Stranezze

1 Settembre 2014
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Marco Ligas

Che succede nel nostro paese? Non pongo questo interrogativo riferendomi alla stranezza di questa estate, davvero ingenerosa per il clima insolito e perciò poco gradito. Penso piuttosto alle scelte recenti di chi ci governa, scelte che mettono in evidenza segnali pericolosi e inquietanti, diretti a colpire senza alcuno indugio la democrazia e a cancellare i diritti acquisiti dei cittadini.
Si dice che sono gli effetti della globalizzazione, sarà senz’altro così e non è un caso che l’offensiva abbia diversi protagonisti; i più insidiosi agiscono altrove e non è difficile trovarli nelle istituzioni che operano a livello europeo e mondiale, nella Bce, nell’Ue, nel Fmi e nelle strutture del capitalismo finanziario.
Nei loro confronti il nostro governo mostra una dipendenza umiliante. Sostiene immancabilmente le direttive che gli vengono imposte e al tempo stesso assume nei confronti dei cittadini un’arroganza inaudita, come se volesse recuperare davanti agli occhi degli alleati europei una credibilità compromessa.
Nato in modo ambiguo e con più di qualche dubbio sulla sua legittimità costituzionale, questo governo oscilla continuamente tra i propositi di una fuoriuscita dalla crisi economica e la riproposizione di schemi obsoleti che sono all’origine della recessione che il nostro paese subisce ormai da tre o quattro decenni.
Il suo leader tende a presentarsi, pur non avendone i requisiti, come l’uomo del cambiamento, parla con disinvoltura di crescita e di riforme, usa la demagogia e offre ad una parte dei lavoratori una tantum di 80 euro al mese dando l’illusione che in questo modo cresceranno i consumi (che invece restano immutati); in realtà l’unica (contro)riforma che sta completando riguarda la nostra Costituzione trasformando il Senato in un organo del tutto ininfluente ma funzionale, in virtù di una nuova legge elettorale che peggiorerà le precedenti, alla nascita di una Repubblica presidenziale.
Che cosa dicono o non fanno gli altri rappresentanti del partito del premier? Ecco un altro interrogativo che deriva da un’altra stranezza: non dicono e non fanno assolutamente niente, assecondano questa compagine governativa che continua a definire culturame tutto ciò che non è omogeneo alle proprie scelte.
Eppure ci sono o ci sono stati all’interno del Pd dei segnali di malessere che indicavano percorsi, se non alternativi a quelli attuali, certamente più attenti nella interpretazione della crisi e sulle soluzioni da adottare. Ma non è scaturito alcunché.
Tanto è vero che non sono pochi coloro che, davanti a questa involuzione, si chiedono come sia stato possibile un declino così clamoroso e al tempo stesso rapido della dialettica politica.
In altri tempi il confronto tra le formazioni politiche assumeva, pur nell’asprezza del dibattito, toni diversi e più costruttivi; si badava di più, soprattutto quando si affrontavano le questioni relative al ruolo delle istituzioni, ai contenuti e all’importanza del bene comune.
Oggi queste caratteristiche vengono meno; anche all’interno di una stessa formazione politica ha preso corpo la prevaricazione e la colpevolizzazione del dissenso: chi non condivide viene definito immediatamente un disfattista, uno che non lavora per la crescita del suo paese o comunque per le riforme, come se queste dipendessero dalla cessione di nuove quote di potere alla Bce perché continui le politiche dissennate di contenimento della spesa e di tutela dei grandi patrimoni individuali.
Questa tendenza, forse dovuta alla debolezza culturale ma anche alla presunzione e alla complicità di una parte della nuova classe dirigente, si diffonde e si consolida nelle istituzioni periferiche, nelle amministrazioni comunali e in quelle regionali. E non è un caso che le loro scelte siano caratterizzate sempre più frequentemente dall’acquiescenza nei confronti delle politiche accentratrici imposte dai governi centrali.
Contrastare queste imposizioni, anche criticarle, assume allora il significato di un’insubordinazione che va necessariamente eliminata: questo è il messaggio forte che viene inviato da chi governa a Roma.
C’è da chiedersi allora in che cosa consista l’autonomia che la stessa Costituzione riserva alle Regioni se il loro ruolo diventa quello esclusivo di esecutrici di decisioni assunte altrove.
Non sarebbe male perciò che la Regione Sardegna contrastasse questo ruolo, in questo caso non commetterebbe certo un’eversione e neanche una stranezza, più semplicemente un recupero di dignità e di autonomia. Insomma uscirebbe dal grigiore che sinora l’ha distinta.

1 Commento a “Stranezze”

  1. Nicola scrive:

    Nel partito del premier (come generosamente definiti, mi riferisco ad entrambi i termini!) ci sono molti ingenui che credono che il loro sia ancora il partito che fu e che presto tornerà ad essere.Essi pur criticando e spesso deridendo Renzi si illudono che è un male passeggero da sopportare con pazienza, ironia, ma senza nessuna vera battaglia . Poi ci sono quelli che pur avendo un minimo di storia di sinistra vogliono sopravvivere per un posto o posticino al sole, e poi gli ex democristiani e ex PSI che sono a pieno agio in questo strano contenitore che è il PD e all’ombra o alla corte di questo strano personaggio (ahimé storicamente spesso i più pericolosi) presuntuoso e ignorante di cui ci si dovrebbe al più presto. liberare .
    Complimenti a Marco per la vivacità e lo spirito giovanile e combattente (pur senza illusione e scarse speranze!) che impronta il suo “pezzo”.

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