere, in un frettoloso camminare di abiti e colori e suoni, per riunirsi finalmente in una preghiera di gioia, liberazione e unione comunitaria. Una lunga attesa durata un mese, ma finalmente è giunta la festa di ʿīd al-fiṭr , ovvero la Festa dell’Interruzione (del digiuno), una delle feste più importanti del calendario Musulmano, che segna la fine di un lungo periodo di privazione, sacrificio e soprattutto purificazione.

Diversi luoghi nel corso degli anni hanno ospitato la festa di ‘īd al-fitr , che negli ultimi tempi si è svolta con regolarità presso il cortile interno dell’oratorio di Sant’Eulalia. Quest’anno la dimensione è stata più diffusa, la partecipazione maggiore, effetto di una sempre crescente presenza musulmana nell’Isola e nel Capoluogo. Per far fronte a una così cospicua partecipazione, la funzione si è “divisa” tra il centro di preghiera di Via del Collegio, luogo storico dell’insediamento Musulmano in città, tra le auto in sosta o di passaggio e i pedoni, e il cortile dell’Oratorio di Sant’Eulalia, occupando anche il piazzale antistante la Chiesa. C’è chi prega su uno dei tanti tappeti stesi sul lastricato, chi su un appoggio di fortuna fatto con tessuto o cartone, chi è già lì da tempo e chi ancora arriva in tutta fretta.

I motivi che ci hanno spinto a svegliarci di buona lena e armarci di macchina fotografica per osservare e a partecipare a tale evento religioso sono sicuramente diversi, ma tra tutti ha prevalso quella volontà di partecipare collettivamente ad un’ occasione di importanza comunitaria “allargata”, insieme alla curiosità e il desiderio di ritrovare un’atmosfera tipica di luoghi, suoni e colori che solo un momento del genere può trasmettere.

Cercheremo, quindi, di organizzare quel flusso di pensieri che ci ha investiti durante quelle poche ore, un misto di solidarietà e partecipazione. Il timore era quello di essere delle presenze ingombranti, un po’ troppo curiosi e invadenti e ci siamo riproposti di essere il più discreti possibile nel rubare attimi intimi e di raccoglimentoDi fronte al campetto di Sant’Eulalia un gruppo di ragazzi faceva la fila per entrare e, non appena la folla si è fatta meno compatta, ci siamo avvicinati. Tutti ci salutavano e ci invitavano ad entrare e scattare qualche foto in totale libertà. Ne approfittiamo, non prima di aver fatto gli auguri di Eid Mubarak alle persone presenti.

Sono molti i partecipanti, circa 1.500 che si dividono tra la via del Collegio e il piazzale della Chiesa e l’oratorio. Uno dei problemi che subito riscontriamo riguarda il fatto che, nonostante la comunità esista formalmente da circa 20 anni (ovvero la data in cui si è costituito il primo centro di preghiera) manchi concretamente un luogo di culto adatto dedicato alla fede musulmana. A fronte di diverse richieste da parte della comunità, alcune promesse sono state reiteratamente portate in discussione (soprattutto in periodi a cavallo di campagne elettorali), ma mai a compimento. Una comunità che è in costante crescita numerica, nonché diversificazione interna: sono molte le appartenenze geografiche che abbiamo avuto modo di rilevare tra una chiacchiera e l’altra, elemento che di per sé implica una forte vocazione al dialogo interculturale e a un certo grado di “comunanza nella diversità”.

Quello su cui si vorrebbe riflettere è la condizione di disagio, di “non diritto al luogo” in cui le nostre sensazioni hanno collocato la comunità islamica cagliaritana (o meglio, le comunità islamiche). Cagliari, e la Sardegna in generale, si è trovata solo in tempi relativamente recenti ad avere a che fare con flussi immigratori più importanti rispetto al passato e, conseguentemente, con una maggiore diversificazione culturale. Non si può negare che gli immigrati musulmani rappresentino una grossa fetta di tali flussi e che il tema dell’integrazione sia diventato col tempo sempre più importante. L’islam è quindi diventato una parte integrante della nostra società e lo è sempre di più grazie anche ai numerosi convertiti. Cagliari, che sa di essere un importante centro del Mediterraneo dovrebbe quindi essere pronta a fare propria la pluralità culturale di cui storicamente è parte. Pluralità, peraltro, che assume un forte valore simbolico, nel momento in cui cui la qibla, l’orientamento della preghiera per i musulmani– che indica la direzione della città della Mecca è rivolta proprio verso l’ingresso della Chiesa.

