Quando il teatro fa discutere

1 Luglio 2011

Rita Atzeri

Sono in corso, in questi giorni, due importanti manifestazioni: una a Fara Sabina a cura del Teatro Potlach, che ha ospitato in seno al tradizionale Festival Laboratorio Interculturale di pratiche teatrali, gli incontri dell’Università del Teatro Eurasiano, diretta da Eugenio Barba che quest’anno che affrontato il tema “Il Teatro come Politica con altri mezzi”; l’altra a Genova dove si tiene il “Forum della Cultura” nel decennale del G8. Cosa lega queste due manifestazioni? La convinzione che il teatro e la cultura in genere possano essere luoghi di azione politica. Spazio deputato dunque alla definizione di un reale in divenire, alla composizione ed esplicazione di quei conflitti sottesi al quotidiano che non sempre trovano l’adeguata lettura sotto il bombardamento mediatico e la frenesia del vivere.
Eugenio Barba nell’incontro conclusivo della sezione di lavoro di sabato 25 giugno, ripercorrendo le tappe della Fondazione dell’Odin, nello spiegare la “partigianeità” del suo operare, ha dedicato non poco spazio ad esplicitare la percezione che del lavoro del gruppo avevano gli abitanti di Holstebro. Gli attori venivano guardati con sospetto, non veniva colto il senso del loro lavoro, giudicato inutile. Atteggiamento mutato quando di questo lavoro teatrale si sono percepite le ricadute in termini di indotto: macchine acquistate, nascita di un turismo culturale…Questo avveniva negli anni ’80.
Oggi? Ci sono luoghi in cui le reazioni e i motivi di interesse delle persone verso il teatro continuano ad essere le stesse. In genere il pubblico, quando non amico o compiacente, nel senso che già sensibilizzato ad un tema, ha difficoltà a leggere la dimensione politica di un lavoro teatrale o di un’operazione culturale. Preferisce muoversi nell’ambito dell’evasione.
Quando così non è, quando cioè la platea è politicizzata, ossia sceglie di partecipare ad una iniziativa di cui in linea di massima condivide i contenuti, ci si scontra con un problema di natura diametralmente opposta: l’aspettativa. Tutto ciò che avviene in scena deve essere politicamente corretto, altrimenti è meglio che non venga detto. Questo alla faccia dell’esigenza drammaturgica di creare un conflitto, della necessità che i personaggi siano non solo positivi, ma anche negativi. In barba alla metafora insomma. E questo è quanto è accaduto a Genova in occasione della rappresentazione dello spettacolo “Lavorare Stanca”, regia Francesco Origo, produzione Il crogiuolo, contestato per via del finale: la protagonista esce di scena dopo aver caricato una pistola con cinque colpi.
Vorremmo invitare a riflettere che in tutta la storia del teatro, dalle origini ai giorni nostri, si narra di omicidi, vendette. Perché ci sia azione deve esserci conflitto. E queste vicende venivano narrate non in luoghi neutri o pacifici ma proprio nei teatri di guerra perché potessero essere utili. Se un finale con arma da fuoco a Genova nel decennale del G8 è sembrato inopportuno bisogna fare un passo indietro. Genova ha una grande tradizione di città di sinistra, una delle più importanti d’Italia.
Ma ciò che è avvenuto a Genova per il G8, non è legato alla storia di Genova, ma alla contingenza: è a Genova che si sono riuniti i Grandi Potenti ed è a Genova che migliaia di persone si sono riversate per contestare quella politica. Dopo i fatti del G8 Genova è diventata protagonista, coraggiosamente e meritoriamente, di una battaglia di giustizia perché gli avvenimenti non venissero contraffatti, di una battaglia di giustizia perché le politiche potessero cambiare. Ed ha scelto di farlo con lo strumento della Cultura .
Quindi quel finale a Genova, sì. Perché Genova non ha scelto le armi allora, come non le ha scelte oggi. I proiettili del teatro e della cultura sono le parole i pensieri e questi servono a restituire al dramma del nostro tempo il senso del tragico, senza il quale non può esserci salvezza possibile.
Fare teatro politico oggi vuol dire anche questo: generare spazio al dibattito e al confronto anche in chi ritiene di essere chiamato a svolgere questa azione su terzi.

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