Un’immagine, quest’ultima, che vale più di mille parole: un immagine di accoglienza e rispetto reciproco, di una preghiera condivisa nello spirito, quello del digiuno del mese di Ramadan, che non significa dunque solamente astensione, ma significa comunità, senso di appartenenza e fratellanza.(foto)Importante, a parer nostro, l’impegno della parrocchia di Sant’Eulalia nel promuovere questa unione spaziale che vede nei luoghi della storica Chiesa della Marina il simbolo di una propensione alla determinazione e alla pacificazione. Chiesa che, negli anni, ha assunto diverse “forme” (la frequentava prima la comunità filippina, quella ortodossa poi), rappresentando quindi un esempio pratico di convivenza spirituale e dialogo interreligioso.

Musulmani che pregano di fronte alla chiesa di Sant’Eulalia

Ciò che ha inoltre attirato la nostra attenzione è stata la mancanza di organi di stampa locale, la cui presenza determina, in qualche modo, l’importanza e l’impatto che un evento ha all’interno della società in cui accade. Un noto quotidiano locale si è limitato a spendere alcune parole di scarsa autenticità nella propria sezione “cultura”, parlando della festa di fine Ramadan di Torino (perché?). Nessuna colpa vera o presunta, perché, forse, nemmeno loro -giornali e giornalisti- sapevano che domenica mattina, al quartiere Marina di Cagliari, si sarebbe svolta questa importante ricorrenza. Nasce proprio dall’ equivoco di essere stati scambiati per giornalisti la voglia di condividere le nostre impressioni e dare voce con le nostre parole, in mancanza di altre testimonianze “reali e locali”, a questo spaccato di vita nuova che prende piede all’interno dello spazio pubblico condiviso, senza la presunzione di fornire il resoconto più dettagliato o la verità ultima sulla convivenza pacifica, m affinché anche questi eventi culturali che interessano in modo particolare uno o più gruppi appartenenti alla nostra società diventino “sociali” (nel senso che almeno non vengano ignorati) e vengano “normalizzati”, nel senso che possano essere condivisi e celebrati in spazi più consoni e adeguati.

Non è sicuramente nostra intenzione, inoltre, entrare nel merito del dibattito politico che da qualche anno ormai avvolge la questione “moschea si/moschea no”. La mancanza di una Moschea a Cagliari, è del resto un problema comune a quasi tutte le comunità musulmane sul suolo italiano, nonostante siano diverse le spinte legislative, o gli esempi esterni ed interni che potrebbero consigliare un approccio differente alla volontà di edificare e portare concretamente nella sfera pubblica il discorso religioso delle comunità islamiche.

Se poi anche qualche spinta positiva venisse accolta, questa si scontrerebbe quasi inevitabilmente con un ostracismo diffuso nel pensiero comune, che assume posizioni probabilmente aprioristiche nei confronti della costruzione o istituzione di un edificio di culto e cultura islamica “ufficiale” in città.

Anche qui, nessuna colpa vera o presunta, la chiave rimane e rimarrebbe costantemente quella del dialogo, della conoscenza e della condivisione. È probabilmente proprio per questa ragione che, al di là delle strumentalizzazioni di qualche politico locale o nazionale, la popolazione tutta dovrebbe sentire e partecipare maggiormente e in prima persona a tali ricorrenze, smentendo atteggiamenti xenofobi o demonizzatori e allontanando timori e stereotipi che mal si addicono a una città, Cagliari, che da sempre ha mutato il suo volto, è cresciuta e si è sviluppata proprio grazie alle contaminazioni esterne, dimostrandosi sempre capace di dare e ricevere, accogliere e migliorarsi. La chiave del dialogo è la comprensione, la conoscenza alla luce del sole, all’aperto, dove si è tutti cittadini, ci si conosce, ci si frequenta e le paure e contraddizioni sociali diminuiscono sino a sparire. Eid Mubarak, buona festa. A tutti.

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